HomeStampa italiana 1Montecassino, 15 febbraio 1944: così hanno distrutto la Casa di San Benedetto

Montecassino, 15 febbraio 1944: così hanno distrutto la Casa di San Benedetto

Il bombardamento di Montecassino fu uno dei più insensati atti della Seconda guerra mondiale. L’annientamento della venerabile abbazia fu un errore militare clamoroso che si ritorse contro gli stessi Alleati. E su questo errore tanto Roosevelt quanto Churchill mentirono: il primo alla stampa, il secondo alla storia, lasciando un alone di mistero su chi avesse ordinato davvero il bombardamento e perché. Come racconta un saggio uscito nel settantesimo anniversario della tragedia di cui «Storia in Rete» ha estratto un capitolo

di Nando Tasciotti, da Storia in Rete n. 100, febbraio 2014

«Ancora non cade!». Tifavano, con angoscia, gli sfollati di Cassino nei paesi e sulle colline di fronte all’abbazia, sperando che resistesse. Ma, quando si diradò la nuvola nera di fumo e polvere dell’ultima ondata di bombardieri («la cima del monte sembrava un vulcano in eruzione», riferì uno dei piloti all’inviato del «Times»), videro che di quelle poderose mura storiche erano rimasti solo monconi. […] Sulle colline di fronte, tra i molti giornalisti e cineoperatori c’era anche Martha Gellhorn, che nel 1940 aveva sposato Hemingway. E scrisse in seguito: «Ricordo il momento preciso del bombardamento di Cassino. Seduta su un muretto di pietra ho visto gli aerei arrivare, sganciare, poi il monastero trasformarsi in una nuvola di polvere e, come tutti gli altri sciocchi, anch’io sono rimasta entusiasta al punto da applaudire». Applaudirono anche i militari e le crocerossine in licenza arrivati di buon mattino da Napoli, dalle retrovie, a godersi uno spettacolo in vari modi annunciato. E, ovviamente, ancor di più esultarono i soldati alleati impegnati direttamente in quel campo di battaglia. […]

Propaganda, retroscena e silenzi
sul bombardamento alleato sono
stati raccontati da Nando Tasciotti
in «Montecassino 1944»
(Castelvecchi, pp. 332, € 19,50 –
www.castelvecchieditore.com)

Il segretariato  della  British Joint Services Mission, che aveva sede a Washington, in un documento del 4 aprile 1951 (firmato dai colonnelli Leonard H. Smith e T.W. Hammond) rivelò, significativamente, che quell’attacco all’abbazia era stato deciso «in linea con le istruzioni operative 42, ACMF, datate 11 febbraio 1944», e che «in quella giornata del 15, 142 B-17 sganciarono 287 tonnellate di bombe GP [general purpose] da 500 libbre, e 66,5 tonnellate di bombe incendiarie da 100 libbre. Quegli aerei furono seguiti da 27 B-25 e 40 B-26 che sganciarono altre 100 tonnellate di bombe GP». E aggiunse: «I rapporti di quel giorno indicano che durante quell’attacco aereo circa 200 persone, alcune delle quali identificate come indossanti uniformi tedesche, furono viste fuggire dagli edifici. Nel Department of Army non è stato trovato alcun documento relativo a civili uccisi in quell’attacco…». In realtà quelli che fuggivano erano civili terrorizzati, bersagliati dall’artiglieria alleata che – dalle montagne di fronte – credendoli appunto tedeschi, sparò migliaia di bombe. E non fu difficile costatare, dopo, che nessun soldato germanico era rimasto ucciso, dentro il monastero, sotto quel bombardamento. «Quando, dopo la guerra, si scavarono le macerie della falegnameria, c’erano ufficiali alleati che facevano molta attenzione a vedere se fra quei morti ci fossero uniformi tedesche, per trovare la prova che fossero stati dentro il monastero. E appunto, con loro grande delusione, non se ne trovarono», ricorda ancora oggi don Gregorio De Francesco, bibliotecario di Montecassino. Durante quelle ore convulse, l’intercettazione di un messaggio radio sembrò fornire agli Alleati la prova che i tedeschi fossero davvero all’interno dell’abbazia. Poco dopo l’inizio del bombardamento, infatti, a uno dei collaboratori del generale Alexander fu passata la traduzione di un messaggio tedesco che chiedeva: «Il reparto è ancora nel monastero?». La risposta era: «Ja». Ma dopo un po’, da altre frasi relative ai monaci, si accorsero che s’era trattato di un errore di traduzione della parola Abt: significa «abate», ma è anche abbreviazione militare di Abteilung, «reparto». Alcune bombe caddero per errore sugli stessi Alleati, in particolare sulle postazioni della 4a Divisione indiana che, incredibilmente, non erano state informate in tempo della decisione di anticipare il bombardamento dal 16 al 15 mattina: «Lo hanno detto ai monaci e lo hanno detto al nemico, ma non lo hanno detto a noi», commentò nel suo diario il colonnello J.B.A. Glennie, l’ufficiale della divisione indiana che doveva comandare l’attacco contro la collina del monastero, proprio in funzione del quale era stato deciso di «ammorbidire» preliminarmente l’abbazia. Gli fu comunicato solo all’alba del 15 febbraio, ma le truppe di prima linea della 7a Fanteria indiana non poterono essere ritirate a una distanza di sicurezza, poiché l’aggiustamento poteva esser fatto solo di notte. E subirono 24 perdite. Ma altre bombe finirono ancor più lontano dal bersaglio, e persino vicino al comando del generale Clark, a Presenzano, una decina di chilometri in linea d’aria da Montecassino.

