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Ricostruzioni storiche ribelli

Un mare e due etnie: latini e slavi sull’Adriatico – Titini e foibe / 3

E’molto interessante considerare la ricostruzione effettuata dagli storici che contestano o minimizzano sia la tragedia delle foibe che degli esuli. Il filo conduttore di tutti è sottolineare la responsabilità del Fascismo e la deportazione di sloveni e croati, in quanto partigiani titini, ed una forma di razzismo anti slavo, che loro giudicano caratteristico di quelle terre. Sono sicuramente innegabili campi di concentramento di Visco e Gonars, in Friuli, di Melada e Kampor, in Damazia, di Renicci, Monito, Chiesanuova, Alatri, Sdraussina e Fossalon di Grado. Sicuramente la mancanza di cibo e medicinali ed il sovraffollamento fecero centinaia di vittime a Gonars ed in particolare sull’isola di Arbe. Alcuni storici stimano 500 morti a Gonars e 1500 a Kampor. Vengono accusati i generali italiani Roatta e Ribotti di aver avuto “la mano pesante”, ma sorvolano sul fatto che già negli anni Venti erano nati e cresciuti movimenti irredentisti di matrice slava, come il T.I.G.R., l’Orjuna e Borba, volti a rimettere in discussione i confini e cercare di annettere Trieste, Gorizia, l’Istria, Fiume e Zara nel nuovo Regno di Jugoslavia. L’Orjuna, in particolare, fece molti attentati all’interno della Venezia Giulia. Ovviamente viene sempre ampiamente ricordata la indiscutibile tragedia della Risiera di San Sabba, nella quale morirono, per mano tedesca, 3.000 persone, dei quali circa 1.200 ebrei. Ma non viene mai rammentato che gli ebrei furono anche vittime di “fuoco amico”, ovvero della delazione di loro simili. Ad esempio a Trieste fu tristemente famoso Mauro Grini, alias “Dott. Manzoni”, che fece arrestare centinaia di ebrei, come lui, alcuni sostengono ben 800, e non mancò mai di depredarli dei loro beni  (vedi Roberto Curci “Traditori e traditie nella Trieste nazista”, Il Mulino, Bologna 2015 e l’articolo di Gualtiero Tramballi “Il Kapò di Trieste”, pubblicato su Epoca il 10/3/1976 ). Gli storici preoccupati di difendere i titini dimenticano sovente anche i feroci bombardamenti anglo-americani su Zara: ben 54 incursioni che la distrussero completamente. A causa di quei bombardamenti morì il 10% della popolazione cittadina ed un altro 10% perì, dopo la ritirata dei tedeschi, quando entrarono i titini che uccisero e deportarono.

La terribile polizia segreta titina, l’Ozna, operò attivamente per seminare il terrore fra gli italiani. Nell’agosto 1946, durante la discussione del Trattato di Pace di Parigi, vi fu il tristemente noto attentato di Vergarolla, nel quale le esplosioni fecero strage di 65 civili italiani che stavano trascorrendo una giornata in spiaggia. Sconvolgenti i racconti dei sopravvissuti che riferirono del mare rosso di sangue, di membra dilaniate sparse sulla spiaggia e dei gabbiani che strappavano brandelli di carne dai corpi delle povere vittime. La maggior parte degli storici ormai concorda nell’attribuire la piena responsabilità all’Ozna, al preciso scopo di far abbandonare agli italiani le proprie case. Peraltro vi è anche prova certa che agenti dell’Ozna si muovevano segretamente in tutto il Nord Italia ed anche a Roma. Da un rapporto segreto del Ministero dell’Interno italiano del 1946, si evince che l’Ozna era già riuscita ad infiltrare  molti elementi nelle file dei Cetnici e fra i profughi giuliani che si trovavano a Roma. Non tutti questi agenti erano slavi, vi erano anche stalinisti italiani (a questo proposito segnalo il libro di Istvan Deak “Europe on trial; the Story of Collaboration, Resistence during World War II”, Boulder Co. Westview Press 2015 e “La presa del potere in Istria ed in Jugoslavia; il ruolo dell’Ozna”, Quaderni del Centro Ricerche Storiche di Rovigno” vol XXIV, 2013, pp 29-61).

