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Intervista ad Alain Elkann: “Il fascino degli anti-eroi coerenti e perdenti. Come Ezra Pound”

Protagonista indiscusso del Modernismo letterario che ha caratterizzato il Novecento, Ezra Pound è stato oggetto di analisi letterarie e saggi critici, ed è anche un potentissimo motore della cosiddetta “industria accademica”, che ha favorito centinaia di carriere universitarie, e pubblicato migliaia di articoli e saggi dedicati all’autore dei Cantos, in tutte le lingue e su ogni aspetto della sua vita e delle sue opere. A lui, inoltre, sono stati dedicati film come American Odissey, documentari come la celebre intervista con Pasolini, drammi teatrali come quelli, splendidi, realizzati da Leonardo Petrillo, e persino opere di narrativa come La spia, di Justo Navarro (Voland) e il recentissimo, e decisamente inaspettato, romanzo Il silenzio di Pound di Alain Elkann, appena pubblicato da Bompiani (pp. 160 € 15,00)

Il protagonista è Morli, uno scrittore maturo – plausibile alter-ego dell’autore – che, isolato a Londra durante della pandemia, viene preso dall’ossessione per gli artisti geniali, tra i quali spicca, naturalmente, il poeta americano accusato di tradimento e mai processato, perché ritenuto incapace di intendere e volere. Pound è, nelle parole di Morli, “un uomo che fin da giovanissimo era stato un ribelle, un pigmalione, uno scopritore di talenti e aveva lui stesso un grande talento”, ragioni per cui lo scrittore, “che viveva a Londra, preferiva le stilografiche a stantuffo e amava passeggiare nei parchi, dove si sentiva libero, straniero in terra straniera” decide di scrivere un romanzo sul Pound anziano, che si è ritirato a Venezia con Olga Rudge, madre dell’unica sua figlia Mary.

Morli è roso dall’idea di non essere un genio: per quanto abbia avuto un discreto successo “sapeva che la sua opera non era all’altezza della sua ambizione” e soprattutto della sua vanità. Confrontandosi con i suoi tre anziani amici, uno dei quali aveva conosciuto Pound quando era rinchiuso nel manicomio criminale di St Elizabeths’, decide di traferirsi a Venezia per ripercorrere i luoghi dove l’autore dei Cantos aveva trascorso i suoi ultimi anni, e incomincia a scrivere un romanzo che alla fine rimarrà incompiuto. Abbiamo incontrato l’Autore per intervistarlo sui motivi che lo hanno spinto a occuparsi di Ezra Pound.

Lei afferma che ci sono tre autori a lei particolarmente cari: Hemingway, Joyce e Pound, ma sembra che solo quest’ultimo abbia suscitato l’interesse necessario ad approfondirne la vita a tal punto da scriverci un romanzo…

Certamente, di tutti e tre, mi interessa più la vita dell’opera, anche se, frequentemente, l’opera coincide con la vita. Mi ha sempre affascinato la vita irruenta di Hemingway, ma anche quella delicata di Joyce, legato a Svevo, a cui insegna inglese e, naturalmente, quella del caro amico di entrambi, il ribelle, eccentrico e vulcanico Ezra Pound.

Pound, quindi è entrato nei suoi interessi grazie a loro?