Alle 12:15, il comando del XIV Corpo corazzato tedesco del generale von Senger riassunse, in un telegramma al superiore comando della 10a Armata, i vari rapporti inoltrati quella mattina, cioè da quando, alle 9:30, era cominciato il bombardamento, ribadendo che non vi erano armi tedesche nel monastero. Anche il Comando alleato fece un bilancio dell’operazione, inviando a Londra alle 14 un telegramma, ma di missione compiuta: «[…] principale linea di difesa fra Cassino e Monte Albaneta dalle 8:30, continui attacchi di bombardamento sulla porzione nord di Cassino e Monte Cassino. Monastero neutrale su Monte Cassino distrutto, e in fiamme. Rafforzamento del nemico di fronte all’intero settore [tenuto] parzialmente dagli indiani». E quel messaggio fu evidentemente consegnato il giorno dopo, 16 febbraio, anche a Churchill. Una cartellina conservata nei National Archives di Londra, timbrata in rosso «Most secret», reca la scritta sottolineata Prime minister, e una frase «Allego con la presente due “Speciali” messaggi». Uno dei due era appunto il telegramma, e vi era unito un biglietto dattiloscritto, con la stessa sigla: CX/MSS/T96/37 – Monastery on MONTE CASSINO destroyed and on fire on 15th February. Anche il rapporto del 2nd Bomb Group guidato dall’americano Evans riferì lapidariamente, il giorno dopo, 16 febbraio, il risultato della missione n. 144: «Il Monastero non c’è più – colpita anche l’area intorno all’edificio – notati fumo ed esplosioni».

