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Guicciardini, l’ambasciatore ideale di Mussolini presso Hitler. Parola di Malaparte

Nei miei primi due blog mi sono occupato di Bongianni e di Luigi Guicciardini, fratelli del più famoso Francesco. Ora è venuto il momento di dedicarsi a lui, l’autore dei Ricordi e della Storia d’Italia, il grande maître à penser del Rinascimento italiano. Senza voler rimettere in scena Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, questo terzetto micidiale permette di riflettere su alcuni nodi della politica del passato e del presente. Ho dedicato un recente libro alla carriera al ministro “ben qualificato” al servizio dei Medici, e non sento il bisogno di ripetermi qui. Vorrei piuttosto cercare di rispondere ad una domanda attualizzante: cosa farebbe oggi Guicciardini? A questa domanda, rispose da par suo Curzio Malaparte. Rileggendo la prefazione del 1948 alla Tecnica del colpo di Stato (pubblicata a Parigi nel 1931), ho notato che citava un articolo uscito nelle Nouvelles Littéraires del marzo 1933 intitolato Immoralité de Guichardin. Articolo che sarebbe stato uno dei capi d’imputazione usati contro di lui dalla propaganda e poi dalla polizia fascista. L’articolo in effetti uscì il 25 marzo 1533 col titolo Guichardin, moraliste méprisable. La cornice è didascalica: alla domanda di un giovane tedesco su quale autore italiano gli consigliasse di leggere, Malaparte proponeva due opzioni: se intendeva mantenere la sua libertà nei confronti di Hitler, doveva leggere Mazzini, ma se si era rassegnato a piegarsi, gli raccomandava caldamente la lettura di Guicciardini. Il consiglio era solo in apparenza “machiavellico”:

«Malauguratamente, la grande borghesia d’oltre-Reno sembra meglio preparata al prudente realismo di Guicciardini che all’idealismo romantico di Mazzini. […] I principi, le massime, i consigli che il grande storico fiorentino affidava quasi ogni giorno alle proprie carte intime per il profitto dei suoi nipoti costituiscono il manuale più prezioso per la nostra epoca, il breviario del cortigiano, una guida irrinunciabile per tutti quelli che sono obbligati a vivere sotto una dittatura europea moderna e vogliono vivere in pace col loro tiranno».

Malaparte raccomandava dunque la nuova edizione dei Pensées et Portraits, pubblicata da Denoël et Steele nel gennaio 1933. Se si va a guardare la corrispondenza coeva di Malaparte, si scopre che l’editore in questione, Max Dorian, aveva appena pubblicato il bestseller di Céline, Le voyage au bout de la nuit, e aveva chiesto allo scrittore italiano, divenuto una celebrità in Francia grazie alla sua Tecnica, di scrivere una prefazione al Guicciardini, ma Malaparte aveva suggerito di rivolgersi ad un francese, Jacques Bainville. Per Bainville, gran borghese e fine conoscitore della storia germanica, Guicciardini non era che un buon borghese, «una sorta di Benjamin Franklin del Rinascimento». Non credete, aggiungeva, che somigli in alcun modo a Machiavelli. Vi è fra questi due uomini la differenza che separa una persona molto rispettabile da un’altra che non lo è sotto nessun riguardo. «Il guicciardinismo è un machiavellismo intriso di decenza. Guicciardini non avrebbe mai scritto delle commedie libertine. Non coltivava che i generi seri». E proseguiva:

«Guicciardini fornisce dei precetti di condotta profittevoli a ogni epoca e che potrebbero diventarlo ancora di più. Cosa ne sappiamo? O piuttosto temiamo di presentirlo. Dei giorni del chi vive forse ci attendono».

Prendendo la palla al balzo, il malizioso monito di Malaparte non si fece attendere:

«Se i giorni del chi vive arrivano all’improvviso, se il buon popolo francese si risveglia un bel giorno sotto la benevola protezione d’un Cesare rosso, giallo o verde, che cosa potrà apprendere leggendo Guicciardini? Apprenderà l’arte di piegare le ginocchia e la schiena. Se il Principe di Machiavelli, manuale del perfetto dittatore, è il codice delle leggi che servono a istituire e a mantenere un dittatore, i Ricordi di Guicciardini sono il vademecum del perfetto cittadino d’uno stato privato di libertà, una raccolta di regole indispensabili a chi vuol vivere senza noie (ma al prezzo di quali rinunce e di quali banalità!), sotto lo scarpino verniciato (non bisogna parlare di stivale: è una parola fastidiosa!) del dittatore moderno».

