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L'Insolita Storia

Istituto del Genio archetipo del Ventennio

Qual è l’architettura simbolo del Ventennio e chi il suo progettista? Quale edificio ha saputo rappresentare al meglio le tendenze dell’architettura italiana del periodo? Quale è il miglior interprete di Novecento, razionalismo, monumentalismo, futurismo, decò, metafisica. Piacentini, Libera, Moretti, Ridolfi, Frezzotti? Il “colosseo quadrato” di Lapadula e Guerrini? O la Segezia di Concezio Petrucci? No, il paradigma architettonico del fascismo è l’Istituto del Genio, edificio ormai assurto ad archetipo del Ventennio. E il suo progettista il carneade Gennaro De Matteis.

Un edificio per tutte le stagioni (e i set)

A rendere archetipo del Ventennio il complesso dell’Istituto Storico dell’Arma del Genio è stato il cinema degli ultimi anni. Che un po’ per caso, un po’ per film commission, un po’ per merito di location scout è diventato inteprete di diversi “edifici fascisti”. Un “interprete” scelto anche rendere più “littorie” architetture che all’epoca dei fatti narrati nei film non erano poi nemmeno così “fasciste”.

E così l’Istituto Storico dell’Arma del Genio è arrivato a rivestire l’archetipo architettonico del Ventennio. Nonostante il suo essere edificio noto solo agli abitanti di quella zona di Roma, e a qualche aficionado delle Giornate FAI (le poche occasioni in cui oggi è aperto al pubblico), ha iniziato a diventare un’architettura nota al pubblico cine-televisivo.

Istituto del Genio archetipo del Ventennio
L’Istituto Storico dell’Arma del Genio visto dal retro, ben visibile l’abside del Sacrario e la torre (Insolita Storia)

De Matteis e l’istituto del Genio

L’Istituto Storico dell’Arma del Genio fu progettato da Gennaro De Matteis alla fine degli anni Trenta. Complesso situato a Roma tra il Quartiere delle Vittorie e il Foro Italico, alle spalle di Viale Angelico. Recentemente grazie a due film come Il cattivo poeta e Rapiniamo il Duce ha assurto un ruolo centrale nella rappresentazione cinetelevisiva del Ventennio.

In realtà la frequentazione dell’edificio progettato da De Matteis con il cinema è di lungo corso. E già negli anni Settanta aveva recitato il ruolo di comparsa facente funzioni degli archetipi architettonici del Ventennio. La sezione Location del Davinotti ricorda come fosse diventato la sede dell’EIAR ne Il Domestico con Lando Buzzanca. D’altronde l’Istituto del Genio dista 500 metri dal Centro di Produzione Rai di Via Teulada e 700 metri dalla sede storica di Viale Mazzini.

L’Istituto del Genio trasformato con un po’ di computer graphic che ne tronca le ali nella Casa del Fascio di Brescia (da Il Cattivo Poeta)

Altro film ambientato nel Ventennio a sfruttare il suo cortile principale con balcone interno a mo’ di Casa del Fascio con arengario era stato Telefoni Bianchi.

De Matteis, chi era costui

Che l’Istituto Storico dell’Arma del Genio avesse il physique du rôle dell’archetipo dell’architettura littoria era quindi evidente dagli anni Settanta. Ma se sul piano “cinematografico” aveva già iniziato a farsi strada, su quello “architettonico” che gli sarebbe dovuto essere proprio, l’Istituto del Genio si perde nella nebbia del tempo. Come il suo progettista, Gennaro De Matteis: ingegnere, decorato al valor militare, architetto e filantropo. Un uomo che persino la sua città natale, Matera, sembra aver dimenticato, non dedicandogli nemmeno una via.

Chi era Gennaro De Matteis? Apprendiamo dalla biografia del vecchio sito della fondazione che porta il suo nome (ormai offline da alcuni anni) e che ha fornito il canovaccio per la bio su Wikipedia, che Gennaro De Matteis nacque a Isernia il 6 marzo 1894. La famiglia è quella di un notabile locale, l’avvocato Ferdinando De Matteis coniugato a Mariannina Passarelli. Gli studi sono il collegio militare della Nunziatella a Napoli e da lì all’Accademia Militare di Torino. Carriera assolutamente brillante, che lo vide primo del Corso Nazionale del 1914-1915. La mobilitazione lo trova con il grado iniziale di Sottotenente, per poi raggiungere il grado di Capitano, 1° reggimento 17a compagnia zappatori.

Bronzo al Valor Militare e filantropo

Alla battaglia del Solstizio, giugno 1918, sul Montello ottiene un bronzo al Valor Militare per aver riunito e poi condotto i superstiti all’attacco. Dopo la guerra diventa capo dell’Ufficio Progetti del Ministero della Difesa. In questo ruolo le realizzazioni architettoniche di De Matteis sarebbero, oltre che nell’Istituto del Genio, il Palazzo dei Marescialli in Piazza Indipendenza a Roma, la Caserma Nomentana, e la supervisione della Città Militare della  Cecchignola. Ma relativamente al Palazzo dei Marescialli (ora sede del Consiglio Superiore della Magistratura) l’attribuzione a De Matteis di questo edificio caratterizzato dalle teste di soldato sopra i timpani delle finestre del primo ordine1 è estremamente dubbia.

Se sicuramente il progetto dell’edificio destinato ai Marescialli d’Italia passò dalla sua scrivania per il ruolo apicale al ministero della difesa, la bibliografia sul palazzo non nomina mai il De Matteis, attribuendo tutto il lavoro all’architetto Costantino Costantini come progettista e dell’ingegnere Michele Oddini per la direzione lavori.

