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Ricostruzioni storiche ribelli

L’altra faccia di Roosevelt/2 Dietro il Mito di un presidente Usa

(seconda parte – si può leggere la prima parte quì)

Non va dimenticato che Roosevelt e Churchill nell’agosto del 1941 firmarono la Carta Atlantica, che era una dichiarazione di intenti nel conflitto, nonostante, di fatto, gli Usa non fossero in guerra. Anche l’ “Affare del Greer” è chiarificatore. Il 4 settembre del 1941,una nave da guerra americana, il Greer, che, secondo Roosevelt stava effettuando un servizio postale verso l’Islanda, venne colpita da due siluri sparati da un sottomarino tedesco. Per il presidente americano fu un “ignobile atto di pirateria”. In realtà il Greer stava pedinando l’U-Boat tedesco, segnalando la posizione alla Raf, che infatti aveva già lanciato contro il sottomarino bombe di profondità.

Churchill confidò ai suoi assistenti che Roosevelt gli aveva detto testualmente : “Bisogna fare di tutto per provocare un ‘incidente!”. (Vedi George Brown Tindall  e David E. Shi, “America: a Narrative History“, vol. 2, 7° edizione, Norton & Company, New York e Londra, 2006, pag. 1084). In questa direzione, nella storia degli Usa non mancano esempi simili ad incominciare dall’incidente del Maddox nella Baia del Tonchino, che poi servì agli Usa per scatenare la guerra in Vietnam, per stessa ammissione del segretario alla Difesa Usa, Robert McNamara.

Non si può nemmeno dimenticare la campagna persecutoria che il presidente americano scatenò contro i membri dell’America First Committee, che si opponevano alla guerra, fra questi i più noti furono Frank Lloyd Wright, l’aviatore Charles Lindbergh, lo scrittore Gore Vidal. E’ curioso notare che tutti coloro che si scagliano “lancia in resta” contro la famosa “caccia alle streghe anticomunista” di Joe Mc Carthy, rimangono invece straordinariamente silenti per quanto concerne la “caccia alle streghe rooseveltiana” contro gli antiinterventisti.

In particolar modo, verso la fine del conflitto, quando Roosevelt era ormai gravemente malato, si trovò attaccato come un’ombra Henry Morghentau jr, Segretario del Tesoro, da non confondere con il padre Henry Morghentau sr, che fu ambasciatore americano presso l’Impero Ottomano durante la Prima Guerra Mondiale e che si distinse per gli sforzi per perorare la causa degli Armeni, che avevano subito atroci persecuzioni. Morghentau Jr fu colui che propose il ” Piano di Pastorizzazione della Germania”, alla fine del secondo conflitto mondiale. Al suo riguardo la vendetta antitedesca del Trattato di Versailles, che poi causò nei fatti la II Guerra Mondiale, era un’inezia.

Roosevelt fu sicuramente dipendente dai voleri dei grandi petrolieri, in particolare dalla Standard Oil, ovvero dai Rockfeller (vedi Anton Zischka “La guerra segreta per il petrolio”, Bompiani 1936, pag. 221). Tale dipendenza era una situazione decisamente diffusa fra i presidenti americani in generale; del resto un predecessore di Roosevelt, il presidente Warren G. Harding (in carica dal marzo 1921 all’agosto 1923), nominò come Segretario di Stato Charles Evans Hugues Jr. (1862-1948) ex direttore della Standard Oil. Da quel momento la diplomazia americana si trasformò in un ufficio speciale degli interessi dei Rockfeller.

I retroscena della presidenza Roosevelt sono messi in evidenza nel saggio del giornalista Usa John T. Flynn: “Il mito di Roosevelt” è disponibile su Libreria di Storia

Probabilmente nell’analisi e ricostruzione dei fatti storici della Prima e della Seconda Guerra Mondiale non si valuta abbastanza il ruolo che ebbe la guerra segreta e parallela per il petrolio, che anticipò di fatto quella odierna per il gas, spacciata per conflitto interreligioso, Primavera araba, esportazione della democrazia, etc…etc… Per sottolineare quanto fosse impressionante il potere dei petrolieri e dei trust americani, basti ricordare che in Spagna, il dittatore Primo de Rivera, marchese di Estellas (al potere tra il 1923 e il 1930), fu rovesciato perché osò ribellarsi ai petrolieri inglesi ed americani, confiscando gli impianti inglesi e della Standard Oil, per gettare le basi di un’autonomia petrolifera spagnola. Su questo, John Perkins, ex banchiere, economista e saggista americano, in “Confessioni di un sicario dell’ economia” (Minimum Fax, 2005, pag. 159) ha scritto: “Un sistema basato sulla corruzione dei personaggi pubblici non è tenero con coloro che rifiutano di farsi corrompere”.