In realtà, come io mi sia avvicinato a Pound, non lo so esattamente, perché è stato un interesse tardivo, al contrario degli altri due citati. Probabilmente, Ezra Pound entra nei miei interessi tramite una città che ho sempre amato: Venezia. Quando, giovanissimo, studiavo in Svizzera all’università, collaboravo con un giornale elvetico, e scrissi il mio primo articolo proprio su Venezia. Anche il mio primo racconto pubblicato, Federico Coppell, ha a ce vedere con la capitale lagunare: era la storia di questo svizzero innamorato di Venezia, esattamente come lo sono diventato anch’io. Era quindi inevitabile che, prima o poi, dovessi incontrare Pound, nato come poeta proprio in questa città, dove è venuto a vivere, e, da vecchio, a morire. Avevo impresse nella mente le belle foto di Pound a Venezia, dove si aggirava con l’aspetto di un gran personaggio, munito di bastone, mantello e cappello che gli conferivano un’apparenza ieratica. Mi ha sempre interessato, poi, l’epoca storica appena precedente alla mia nascita, quella del fascismo, e particolarmente quella relativa alla fine della Seconda guerra mondiale, e soprattutto il crepuscolo tragico del fascismo. Avevo conosciuto, a questo riguardo, un nipote di Alessandro Pavolini, che fu, tra l’altro, anche un bravo scrittore e un fine intellettuale, che mantenne fede ai suoi ideali fino alla fine andando incontro a morte certa. C’è un’idea che ritorna, in forma episodica, in tanti miei libri, un’idea che riguarda l’attenzione verso chi sceglie la “strada sbagliata”, o comunque preferisce i perdenti e coloro che, fino alla fine, non cambiano cavallo, come al contrario hanno fatto in tanti. Invece di abiurare, come hanno fatto anche molti scrittori italiani, penso a Malaparte e Longanesi e altri che diventano addirittura comunisti, questi sono andati fino in fondo, giudicati – almeno fino a un po’ di tempo fa – sia dalla società sia dalla vita dei perdenti. E anch’io, nella mia biografia (e in un libro intitolato Piazza Carignano, Mondadori 1985), ne ho incrociato uno: mio zio Ettore Ovazza, che era ebreo e fascista, talmente fascista che fece una rivista come “La nostra bandiera” dove scriveva che i sionisti sono dei traditori; impedirà ai figli di andare in Svizzera e lui stesso denuncia i fratelli che sono andati via, ma verrà ammazzato dai tedeschi con la moglie e i fratelli a Intra nel 1943. Questo personaggio, che nella mia famiglia veniva tenuto un po’ nascosto, mi affascinava al punto da spingermi a scrivere un romanzo su di lui. Mi domandavo se queste persone, che vanno fino in fondo seguendo le loro idee, sono degli anti-eroi, dei personaggi che rimangono sempre coerenti, a costo di perdere la vita o finire come Pound, richiuso in un manicomio criminale. Diciamo che mi affascinano molto la coerenza delle idee nella vita.

Quindi, le interessa soprattutto la relazione tra arte e vita…

Sicuramente le vite degli artisti mi affascinano, soprattutto se sono molto particolari, penso a Rimbaud e agli altri cosiddetti poeti maledetti, anche se, talvolta, la loro sensibilità si manifesta sotto forma di ingenuità, come forse è capitato a Pound, quando ha incontrato Mussolini, e, invece di parlargli di poesia, gli ha fatto una lezione di economia… Di Pound mi attrae anche l’idea che, nonostante fosse così innamorato del fascismo, in Italia non ha avuto né cercato la gloria che è stata data a tanti altri, per esempio a Marconi o a Pirandello. Va a vivere, per sua scelta, a Rapallo, lontano da Roma e dai fasti del Regime. Si costruisce da solo i mobili per la sua casa, come già aveva fatto a Parigi, e si tiene lontano dai circoli che contano, senza cercare di diventare un protagonista del fascismo. In questo senso è americano e non è un traditore. Crede che Mussolini debba ispirarsi a Jefferson, e in questo modo bizzarro di porsi e di vedere le cose è sicuramente un ingenuo. È generoso, e alle sue invettive contro l’usura affianca un totale disinteresse verso i soldi. Ha delle idee eccentriche, come è eccentrico anche nel modo di vestire e di porsi, ma è un figlio tenero e devoto. Vuole i genitori con sé a Rapallo e se ne prende cura amorevolmente così come avrà delicata tenerezza con tutte le sue donne, la moglie, l’amante e le altre…, sempre con elegante riservatezza, però.

Un momento della presentazione milanese del romanzo di Alain Elkann (al centro) “Il silenzio di Pound” con Luca Gallesi (a sinistra)

E, infatti, il suo libro si intitola Il silenzio di Pound.

