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E' la Storia, bellezza...

Romanzi storici: maestri di scherma, maestri di vita

Jaime Astarloa, cinquantenne maestro di scherma di vecchia e solida scuola, si è intrufolato nel mio personalissimo Pantheon ormai da vari anni. Con i modi cortesi e decisi di chi sa farsi rispettare senza guasconerie – perché privo dell’arroganza di chi ha le tasche piene di certezze da suggerire o imporre al prossimo – si è andato a sedere al suo posto, incurante della compagnia. Che, ammetto, non è tra le più coerenti visto che ci trovan posto personaggi storici discussi, rock star, attor comici, storici veri, maestri di vita, un santo, un paio di scrittori, altrettanti eroi, un papà… Ma, garantisco, la compagnia è compatta, resa inossidabile dalle mille prove cui è stata sottoposta. Chi, una volta entrato, è arrivato fino ad oggi, è che con me poteva starci davvero. Ed così che anche Jaime Astarloa (d’ora in avanti semplicemente Jaime) è finito, buon ultimo, a sedersi con gli altri. In verità Jaime si porta dietro anche il suo “creatore” visto che è un personaggio da romanzo e di un romanzo. Anche se ci scommetto che di Jaime Madre Terra ne ha visto diversi nei secoli. Comunque, nel caso presente, Jaime è “figlio” di Arturo Pérez-Reverte, titolato romanziere spagnolo, regolamente pubblicato anche in Italia anche se da queste parti non è mai stato molto amato. Il perché lo scoprirete conoscento meglio, appunto, Jaime. Sblam. Porta chiusa. Ormai, in vista dei sessanta, un Pantheon che si rispetti deve aver finito da un pezzo anche i posti in piedi.

Jaime e il “suo papà”, Arturo, sono spagnoli tutti e due ma di secoli diversi. Anche le “armi” di elezione differiscono: Jaime usa il fioretto, Pérez-Reverte la penna che di volta in volta può aver le sembianze di una Mont Blanc, di una tastiera di computer, di un lapis (quando faceva il corrispondente di guerra), di una sciabola, di una mazza ferrata, di una piuma. Jaime è forse il migliore dei suoi figli, il più triste, il più coerente, il più onesto, il più educato, il più fuori dal mondo dei personaggi di Pérez-Reverte. Jaime è il protagonista di «Il maestro di scherma» (pp. 284, Marco Tropea Editore). Il libro è stato scritto da Pérez-Reverte (d’ora in avanti P-R) a metà degli anni Ottanta ma gira per l’Italia solo dal 1998. Del resto anche altri libri di quello che è stato definito «il Dumas dei nostri giorni» o il maestro del thriller intellettuale sono arrivati da noi con ritardo. Ma comunque chi non conosce ancora Pérez-Reverte ed ha ancora posto nel proprio Pantheon ha di che sbizzarrirsi.

Arturo Perez-Reverte, Cartagena (Spagna) 1951

A ben vedere Jaime di altri fratelli ne può far anche a meno anche perché in un solo, delizioso, libretto P-R gliene ha dati qualche centinaio, tutti gli effettivi cioè del secondo battaglione del 326° reggimento di fanteria spagnola in forza all’Armé napoleonica in sfortunata missione in Russia nel 1812. E’ tutto il reggimento ad essere protagonista di «L’Ombra dell’Aquila» (pp. 124, Tropea), uno dei più efficaci P-R anti-guerra (ma non pacifista), anche lui deliziato dall’iperbole (forse vera, forse forzata dalla fantasia) di un reparto di spagnoli trascinati a crepare di freddo in Russia per sostenere il sogno imperiale della Francia di Napoleone. E che, alla (fantastica invenzione letteraria) battaglia di Sbodonovo, alle porte di Mosca, decide di disertare in massa. Ma malasorte vuole che per disertare in piena battaglia si debba andare verso le linee russe che, non preavvertite, si ritirano precipitosamente: per cui gli spagnoli che volevano lasciare in brache di tela Napoleone e i suoi si ritrovano decorati e citati nell’Ordine del giorno per la temeraria e coraggiosissima sortita.