Cesare può vestirsi come un Arlecchino, e calzare scarpini verniciati invece che stivaloni neri, ma quando arrivano i giorni del «chi vive» (e chi muore), bisogna trovare un abbigliamento decente e aggrapparsi alle magre certezze conservatrici. Ed ecco la conclusione fulminante di Malaparte:

«Se Francesco Guicciardini fosse ancora vivo, Mussolini lo invierebbe certamente presso Hitler in qualità di ambasciatore straordinario. Insegnerebbe ai tedeschi la comoda arte di piegarsi alle circostanze. Non sarebbe la sua prima missione diplomatica. Non fu forse ambasciatore della Repubblica di Firenze presso il re di Spagna Ferdinando il Cattolico, poi direttore degli Affari esteri in Vaticano? Nessuno è più indicato di lui per dare ai tedeschi dei consigli di prudenza. E si può star sicuri che s’intenderebbe perfettamente con Hitler – salvo lasciare nelle sue carte intime un ritratto poco lusinghiero del dittatore».

In effetti Guicciardini fu ambasciatore in Spagna (nel 1512-1513, a cavallo fra il governo repubblicano e il regime mediceo) e poi, dopo una lunga gavetta in cui aveva mostrato una ferrea lealtà nei confronti dei padroni di Firenze e di Roma (ovvero dei papi Leone X e Clemente VII), luogotenente pontificio (nel 1526-1527). Chi volesse seguire l’alfa e l’omega della sua parabola professionale fino alla caduta dei Medici, inclusa la sua spettacolare e feroce auto-accusa, non ha che da sfogliare il mio recente compendio critico.

Quel che colpisce qui è l’uso di Malaparte del titolo anacronistico di “direttore degli Affari esteri in Vaticano”. Era una strizzata d’occhio e un rimprovero indiretto al Duce (a pochi anni dal Concordato) per non aver mantenuto una promessa a mezza bocca nel compensare Malaparte con un incarico diplomatico (dopo la perdita della direzione de «La Stampa»). L’allusione alle “carte intime” contenenti un ritratto poco adulatorio del dittatore era in effetti autobiografica: in quei mesi del 1933 trascorsi fra Francia e Inghilterra Malaparte lavorava alla stesura di un pamphlet devastante contro “Muss.” o “il grande imbecille”, lettura alquanto edificante ed educativa. Oltre a riflettere sulle origini religiose (cattoliche e controriformistiche) del fascismo, e al culto italiano dei santi e degli eroi, ritrae Mussolini che in una conversazione con lo scrittore (i cui libri erano proibiti in patria) si abbandona a considerazioni poco simpatiche sull’omologo tedesco, dicendo persino che il suo didietro troppo pronunciato esigeva una poltrona molto larga per contenerlo. Un’immagine inquietante e sgradevole, alla luce dei fatti posteriori!

Malaparte non dissimula il suo risentimento contro l’auto-idolatria, la vanità e l’egocentrismo di Muss., e bisogna far la tara visto che viene da un egocentrico come Curzio, il quale peraltro avrebbe pagato per le sue intemperanze verbali con il carcere e il confino, per esser poi liberato grazie all’intervento di Galeazzo Ciano, il genero del Duce.

Del resto, nel delineare il carattere nazionale in rapporto al suo leader, Malaparte scrive: “L’italiano è realista, guarda al sodo, al proprio tornaconto, al proprio «particolare» del Guicciardini”. Non deve sorprenderci quindi la continua commistione fra pubblico e privato, fra interesse dello Stato e quello “particulare”. Nei Ricordi ritroviamo infatti l’elogio freddo della “prudenza”, della “discrezione”, eufemismo che designa la suprema adattabilità alle circostanze. Cosa farebbe dunque Guicciardini oggi? Forse andrebbe in televisione a difendere con sottili argomenti l’illegittimità dell’invio delle armi all’Ucraina, pur riconoscendo gli errori tattici e strategici della Russia. Si candiderebbe come ambasciatore a Mosca o a Pechino (sulle tracce del reporter Malaparte). E in campagna elettorale si schiererebbe ambiguamente con la coalizione della destra, non senza lodare il cauto europeismo della sinistra…

Fra gli scritti di Malaparte vi è anche un’opera sferzante intitolata Don Camalèo. Chi vincerà l’Oscar o l’Orso o il Leone per il miglior camaleonte nell’Italia del dopo 25 settembre 2022?

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