Dopo le bombe, entrarono subito in azione gli opposti apparati di propaganda. La radio tedesca diffuse notizie per tutta la giornata del 15, ripetendo che «non c’erano soldati tedeschi nel monastero e nei suoi dintorni», che agli Alleati non era stato dato il benché minimo «pretesto» per distruggere quella famosa abbazia, e che invece ben diversamente s’erano comportati i soldati tedeschi «risparmiando molte cattedrali» e salvando in particolare quella di Rouen dalle fiamme, mentre inglesi e americani, distruggendo Montecassino, avevano «dato prova delle loro tattiche sacrileghe». Radio Londra invece, quel giorno, non dette la notizia del bombardamento. «London calling Italy», trasmissione di Paolo Treves del 15 febbraio ’44, alle 16:30 e alle 22:30 diffuse infatti questo testo (che forse era stato preparato in precedenza e che, comunque, sembrava un chiaro preludio alla fine dell’abbazia): «[…] In questa atmosfera di rinnovata fiducia si inquadra anche la battaglia di Cassino. La grande badia sorge ora come un baluardo sulla strada, ed è documentato che il nemico, nonostante le sue grida in contrario, ha mutato il convento in una fortezza. Sarà quindi proprio inutile per la propaganda avversaria di costruire le solite storie sulla violazione sacrilega e l’eroismo dei difensori e simili, che non hanno peso nella situazione militare. Nella grande battaglia per la conquista di Roma, per ripetere le parole del comunicato di Churchill sabato scorso, non si può permettere che elementi sentimentali operino a senso unico, cioè che i tedeschi sfruttino militarmente i vantaggi della grande badia e gli alleati rinuncino a quei diritti conferiti loro da ogni legge di guerra». Nel pomeriggio l’agenzia di stampa americana United Press lanciò invece, dal quartier generale degli Alleati a Napoli, un esultante dispaccio: «Più di 200 apparecchi da bombardamento americani e decine di pezzi di artiglieria hanno martellato stamani l’Abbazia di Montecassino, costringendo i tedeschi ad uscire come le formiche dagli antichi edifici dei Benedettini, che il nemico aveva fortificato in violazione di ogni convenzione […]. È stato un passo decisivo per salvare vite di americani, mettendo fine alla battaglia di Cassino al più presto possibile». La notizia fece subito il giro del mondo, pubblicata a caratteri cubitali sulle prime pagine dei quotidiani della sera, anche di piccole città: il britannico «Nottingham Evening Post», titolò a nove colonne «Crushing air blows in Italy – Reported Attack on Monastery Fort». Il «Nashua Telegraph», nello Stato americano del New Hampshire, titolò anch’esso a tutta pagina «Cassino abbey bombed», spiegando che il «famoso monastero romano» era stato trasformato dai tedeschi in una «fortificazione di comando».

- Advertisement -

E il Vaticano? Tacque, almeno ufficialmente. Non ci sono, per ora, testimonianze dirette e documenti di ciò che avvenne all’interno della Santa Sede quel mattino. Un elemento indiretto lo fornisce una dichiarazione del cardinale benedettino tedesco Augustin Mayer: «Ricevemmo una telefonata nella prima mattinata che ci chiedeva di andare in Vaticano per evitare il disastro», dichiarò molti anni dopo in un’intervista. E lo confermò in un’altra intervista rilasciata a Marco Cardinali, per il radiogiornale della Radio vaticana di domenica 15 febbraio 2004: «La mattina stessa del bombardamento», riferì Cardinali, «due inviati dell’Ordine Benedettino, il priore Fidelis de Stotzingen e l’abate Augustin Mayer si recarono precipitosamente in Vaticano per tentare di fermare lo scempio. Ma proprio negli uffici della Segreteria di Stato appresero che i bombardamenti erano ormai iniziati». Insomma, non si fece in tempo a organizzare quella «commissione neutrale per costatare l’assenza di tedeschi», a cui accenna, quel giorno nel suo diario, don Tommaso Leccisotti. E dai documenti ufficiali risulta un’attività diplomatica della Santa Sede ormai in ritardo su eventi già avvenuti. Quel giorno, si legge infatti nel Rapporto della segreteria di Stato (ma non è indicata l’ora), «l’ambasciatore tedesco consegnò all’Abate Primate dei Benedettini e al Sostituto della Segreteria di Stato un altro memorandum, che affermava: “Secondo una dichiarazione dei competenti ambienti germanici, non ci sono nel Monastero di Monte Cassino e nelle sue immediate vicinanze cannoni, mortai o postazioni di mitragliatrici. Né ci sono truppe tedesche di alcun genere”». In serata, quando già il monastero era stato distrutto da molte ore, la segreteria di Stato rese noti ai rappresentanti diplomatici di Gran Bretagna e degli Stati Uniti i testi delle ultime dichiarazioni tedesche, sollecitandone la trasmissione «urgente» ai rispettivi governi. E quella sera stessa, l’ambasciatore britannico Osborne inviò alle 21:45 un telegramma urgentissimo al Foreign Office: «Il seguente ricevuto dal Vaticano questa sera. Il 14 febbraio l’ambasciatore tedesco presso la Santa Sede ha trasmesso all’Abate Primate dei Benedettini la seguente dichiarazione: “Le autorità militari germaniche asseriscono che le notizie di lavori difensivi nell’Abbazia di Monte Cassino sono false. È assolutamente non vero che ci siano artiglieria, mortai o mitragliatrici lì. Non ci sono larghe (Grossere) concentrazioni di truppe lì (nelle vicinanze del Monastero). È stato fatto tutto il possibile per prevenire che Monte Cassino divenisse un centro di transito (durchgangsplatz)”. Oggi [cioè il 15, NdA] l’ambasciatore tedesco ha consegnato all’Abate e al Sottosegretario in Vaticano un’ulteriore dichiarazione specificando che “secondo informazioni dalle competenti autorità germaniche non ci sono né artiglieria, né mortai, né mitragliatrici piazzate nel monastero di Monte Cassino o nelle sue immediate vicinanze né ci sono lì truppe tedesche di alcun genere”. Anche l’incaricato d’affari americano, Tittmann, informò subito il suo governo». Sempre il 15, a Washington, il delegato apostolico Cicognani riferì al segretario di Stato americano, Hull, la protesta del cardinale Maglione per il bombardamento nelle vicinanze della residenza papale di Castel Gandolfo, e per il fatto che in precedenti attacchi erano morti centinaia di civili. E aggiunse: «Alla luce delle assicurazioni pubbliche da parte del Presidente degli Stati Uniti la scorsa estate nella sua lettera al Santo Padre, la Santa Sede trova difficile capire come tali incidenti possano aver luogo». Insomma, il 15 febbraio non ci fu alcuna reazione ufficiale del Vaticano per il bombardamento di Montecassino […].