Fino a qui ho desiderato sottolineare fatti storici, ampiamente documentati, che, però gettano una nuova luce su una figura, normalmente “beatificata”. Ma non si può non considerare quanto scritto da Gioele Magaldi, fondatore del GOD, ovvero del Grande Oriente Democratico, secondo il quale Roosevelt era “un supergrembiulino, ovvero leader dei massoni progressisti euroatlantici”, scritto testuale. Sempre Magaldi, nel suo libro “Massoni – società a responsabilità limitata” (Edizioni Chiarelettere), sottolinea che massone era anche George Marshall, ideatore del famoso Piano Marshall, creato per portare aiuti all’Europa dopo le distruzioni della guerra, come anche John Maynard Keynes, i cui principi economici avevano ispirato il Piano Marshall.

A parte lo spirito di Magaldi che desidera evidentemente lanciare il messaggio che “al mondo non si muove foglia senza che massone non voglia”, si legge sempre nel suo libro che massoni erano anche Churchill, massone conservatore ed all’inizio filofascista, e… persino Stalin. Infatti, a pag, 76 del già citato libro, l’autore sottolinea che “Zio Joe”, come Roosevelt chiamava affettuosamente Stalin, era passato in gioventù da un’iniziazione libero muratoria (non porta prove, ma bisogna credere alla parola di Magaldi, come se fosse “parola di Re”. Del resto il G.O.D., Grande Oriente Democratico, togliendo i puntini si traduce proprio in Dio! Evidentemente c’è un latente desiderio di accavallare la figura del Grande Architetto proprio con il Padre Eterno). Con questa chiave di lettura, allora a Yalta, il massone Roosevelt, ormai malatissimo (infatti morì due mesi dopo) si spartì con il potenziale massone Stalin, le aree di influenza nel mondo ed il massone Churchill tornò a casa con le “pive nel sacco”, considerato che la Gran Bretagna uscì dalla guerra piena di debiti e con il prestigio del suo impero, seriamente compromesso.

Anche la moglie del presidente americano, Eleanor Roosevelt (1884-1962) viene considerata la più grande e coraggiosa fra le “sorelle muratrici che abbiano mai cinto il grembiulino latomistico”. Fu lei, ad esempio, la spinta fondamentale per la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata all’Onu, il 10 dicembre 1948.

Poi che gli aurei principi enunciati nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, così come le libertà fondamentali enunciate da Roosevelt il 6 gennaio del 1941 al Congresso degli Stati Uniti, siano di fatto applicati e rispettati è tutto da verificare. Però, almeno sulla carta, il presidente americano aveva espresso il diritto alla libertà di parola ed espressione ovunque nel mondo; il diritto alla libertà di culto, ovunque nel mondo; il diritto alla libertà dal bisogno ovunque nel mondo; il diritto della libertà dalla paura, ovunque nel mondo.

Comunque molti storici ritengono che Roosevelt e sua moglie Eleanor fossero affiliati alla prestigiosissima loggia Thomas Paine, della quale fecero parte anche Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi, Pierre Joseph Proudhon, Altiero Spinelli, Nelson Mandela, fra gli altri(vedi pag. 23 del libro di Magaldi).

Quanto al presidente americano, che lo storico italiano Pier Arrigo Carnier, molto poco propenso a digerire i 60 mila civili italiani morti sotto i bombardamenti anglo americani, insisteva a chiamare “quell’astioso paralitico”, rimane difficile dimenticare anche la sua mania superstiziosa. Infatti, era letteralmente terrorizzato dal numero 13. Nel libro “Gli anni 40 – storia illustrata della guerra italiana, 1980, Ciarrapico Editore) lo scrittore Carlo De Biase, a pag.65, scrive che F.D. Roosevelt baciava tre volte, dopo essersela passata sul viso, la coda di uno dei suoi cavalli preferiti, abbattuto dopo una gara. A Jalta, non avendo trovato la coda, non voleva partecipare all’ultima seduta della Conferenza, poi vi partecipò solo perché la stessa venne ritrovata dal suo fedele valletto, l’ex marinaio George Fox.

E così a Jalta, un criminale, Stalin, uscì vincente su un presidente americano, non lucido per la malattia, e su un primo ministro inglese, Churchill, di madre americana, nonché nipote del proprietario del New York Times. L’intelligente ed ironico Churchill fece il possibile per salvare il prestigio della Gran Bretagna e per mitigare l’espansionismo sovietico, ma non vi riuscì. Così tutti quei paesi, parte della meravigliosa Mittel Europa, che nulla avevano a spartire con gli ideali del bolscevismo, finirono a “lacrime e sangue” sotto il giogo sovietico. Sicuramente i destini del mondo sarebbero stati ben differenti se il coltissimo e focoso Generale George Patton, invece di morire in seguito ad un misterioso incidente a Mannheim nel dicembre 1945, avesse potuto sfondare contro l’Unione Sovietica, come aveva dichiarato apertamente di voler fare.

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