E’ una delle tante, forse solo apparenti, contraddizioni presenti nella sua vita, come quando,  etichettato come fascista e antisemita e rinchiuso in manicomio criminale in attesa di essere giudicato per tradimento, vince invece  il prestigiosissimo Premio Bollingen, ossia quello che sarà il Premio Nobel della poesia. Ecco un altro scandalo, che lo conferma come ineludibile personaggio, quasi una star, di cui si deve sempre parlare. Al contrario degli altri, come Eliot, Hemingway e Joyce, che sono degli individui singoli, Pound è un fulcro, un centro di energia in mezzo a tutti loro, un trait d’union tra questi giganti, con i quali ha costruito una rete. E tutti gli vogliono bene fino in fondo, nonostante i suoi errori: Hemingway lo aiuta a uscire di prigione, Eliot è stato determinante nel fargli vincere il Bollingen, eccetera. E, tornando alla domanda principale, che riguarda il mio interesse nei confronti di Pound, devo dire che sono stati tutti questi elementi ad avermi affascinato. Non ero sicuro, e non lo so nemmeno ora, se Pound fu davvero un genio, e per questo ho iniziato una specie di inchiesta su di lui, cercando di capire anche cosa ne pensavano gli altri. Quando, poi, uno entra in Pound – e questa è una cosa incantevole – non ne esce più. Io, però, volevo scrivere un romanzo, e non raccontare quello che molte biografie hanno già detto. Leggendo un articolo di Montanelli, che voleva conoscere Pound, mi ha colpito il fatto che racconta: quando lo incontra, questo non gli parla. La cosa mi ha incuriosito molto; Pound parlava tantissimo e poi, a un certo punto, tace, senza però smettere di essere un personaggio: con la barba, il cappellone, la cappa e il bastone, mi ha ricordato un po’ la figura di Byron, un altro poeta eccentrico innamorato di Venezia.

Tornando al suo romanzo, che si apre con una scena degna della Waste Land, in una Londra deserta a causa della pandemia, il protagonista, Morli, che è un po’ il suo alter ego, decide di scrivere un romanzo su Pound, e in particolare sul suo silenzio…

 Il problema è quello, infatti, ovvero, come far parlare uno che non parla? E quindi devo trovare un escamotage per farlo parlare. All’inizio non ci riesco, e faccio parlare Olga, che dice a Pound una sequela di banalità, e poi gli affianco un giovane, Alfio, un personaggio dinamico, ex-ufficiale dei paracadutisti, ricco, colto e nullafacente che piace al vecchio poeta, e che, non si capisce bene perché, finirà suicida. È Alfio a decidere che Pound è un genio, mentre lui non lo è. Entrambi, forse, anelano all’Assoluto, e Pound riesce a raggiungerlo, al contrario del giovane amico. E di Morli.

L’interesse, comunque, verte sempre sulla vita di Pound, e non sulla sua opera.

Certamente, la mia curiosità riguarda come vivevano effettivamente i miei personaggi; cosa faceva Pound, chi incontrava e come viveva negli anni tremendi della guerra, soprattutto gli ultimi, della Repubblica di Salò, durante i quali ha tenuto salda la fede nelle sue idee, giuste o sbagliate che fossero. Trovo inoltre affascinante il suo amore per l’Italia, probabilmente per il suo essere la terra mediterranea per eccellenza, ricca di vita, sole e bellezze.

Tornando alle domande che, all’inizio del libro, si pone il protagonista: che cos’è un genio? E che cos’è la poesia?