Intanto, mentre le rovine fumavano, su vari crinali c’erano stati altri scontri militari, ma di poco rilievo, visto che di giorno – anche con l’abbazia bombardata – era impossibile per gli Alleati tentare la preliminare conquista della sovrastante e fondamentale quota 593. E tra i monconi del monastero non era ancora finito il calvario di quella terribile giornata. Si fece buio e, nella cappella della Pietà, l’abate Diamare e i monaci rimasti – don Martino, don Agostino, fra’ Giacomo, febbricitante, fra’ Romano, fra’ Pietro, fra’ Carlo, e il sordomuto Giuseppe Cianci, che in mattinata s’era miracolosamente salvato nel crollo della chiesa – stavano mangiando un po’ di pane e formaggio. Verso le 20, tornò l’ufficiale tedesco, il tenente Deiber, che era andato nel monastero già all’alba, prima del bombardamento. Racconta don Martino Matronola nel suo “Diario”: «Comunica al Padre Abate quanto segue: “II Führer della Germania A. Hitler su richiesta del Papa [auf Wunsch des Papstes] chiede una tregua agli americani perché l’Abate coi monaci e tutti i civili possano sgombrare da Montecassino. L’Abate con i monaci, i feriti e i bambini saranno autotrasportati via Cassino, ma dovranno raggiungere a piedi i mezzi di trasporto perché a causa dello sconvolgimento della strada, questi non possono giungere sino al monastero; gli altri, a piedi, usciranno per proprio conto dalla zona del fuoco. Per volere del Papa l’Abate e i monaci saranno condotti al Vaticano. Si attenda fino a domani o posdomani per la risposta. Questa notte il feldmaresciallo Kesselring domanda la tregua. Speriamo che gli americani la concedano, altrimenti la colpa ricade su di loro”. (II Comando Tedesco [commenta don Martino, NdA] voleva con le mani nette liberarsi dell’Abate e dei monaci onde prendere possesso delle rovine del monastero per fini bellici: ed anche per farsi rilasciare la dichiarazione di cui in seguito). Quindi l’ufficiale chiede al Padre Abate se poteva dichiarare per iscritto che nel monastero al momento del bombardamento non vi erano soldati tedeschi. Ecco il testo della dichiarazione nella lingua italiana e in quella tedesca: «Attesto per la verità che nel recinto di questo sacro Monastero di Montecassino non vi sono stati mai soldati tedeschi. Vi furono soltanto per un certo tempo tre gendarmi al solo scopo di far rispettare la zona neutrale, che si era stabilita intorno al Monastero; ma questi da circa venti giorni furono ritirati. Montecassino, 15 febbraio 1944 + Gregorio Diamare vescovo-abate di Montecassino . […] La dichiarazione firmata dal Padre Abate sull’altare della Pietà, è stata rilasciata senza alcuna imposizione e pressione, perché corrispondente a verità».