Testimonianze dirette di italiani, che vivevano vicino ai confini orientali, parlano di ” missioni vendetta”. Ho parlato recentemente con un ‘imprenditore friulano che mi ha spiegato in modo dettagliato sia le caratteristiche di queste azioni sia il panico che creavano fra i civili italiani. Ho promesso di non citare il suo nome e mantengo tale promessa. Altra corposa dimenticanza risulta essere anche la “Cefalonia dei Balcani” , come è stata ben definita dallo storico Colloredo Mels, in un’ interessantissimo articolo su Storia in Rete. Nel febbraio del 1943, alcuni reparti della Divisione Murge del Regio Esercito vennero attaccati da cinque Brigate Proletarie d’Assalto Titine. A Prozor gli italiani erano 800, i titini diverse migliaia, alcuni stimano 5.000. I titini intimarono la resa agli italiani, che la rifiutarono sdegnosamente e, finite le munizioni, si batterono all’arma bianca. L’intero terzo battaglione del 259° Reggimento venne passato per le armi, feriti inclusi. Il primo fu il colonnello, che venne freddato con un colpo di pistola alla tempia. Un totale di 740 militari italiani fucilati. Il motivo di tale beluina fucilazione dipese solo dal fatto che il primo giorno dei combattimenti i soldati italiani avevano rifiutato la resa (vedi M. Gilas ” La guerra rivoluzionaria jugoslava” – 1941 – 1945. ricordi e riflessioni ” Trad. it,Gorizia 2011, pag. 276-277).

Fausto Biloslavo in un articolo su Il Giornale del 9/2/2022 ha saputo ben tratteggiare i contenuti raccolti nel dossier, destinato alla Conferenza di Parigi del 1947. Un tristissimo campionario di atrocità, basato su rapporti dei nostri servizi, con particolare riferimento al campo di Borovnica ed all’ospedale militare di Skofja Loka: “fucilazioni per nulla”, “torture al palo”, “lavori forzati”, e “scheletri viventi” sono i terribili termini ricorrenti che vennero utilizzati dai sopravvissuti ai lagers titini. Un rapporto dell’orrore segretato per 50 anni. I poveri disgraziati erano talmente affamati che si cibavano di erba e foglie secche. Cristina Di Giorgi, curatrice del numero speciale della Rivista Dalmatica, scrisse che gli internati nei circa 50 campi gestiti dai miliziani comunisti di Tito erano ex militari e prigionieri dei tedeschi, civili deportati da Istria, Venezia Giulia e Dalmazia, ma anche partigiani e persino comunisti cominformisti. Coloro che sono sopravvissuti hanno dichiarato di aver invocato frequentemente la morte piuttosto che sopportare quegli strazi.