Un genio è qualcuno che inventa qualcosa che non c’era, che costruisce qualcosa che nessuno aveva mai pensato di fare… qualcuno che, magari, nella vita non è affatto un genio ma che ha fatto qualcosa di geniale, qualcosa che ha migliorato – o peggiorato – la vita di tutti. Einstein, per esempio, inventa qualcosa che può essere meraviglioso o catastrofico. La poesia, come il disegno, è qualcosa che esiste da sempre, una delle poche, vere necessità umane, che è stata trasmessa oralmente per moltissimo tempo. La poesia va recitata, come Pound sa benissimo, e come si può vedere nella bellissima intervista che gli ha fatto Pasolini, dove legge molto efficacemente alcuni dei suoi versi. A proposito di Pasolini, e delle tante contraddizioni nella vita di Pound, mi piace ricordare, come ho fatto nel libro citandolo con uno pseudonimo, che anche un altro comunista amava molto Pound: Enzo Siciliano, che conoscevo bene. Iscritto al P.C.I., tradusse i Canti 96 e 97, anche se lui non me ne ha mai parlato, e io l’ho saputo dal figlio. Non me lo disse per riserbo, o forse perché, quelli che lo riconoscono come grande poeta, sono disturbati dalle sue idee. Rimane la questione di chi può essere definito un grande poeta… Dante e Leopardi, per esempio, sono grandi poeti, perché sono capaci di esprimere coi loro versi delle verità straordinarie, come, nel mio romanzo, faccio dire a Pound: “Io sono un poeta”, e questa definizione è migliore di tutte le altre, come quelle di fascista, scopritore di talenti, intellettuale, manager culturale, seduttore. E, soprattutto, è quello che la gente comune sa di Pound, che per tutti è esattamente e solo questo, un poeta.

Che rapporto c’è tra poesia e vita?

Credo che la poesia possa aiutare a vivere; se, come faccio dire a uno dei protagonisti del romanzo: “La vita umana, se non per pochissimi eletti, è un percorso di sopravvivenza, senza un senso e senza un vero scopo”, la poesia, insieme alle altre arti, è probabilmente un modo dell’essere umano di interpretare le emozioni che ti danno l’amore, la bellezza e la natura o anche la catastrofe e le tragedie. La poesia può essere un veicolo attraverso il quale certe esperienze si riflettono sull’animo umano, possiamo dire che, in un certo senso, è la voce dell’anima, che comunque si esprime con un rigore che potremmo definire scientifico. La musica, la matematica e anche la poesia sono in fondo la stessa cosa, svolta rispettivamente con i suoni, con i numeri e con le parole. I filosofi, i poeti, i letterati usano le parole esattamente come i matematici usano i numeri, e i musicisti le leggi dell’armonia, tutte cose che Pound, avendo avuto come amici artisti del calibro di Brancusi, Antheil, Wyndham Lewis e Gaudier Brezska, capisce benissimo.

Quindi le arti possono migliorarci la vita?

Per chi le fa, sicuramente. Essere artista è una dimensione meravigliosa, ed è un viaggio entusiasmante anche per chi gode dell’arte senza essere un artista. Chi non legge, chi non ascolta musica, chi non vede l’arte non ha dei punti di riferimento, e vive, secondo me, una vita molto povera, come chi, anche, mette il denaro innanzi a tutto. Gli artisti vivono più di una vita, e coloro che sono in grado di apprezzarli sono più privilegiati di chi è ricco, perché hanno il privilegio di capire la musica, la poesia, l’arte, e anche la bellezza del mondo.

Nel suo libro parla delle maschere che ognuno di noi indossa per le varie esigenze della vita. Una delle prime raccolte di Pound si intitolava Personae, che in latino significa “maschera”. Un’altra coincidenza?

Nel mondo di oggi è un pochino meno evidente, ma un tempo le maschere erano esplicite. Le divise caratterizzavano le persone: un generale è uno con le medaglie, con il cappello e i gradi, poi ci sono i preti, che un tempo di distinguevano dall’abito, e così via, mentre oggi viviamo in un mondo di blue-jeans uguali per tutti. Lo stesso Pound si presenta con una cappa, il bastone, la camicia col collo molle e un grande cappello che protegge chioma e barba profetica in modo da costruire chiaramente un personaggio, ovviamente diverso da quello muscoloso e sportivo di Hemingway o quello da impiegato di banca di Eliot, che tale rimane tutta la vita. Da anziano, anche nel suo silenzio, Pound emerge come personaggio, nella nebbia e tra i canali di Venezia, città che per lui ha una importanza enorme, e dove io ho ambientato il mio romanzo. Qui nel 1908 inizia la sua carriera di poeta, e qui, in questa città dove la commistione tra la luce, l’acqua e l’architettura infonde un’ispirazione unica, riposa per l’eternità accanto a Olga.

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