Don Martino informò della tregua i civili ancora rimasti tra le rovine. Ma nessuno credeva a quello spiraglio. Proprio in quelle ore, si stava parlando di Montecassino anche dall’altra parte dell’Atlantico, e al livello più alto. Infatti, poco dopo le 16 a Washington (le 10 di sera, in Italia) – quindi molte ore dopo che in tutto il mondo radio, agenzie e giornali del pomeriggio avevano dato la notizia – il presidente americano Franklin D. Roosevelt tenne alla Casa Bianca una conferenza stampa in cui parlò anche di Montecassino, mostrando di averne saputo solo dalla stampa. Ecco la trascrizione integrale delle sue parole riportate nel transcript ufficiale della Casa Bianca:«Ho letto nel quotidiano del pomeriggio del bombardamento dell’Abbazia di Cassino da parte delle nostre Fortezze [Volanti]. Nella corrispondenza è spiegato molto bene [e indica l’articolo sull’“Evening Star” di Lynn Heinzerling, corrispondente di guerra dell’Associated Press] che il motivo per cui è stata bombardata è nel fatto che veniva usata dai tedeschi per bombardare noi. Era un caposaldo tedesco […] avevano l’artiglieria e ogni altra cosa lassù nell’Abbazia. Ma io ho pensato che potessero interessarvi […] un paio di ordini che erano stati emessi nel dicembre scorso [il 29] riguardo i monumenti storici. Questo è del comandante in capo – tale era a quel tempo in Italia – generale Eisenhower. […] Penso che sia abbastanza interessante […]. E il presidente americano lesse alla stampa la direttiva “Monumenti storici” (fino ad allora mai resa nota) che il 29 dicembre ’43 Eisenhower aveva inviato a tutti i comandanti, con la quale si cercava di conciliare le «necessità militari» e di salvaguardia delle vite dei soldati con l’esigenza di non distruggere testimonianze storiche e culturali, espressione dei valori per i quali gli Alleati stavano combattendo contro i nazi-fascisti. E l’altro [documento] è del tenente generale W. B. Smith [Walter Bedell Smith] che era il suo [cioè, di Eisenhower] Capo di Stato Maggiore. E lesse un documento “operativo” che – con maggiori dettagli rispetto a quello di Eisenhower – dava disposizioni per far rispettare gli edifici di culto e per evitare furti o danneggiamenti delle opere d’arte che vi erano contenute. Quelle [direttive] sono state emesse all’inizio dell’invasione, lo scorso dicembre. Non penso di avere altro».

Insomma, l’abbazia di Montecassino era stata inserita al primo posto nella lista dei monumenti religiosi da rispettare. Ma avevano prevalso le ragioni della «necessità militare», visto che era diventata – così si sosteneva – una «fortezza» tedesca. Del resto, nel rapporto settimanale dell’intelligence britannica, datato 15 febbraio, si comunicava, tra l’altro, a pagina 2: «Il combattimento è stato largamente concentrato nelle vicinanze dell’Abbazia che il nemico sta usando come roccaforte. È stato riferito che almeno sessanta posizioni di mitragliatrici sono negli edifici stessi». E i giornalisti americani, in quella conferenza stampa, non sembrarono interessati più di tanto all’argomento. Infatti, subito dopo quella dichiarazione di Roosevelt, la loro prima domanda riguardò problemi fiscali interni: «Signor Presidente, ha deciso se firmare o no il tax bill?…».