Non si può, infine, assolutamente dimenticare anche la profondissima divisione ideologica esistente fra slavi. Ad esempio pochi anni fa, il presidente croato Franjo Tudman, volle ricordare che l’ NHD (Nezavisna Drzara Hrvatska) non fu animato e composto da semplici collaborazionisti dei fascisti italiani, ma rappresentò l’aspirazione del popolo croato alla propria indipendenza. Parole sicuramente molto decise. Ancora oggi, a Spalato e Zagabria, vengono celebrate messe commemorative per Ante Pavelic, uomo politico croato e fondatore dei filofascisti Ustascia, con grande scandalo del Centro Simon Wiesenthal, che ha chiesto che i sacerdoti che le hanno celebrate vengano ridotti allo stato laicale. Per capire le “ragioni dell’altro” è interessante passare in rassegna le tesi di alcuni revisionisti, che hanno in comune una matrice ideologica che li porta a valutare principalmente il rapporto causa/effetto fascismo-foibe-esodo, con la volontà di cristallizzare le categorie del Bene e del Male. Sembra, inoltre, che non vogliano considerare che gli italiani non furono le sole vittime di quella tragica mattanza. Basti ricordare i massacri di Bleiburg, in territorio sloveno, dove a guerra finita, si poterono contare fra 150 mila e 200 mila vittime slave, fondamentalmente anti comunisti e non soltanto domobranci sloveni ed ustascia croati, che collaborarono con il regime fascista. Incominciamo quindi da Carlo Spartaco Capogreco che, infatti, lamenta proprio l’omissione del termine “fascismo” nella legge istitutiva della commemorazione delle foibe. Anna Di Giannantonio tiene a sottolineare un classico razzismo antislavo, caratteristico di quelle terre. Ma fu proprio la dominazione asburgica ad amplificare le divisioni etniche, perchè temevano l’etnia italiana, più numerosa e più forte economicamente e culturalmente. Ovviamente la Di Giannantonio rimarca il ruolo del Generale Mario Roatta, ex capo del Servizio Informazioni Militari Sismi, nonché capo delle forze fasciste in Spagna. La decisa azione di Roatta in Jugoslavia, codificata nella famosa “Circolare C” , identificava i civili slavi come possibili collaborazionisti dei partigiani titini, ma, purtroppo, spesso era proprio così. Gran parte degli studi della Di Giannantonio si basano su testimonianze orali, sicuramente degne di essere valutate, ma incomplete se non supportate da materiale documentale. Lo storico Joze Pirjevec, nato Giuseppe Pierazzi, sostiene invece che il numero dei morti in Istria, dopo l’8 settembre 1943, sia stato ampiamente gonfiato. Pierazzi, nato a Trieste nel 1940, è stato docente di storia all’Università del Litorale e membro dell’ Accademia Slovena delle Scienze e delle Arti. Lo storico Sandi Volk, sostenuto da gruppi della “sinistra sociale” e da Assemblea Antifascista Bassanese, promette la “vera verità” sul caso Foibe. Contesta il numero degli esuli, indicandoli in 152.694, solo lui sa come si possa essere così precisi con archivi bruciati, documenti persi… Di fatto Volk accusa Padre Flaminio Rocchi, il principale artefice del conteggio della cifra dei 350 mila esuli. Guido Miglia, dirigente del CLN di Pola, sostiene che l’esodo è stato utilizzato in Italia da forze reazionarie, per tenere tesi i rapporti con la Jugoslavia. Giudica anche totalmente inaffidabili le statistiche sul censimento dell’Opera Profughi. L’antropologa Pamela Bellinger ha paragonato gli esuli istriani a quelli cubani, per l’ideologia e per l’uso politico dei profughi a Miami. Non si può tralasciare Eric Gobetti con il suo libro “E allora le foibe?”, già dal titolo provocatorio; un libricino di 136 pagine, che l’autore sembra aver scritto per creare scalpore. Già la fotografia di Gobetti con il pugno chiuso, con cimeli titini sullo sfondo, indica la certa matrice ideologica, anche se lo stesso scrittore sottolinea di aver voluto eseguire una ricostruzione storica equilibrata, sui testi dello stimato Prof. Raoul Pupo. La giornalista Lucia Bellaspiga, in un articolo su Avvenire del 10 febbraio 2021, cita proprio Gobetti quando sostenne che “il termine foiba evoca barbari scenari, mentre furono solo luoghi di sepoltura”. Non può mancare alla carrellata Claudia Cernigoi, che, dall’alto di una ” prestigiosa maturità scientifica” è fra i capofila della ricostruzione critica della tragedia delle foibe. Da una sua biografia autorizzata in internet, dalla quale minacciosamente sottolinea che saranno perseguiti tutti coloro che non si riferiranno a quanto rigorosamente contenuto in tale riassunto biografico, si evince che negli anni Settanta fu iscritta al Partito di Unità Proletaria, poi a Rifondazione Comunista, per poi uscirne, sentendosi spirito libero. Praticamente da autodidatta, con la sua maturità scientifica in tasca, ha scritto diversi libri, fra i quali : “Operazione Foibe fra storia e mito”. Comunque, Cernigoi fondamentalmente vuole lanciare un messaggio, sottolineando tutte le colpe del Fascismo, desiderando sollevare gli slavi dai sensi di colpa come “infoibatori”, dimenticando che vittime di tale tragedia non furono assolutamente solo fascisti, ma principalmente italiani. 

