Papa Benedetto XVI ha aperto a Twitter: e tutti ne hanno elogiato la tempestiva lungimiranza. E sai la novità. Fu Pio II a interessarsi a quella diavoleria della stampa ideata da Johann Gutenberg, mentre gli illuminati principi del Rinascimento la ritenevano una schifezza e il duca d’Urbino vietava a quei libracci unti d’inchiostro su carta di stracci l’ingresso nella sua aulica biblioteca tutta oro e pergamena.
di Franco Cardini da “Avvenire” del 2 marzo 2013
Fu Innocenzo VIII a dar fiducia a quel matto di marinaio genovese che credeva possibile navigare per l’oceano. Fu Leone XIII ad accettare di farsi riprendere da quei bei tipi dei fratelli Lumière per la loro bizzarra invenzione delle forze in movimento. Fu Pio XI ad aprire una Radio Vaticana quando ancora i messaggi via etere erano sperimentali. Ma anche altri protagonisti della storia non hanno scherzato. Prendete il re d’Inghilterra. Enrico VIII, abilissimo nel far credere al mondo con i pamphlets dei suoi «intellettuali organici» di aver introdotto la Riforma nel suo Paese per il bene della Chiesa e non per i suoi interessi politico-economici.
Sua figlia Elisabetta I fu geniale nell’inventare in un sol colpo due «Leggende nere» destinate a durare nel tempo: quella contro la Spagna cattolica rea di ogni infamia e quella contro il papato eterno nemico di qualunque verità e libertà. I protestanti hanno bruciato molte più streghe dei cattolici ma ancora oggi nelle nostre scuole si continua a insegnare che uniche e responsabili di quei massacri furono la Chiesa e l’Inquisizione. Nel nome del no popery, il «spapizzazione», Cromwell massacrò scozzesi e irlandesi: eppure oggi sono in molti a pensare che quel bieco tiranno fosse solo un innocuo filosofo sensista…
Sorbiamoci dunque felici il polpettone televisivo ormai nemmeno troppo recente, ma abilmente riciclato, che il piccolo schermo ora ci propone e che entrerà a vele spiegate nelle nostre famiglie domani su La7. Tema: i Borgia. Se n’è occupato anni fa perfino Orson Welles: perché ora non rifilarci una lunga fiction dal sapore di «verità», con tanto di interpretazione di Jeremy Irons? I Borgia: il papa corrotto Alessandro VI, il figlio Cesare tiranno e assassino, la figlia Lucrezia debosciata e avvelenatrice. Sangue e sesso nel XV-XVI secolo: che volete di più? Con i soliti luoghi comuni, in parte puramente calunniosi, in parte spezzoni di verità cronistica montati alla rinfusa e cuciti insieme per squadernarci davanti una storia vista dal buco della serratura, tutta vizio prepotenza e intrighi, in cui non ci si cura affatto di situare quel che si narra nel contesto degli eventi e nel quadro socio culturale del tempo.
L’aveva già insegnato Voltaire: «Calunniate, calunniate: qualcosa resterà». Accidenti se n’è restato… Fu purtroppo un grande storico dell’Ottocento, Ferdinand Gregorovius, ad impiantare solidamente la «Leggenda nera» della grande famiglia aragonese legittimando l’idea, largamente inesatta, che le sue vicende tra il papato di Alessandro (1492-1503) e la morte di Lucrezia (1519) fossero solo una lunga sequenza di infamie. Scompare, nel polpettone televisivo, qualunque altro aspetto: la lungimiranza teologica e disciplinare del pur non a torto discusso papa Alessandro VI, di recente sottolineata anche da una bella pubblicazione scientifica dell’Istituto storico italiano per il Medioevo presieduto da uno studioso come Massimo Miglio.
Papa Borgia fu senza dubbio uomo del suo tempo, con tutto il peso morale che ciò può comportare: e peccatore fin che volete. Ma fu anche un papa straordinario: avviò la riforma degli ordini religiosi, mostrando di aver compreso i mali della Chiesa del tempo (quelli che avrebbero condotto alla rivolta di Lutero); sistemò la contesa ispano-portoghese dopo la scoperta del Nuovo Mondo, imponendosi per una versione equilibrata del problema.
Fu uno statista accorto che, riordinando l’amministrazione, le finanze e l’istituzione dello Stato della Chiesa e ponendo fine a molti abusi, dette da competente un energico impulso agli studi di diritto canonico, necessario per il riordino della gerarchia; fu paziente perfino dinanzi agli attacchi di Gerolamo Savonarola, che infatti fu vittima degli odii delle fazioni fiorentine più e prima che della sua volontà. Ma nella serie tv scompaiono anche (oltre all’abilità e al cinismo) le lucide dosi politiche e diplomatiche di Cesare, il «Principe Valentino»; l’intensa e ricca vita spirituale di Lucrezia nella seconda parte della sua esistenza, quando come duchessa di Ferrara fornì prove di generosità e di autentica pietas religiosa che sono state sottolineate da un’altra studiosa, Gabriella Zarri. Infatti Lucrezia morì nella fede, terziaria francescana e amica dei poveri.
Niente da fare: tutto viene macinato e sepolto nella valanga di luoghi comuni e calunnie, che per giunta — c’è da giurarci — saranno salutate come oro colato da un branco di teledipendenti. Dal semplice punto di vista storico, la fiction è un colabrodo di errori e di sciocchezze: a proposito del Nuovo Mondo da poco allora scoperto, si parla tranquillamente di «America» (entrato in uso solo a partire dal 1507, in seguito alla pubblicazione della Cosmografiadel geografo Martin Waldseemüller); il povero Gerolamo Savonarola viene arso sul rogo a Roma anziché a Firenze; Jem Sultan, uno sfortunato pretendente al trono ottomano venuto in Europa a cercare aiuto contro il fratello e rivale Bajezit e morto di polmonite nel 1495 a Napoli dove si trovava ospite — ostaggio di Carlo VIII — viene fatto uccidere dal malvagio pontefice, ovviamente col veleno. E mi fermo qui. Ma, a proposito di veleni, in questo brutto pasticciaccio televisivo ce ne sono davvero tanti.
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