Anche il delegato apostolico a Washington, Amleto Cicognani, disse di aver appreso del bombardamento dalla stampa. Quel giorno, infatti, inviò a Roma un messaggio urgente: «Stampa americana mette innanzi che gli Alleati stanno bombardando Abbazia di Montecassino perché è diventata una fortezza tedesca». Quel 15 febbraio (alle 12:55 p.m. di Washington), il presidente americano rispose al telegramma che Churchill gli aveva inviato due giorni prima, nel quale il premier britannico aveva sottolineato la convenienza politico-militare di mantenere in vita il governo Badoglio con cui era stato firmato l’armistizio (un governo «completamente nelle nostre mani» e che «obbedirà alle nostre direttive molto di più di qualsiasi altro che noi potremmo laboriosamente costituire»). E Roosevelt gli comunicò, tra l’altro: «Sono decisamente sollevato dalle notizie dall’Italia. Sono stato felice di vedere i rapporti di Alexander e di Wilson […]». A cosa si riferiva il presidente americano? Warren F. Kimball, curatore del volume della Princeton University sulla «Corrispondenza completa tra Churchill e Roosevelt», ha scritto: «Poiché la campagna in Italia continuava a procedere male per gli Alleati, è difficile indicare quali notizie avessero così sollevato il Presidente. Probabilmente aveva ricevuto recenti rapporti sulla distruzione del monastero di Monte Cassino e sul successivo assalto alle posizioni tedesche in quell’area. Tuttavia, entro il 16 febbraio, quell’assalto era fallito e, lo stesso giorno, i tedeschi lanciarono un contrattacco sulla testa di ponte ad Anzio. I rapporti dei generali Alexander e Wilson, che si riferivano presumibilmente alla campagna in Italia, non sono acclusi a questo messaggio». Dunque, è «probabile» che il presidente americano ne sia stato informato non solo da un «quotidiano del pomeriggio», come aveva affermato in conferenza stampa. Ed è anche presumibile che le stesse informazioni siano state inviate al premier britannico.

E Churchill? Al contrario di Roosevelt, non risultano finora né quel giorno, né nei mesi successivi, suoi commenti ufficiali al bombardamento dell’abbazia di Montecassino, anche se il telegramma che aveva inviato il 14 febbraio ad Alexander – chiedendo notizie sul ritardo dell’attacco di Freyberg – e il messaggio del Comando alleato che fu invece a lui consegnato il 16 febbraio («Monastero neutrale su Monte Cassino distrutto, e in fiamme») dimostrano quanto direttamente seguisse quel fronte. Come si vedrà in seguito, Churchill ne scrisse alcuni anni dopo, nelle sue memorie, con imbarazzo, ammissione di fallimento militare di quell’operazione, e comunque difformità rispetto alle versioni del generale Clark e delle altre fonti americane. A Montecassino, ormai, era notte fonda, ma non silenziosa. Mentre tra le rovine echeggiavano le grida strazianti dei sopravvissuti che cercavano o piangevano fratelli, figli, genitori, i soldati indiani sferrarono l’attacco a quota 593. Come avevano amaramente scoperto quando ne avevano rilevato le posizioni, quella cima non era stata ancora conquistata dagli esausti americani, che avevano invece solo una base alle sue pendici. E, senza quel picco, a quasi un chilometro di distanza e poco più su dell’abbazia, non avrebbero potuto lanciarsi verso i monconi fumanti del monastero. Tutto il piano militare (bombardamento dell’abbazia e immediato attacco alle sue mura) era dunque saltato. «In conclusione», ha scritto lo storico militare Livio Cavallaro, sintetizzando l’esito fallimentare per gli Alleati di quella storica giornata, «il bombardamento di Montecassino, tanto desiderato da Tuker e Freyberg a beneficio di una vittoriosa manovra oltre la Linea Gustav, fu l’azione preparatoria di un attacco, effettuato circa otto ore dopo, da una sola compagnia di fanti inglesi su una collina difesa da paracadutisti tedeschi che nei giorni precedenti avevano annientato un’intera divisione americana». In quelle condizioni, fallì perciò anche quel tentativo notturno, effettuato con forze insufficienti, su un terreno di sassi e rocce, dove contavano soprattutto le riserve di bombe a mano, che dovevano essere trasportate con i muli su sentieri impervi, lunghi una decina di chilometri. Anche quei poveri animali venivano falciati. E all’alba fu ordinato il ripiegamento.

[Castelvecchi, 2014. © Lit Edizioni SrlPer gentile concessione dell’editore]

- Advertisment -

Articoli popolari