Mi è sempre venuto spontaneo legare quelli del 326° battaglione a Jaime. C’è un qualcosa di lucido e disperato in tutti loro, un tentativo di tirarsi fuori in qualche modo da un mondo che non sentono loro, dominato da un destino che li riporta indietro usando ora «l’Ombra dell’Aquila» ora le forme deliziose di Adela de Otero, una nobildonna della Madrid del 1868, che si è impuntata di voler prendere lezioni di scherma anche se, già dalle prime stoccate, Jaime nota che di lezioni Adela non avrebbe bisogno. Ma a Madrid tutti sanno che Jaime, ancorché legato ad una visione classica della scherma, alieno dalle inevitabili innovazioni (tecniche ma anche politiche) che la Storia porta incessantemente, ha un colpo segreto, l’unico forse in grado di creare una eccezione alla regola secondo la quale «la stoccata perfetta non esiste perché ce ne sono molte. Ogni colpo che raggiunge il suo scopo è perfetto. Ma c’è sempre una mossa che potrebbe pararlo». Per cui la vera perfezione si fa strada grazie all’errore altrui: «Un assalto fra spadaccini esperti in teoria potrebbe durare in eterno. Ma il destino, che spesso si serve dell’imprevisto, pone fine alla lotta, inducendo in errore uno degli avversari. Perciò il segreto è questo: occorre concentrarsi e tenere a bada il Destino, anche solo il tempo necessario perché l’errore lo commetta l’altro. Tutto il resto è illusione».

Ma è davvero il colpo segreto di Jaime a far gola alla bella Adela? Un thriller si svela all’ultima pagina e poi il fascino di Jaime sta solo in parte nel suo segreto di scherma. Tutta la vicenda si svolge infatti in un contesto storico che fa di Jaime un eroe involontario ma autentico. La sua è una “ribellione contro i tempi moderni”, fatti di politici mediocri, di tecnologia senza onore, di filosofie senza etica, di società che si sfaldano (siamo alla fine del regno non esaltante di Isabella II) senza un perché…  «La nostra arte sta passando di moda signora» dice a pagina 90 Jaime ad Adela «Le sfide alle armi bianche sono ormai rare, poiché la pistola è più facile da maneggiare e non richiede una disciplina rigorosa. La scherma sta diventando un passatempo frivolo – pronunciò con sprezzo le ultime parole – Ora la considerano uno sport… come se si trattasse di far ginnastica». E Adela: «Voi, naturalmente, vi rifiutate di considerarlo così…». «Naturalmente. Insegno un’arte, così come l’ho imparata: con serietà e rispetto. Io sono un classico». E Adela, “con voce neutra”: «Siete nato troppo tardi, don Jaime… O non siete morto al momento giusto».

E più si allontana dal “momento giusto”, Jaime si comporta da classico, volutamente demodé: «Le sue risorse gli permettevano appena di vestirsi in modo dignitoso, ma lo faceva con un’eleganza decadente, lontana dai dettami della moda; gli abiti, anche i più recenti, erano disegnati su modelli di vent’anni prima, il che alla sua età contribuiva a conferirgli un certo tono. Tutto ciò dava al vecchio maestro di scherma un aspetto fuori dal tempo, insensibile alle nuove usanze dell’agitata epoca in cui viveva. Di certo lui stesso se ne compiaceva intimamente, per oscure ragioni che forse neanche il diretto interessato sarebbe stato capace di spiegare». E in un “sentire di essere” che non si fa “spiegare” del tutto sta la ragione della identificazione con Jaime, piccolo modello di ribellione silenziosa. Quella cui costringono anche questi tempi, dove il vento della Storia insiste a soffiare da quella che mi pare, da ogni punto di vista, la parte sbagliata.

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