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Siamo fregati: Tecnica e Modernità avanzano inesorabili

Matrix l’aveva predetto: nata per servire l’uomo, la tecnica è finita per esserne il padrone assoluto, temibile e indiscusso. Questa, almeno, sembra essere la non rassicurante conclusione dell’ultimo lavoro, arduo e avvincente allo stesso tempo, di Luigi Iannone, Critica della ragion tecnica, Idrovolante edizioni (pp. 238, € 18,00). Il compianto Sir Roger Scruton, nella prefazione, afferma che “questo è un libro per il nostro tempo, ed è un libro che dà valore alla ricerca filosofica”, perché indica, come unica possibile via d’uscita da questo apparente vicolo cieco, la dimensione del sacro, ignorata dalla politica, dall’economia, e anche da molta filosofia, pur essendo, questa, la sola che può ridare significato all’esistenza.

Senza quasi accorgercene, abbiamo poco alla volta, e via via sempre più rapidamente, consegnato le chiavi della nostra vita alle macchine, per vivere più comodamente, illudendoci che “comodo” fosse un sinonimo di “migliore”. Purtroppo, non abbiamo compreso che la tecnica non è solo questione di macchine, ma è una realtà ben più complessa, che produce “una costruzione simbolica di un orizzonte planetario tale da non poter essere quasi mai percepita nella sua pericolosità”, Insomma, la tecnica opera un processo di radicale modifica dei comportamenti sociali, dell’equilibrio ambientale e nella relazione umana con lo spazio e col tempo. Ovviamente, tale problema era già stato colto, nella sua essenza, dagli Antichi, che lo avevano simboleggiato col mito di Prometeo, ma che non potevano immaginare una caduta così rovinosa per l’intero genere umano.

L’Autore, apprezzato studioso del pensiero conservatore con all’attivo una nutrita e densa bibliografia, ripercorre con passo sicuro i percorsi tracciati dai miti del passato e dai filosofi contemporanei, soffermandosi in particolar modo su alcuni pensatori critici della modernità come Martin Heidegger, Arnold Gehlen e soprattutto  Ernst Jünger. Se per Heidegger, “solo un Dio ci può salvare”, come recita la sua ultima, lunga intervista, e se Gehlen non ha percepito fino in fondo il pericolo nel quale siamo immersi, è Jünger a suggerire dei modelli di comportamento diversi da quello dell’Apprendista stregone, che deve attendere il suo mentore per riparare i guasti prodotti dalla sua incompetenza. Nel Trattato del Ribelle, che in tedesco, Waldgaenger, suona come “imboscato”, indica esattamente la via dei boschi, il ritiro in uno spazio d’azione ristretto, di chi non vuole riconfigurare l’esistente. In Eumeswil, invece, tratteggia la figura dell’Anarca, che, al contrario, si mimetizza perfettamente nella società,  dalla quale però non si lascia contaminare. La differenza tra i due è che l’imboscato è stato bandito dalla società, mentre l’Anarca ha allontanato la società da sé.

 Iannone, quindi, non rimpiange il passato e non crede in nessuna mitica età dell’oro: si pone qui e ora, nel mondo globalizzato dove ogni aspetto della dimensione umana è stato plasmato, modificato e dominato dalla tecnica, come sembrano dimostrare indiscutibilmente le conseguenze dell’epidemia da Covid-19: al piacere di uscire con amici abbiamo sostituito la piattaforma streaming sul divano; agli incontri conviviali, il pasto ordinato con il telefonino e consumato in solitudine; al sesso reale, quello virtuale; alla politica, i sondaggi e all’economia reale, le speculazioni gestite dagli algoritimi. Il tempo, diventato denaro, non è più nostro, ma di chi ci organizza il lavoro e, ora, anche il tempo libero. Rendersene conto sarebbe già un primo passo verso la salvezza.

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