Credo che concentrarsi unicamente sulla divisione etnica fra italiani e slavi sia fuorviante, perché, in realtà, si dovrebbero considerare gli accadimenti sui confini orientali ed in Jugoslavia come l’onda lunga dei tentativi di bolscevizzazione di varie aree in Europa, esattamente come venne fatto in Spagna. Coloro che perseguirono tali obbiettivi di bolscevizzazione non furono certo restii ad utilizzare i metodi del “terrore rosso”, applicati durante e dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Il numero delle vittime ed i sistemi usati da coloro che si autonominarono eredi dello spirito giacobino non hanno uguali nella storia del XX secolo e sono molto ben descritti nel libro di Sergej Mel’gunov “Il Terrore Rosso durante la Rivoluzione d’Ottobre”, pubblicato a Berlino nel 1923 e poi recentemente tradotto e pubblicato in Italia, grazie al lavoro dello storico Paolo Sensini. Non si può nemmeno dimenticare che, mentre in molti paesi dell’Est Europa molti son riusciti a rientrare in possesso dei propri beni, gli esuli giuliano dalmati persero case, terreni, aziende. Con l’Accordo di Belgrado del 18 dicembre 1954, il Governo Italiano utilizzò il valore complessivo dei beni persi per compensare il debito esistente con la Jugoslavia, per risarcire i danni di guerra. Quindi beni privati per bilanciare un costo dello stato? il governo si impegnò ad indennizzare gli esuli, ma negli ultimi decenni vennero erogati solo modesti acconti e tutti sono ancora in attesa di un’ indennizzo equo e definitivo. 

Mi rimane impossibile congedarmi dai lettori, che hanno avuto la pazienza di seguirmi fin qui, senza ricordare parte dei tanti italiani illustri originari di quelle terre: Marco Polo, che oggi i croati vorrebbero far diventare croato, Niccolò Tommaseo, Nazario Sauro, Fabio Filzi, Leo Valiani, Ottavio Missoni, la meravigliosa attrice Alida Valli, Sergio Endrigo, Giorgio Gaber, Uto Ughi, Mila Schon, Mario Andretti… e tanti altri che non sono mai riusciti a dimenticare il colore di quel mare ed i profumi di quelle terre. Desidero ringraziare il Signor Romano Cramer, originario di Albona, che conobbi molti anni fa, in occasione di un convegno, presidente del Movimento Nazionale Istria Fiume Dalmazia. Il suo amore per quelle terre ed i suoi nitidissimi ricordi mi hanno spinto a maggiori approfondimenti. All’intensa attività del Sig. Cramer dobbiamo l’installazione in Piazza della Repubblica, a Milano, del bel monumento commemorativo di quella grande tragedia. Recentemente, il 20 gennaio 2023, ha anche organizzato un convegno sulle opere pubbliche realizzate in Istria dal 1933 al 1937, su ispirazione del progetto “Atrium”, ideato dall’Unione Europea. La mostra fotografica ed il convegno si sono tenuti nella prestigiosa sede del Circolo Filologico Milanese, grazie all’ospitalità del presidente, Prof. Valerio Premuroso. Concludendo ciò che è tristemente certo che l’Italia non ha saputo tutelare, in quei territori, i suoi vitali interessi strategici, infatti dopo due millenni di presenza è stata completamente estromessa dalla sponda orientale dell’ Adriatico. (3 – Fine)        

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