Il Museo del Genio

L’architettura concepita da Gennaro De Matteis nasceva per diventare la sede permamente del Museo del Genio. Collezione nata nel 1906 come Museo dell’ingegneria militare e ospitata a Castel Sant’Angelo, poi trasferita nel 1911 alle adiacenti casermette di Urbano VIII e ribattezzata Museo storico del genio militare. Infine trasferita alla Caserma Piave all’inizio degli anni Trenta, per poi essere ospitato in una nuova sede concepita ad hoc come spazio museale.

Il primo museo realizzato come museo in Italia?

Il fatto che l’Istituto del Genio fosse stato concepito per musealizzare una raccolta già esistente fa meritare al complesso progettato da De Matteis il supposto “primato” di essere il primo museo-sede espositiva progettato per ospitare una collezione museale. Primato in realtà “conteso” da Marcello Piacentini con la sede del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria.

Edificio realizzato a partire dal 1932 e che andava a raccogliere i reperti archeologici del Museo Civico della città calabrese. Si dimentica però Palazzo Canevari, realizzato dall’ingegner Raffaele Canevari sull’impulso di Quintino Sella. Edificio che fin dall’inizioaveva la doppia funzione di sede dell’Ufficio Geologico Nazionale e di sede espositiva del Museo Geologico.

Il Gianicolo ai temi della Repubblica Romana di Garibaldi e Mazzini. Un plastico grande, ma mai quanto quello ospitato in Francia al Musée de l’Armée: Musée des Plans-reliefs da 18 mq (comitatogianicolo.it)

Insomma l’eventuale primato dell’Istituto del Genio è alquanto labile. Ma ciò non toglie l’abilità di De Matteis nel definire uno spazio espositivo in grado di ospitare raccolte di tutti i tipi. Dai giganteschi plastici, come quello del Gianicolo durante l’Assedio di Roma del 1849 nell’area di Villa Doria Pamphili. O l’aereo Blériot della guerra di Libia.

E soprattutto di realizzare un percorso di visita ottimizzato: «Gli ambienti disposti l’uno in successione dell’altro sì da ottenere un percorso di visita continuo, senza che mai il visitatore debba ripercorrere le sale già viste , o comunque compiere inutili deviazioni2

Il Blériot nelle sale del Museo del Genio

Le vetrate di Cambellotti

Ma se anche l’Istituto del Genio non fu “il primo museo italiano” non c’è solo la sua architettura e la sua collezione di reperti a renderlo un luogo eccezionale. Un’altra chicca per gli amanti dell’Arte italiana del Novecento: la cappella (o meglio Sacrario) dedicata a Santa Barbara, patrona dei genieri con le vetrate su disegno di Cambellotti.

La cappella-sacrario con le vetrate di Cambellotti (Foto di Angelo Trani)

Da Il cattivo poeta a Rapiniamo il Duce

La funzione museale della struttura di De Matteis, come per altri musei, è via via finita in sordina. Giorni e orari d’apertura sempre più ridotti, oggi il museo è visitabile solo grazie a eventi come le Giornate FAI o le iniziative come Open House Roma. Ma se la funzione originaria dell’Istituto Storico e di Cultura dell’Arma del Genio è passata in secondo piano, il complesso ha guadagnato maggior fama grazie a film come Il cattivo poeta, 2020, e Rapiniamo il Duce, 2022.

Le architetture littorie immaginarie de Il cattivo poeta

Il primo film a usare massicciamente l’Istituto del Genio come elemento architettonico del ventennio è Il cattivo poeta. Film dedicato agli ultimi anni di D’Annunzio al Vittoriale. Realizzato da Gianluca Jodice vede Sergio Castellitto nei panni di D’Annunzio e racconta gli ultimi anni del poeta nella sua residenza sul Garda dal punto di vista di Giovanni Comini, il federale di Brescia, interpretato fa Francesco Patané.

Partendo da una premessa fattuale il ruolo di Comini come “controllore” di D’Annunzio al Vittoriale, il film procede via via romanzando la vicenda, arrivando a suggerire anche un possibile avvelenamento del poeta come causa della morte sopravvenuta l’anno dopo.

Esaltando l’approccio critico del Poeta all’alleanza con la Germania di Hitler, che si risolverà nella ricostruzione filmica nell’incontro alla stazione di Verona Porta Nuova con Mussolini di ritorno dalla Germania. E se certamente gli epiteti con cui D’Annunzio definì Hitler sono cosa nota, la sua posizione era più complessa, visto che nel diario di Aélis Mazoyer, la governante di D’Annunzio, la posizione del poeta in quel periodo si ponesse come filo-tedesca.

Ma al di là delle scelte narrative e dell’eventuale fedeltà, o scostamento, dai fatti storici il film di Gianluca Jodice si pone come d’assoluto interesse per le scelte visive e scenografiche.

L’incontro tra Mussolini e D’Annunzio a Verona nell’ottobre 1937

Dall’architettura metafisica allo stile littorio onirico

Il cattivo poeta opta per un duplice approccio nella costruzione delle scene. Da un lato il girare proprio al Vittoriale, scelta che esalta sia il luogo del ritiro dannunziano che il realismo del film. Dall’altra ricreare i due elementi chiave della vicenda del film, la Casa del Fascio di Brescia e la Stazione di Verona Porta Nuova come architteture “assolutamente fasciste”.

Interprete della Casa del Fascio di Brescia e della Stazione di Verona Porta Nuova diventa così l’Istituto del Genio che si pone in questo suo primo ruolo di archetipo architettonico del Ventennio. Ma così facendo Jodice crea un duplice e voluto paradosso.

Uno dei chiostri esterni all’esedra dell’Istituto del Genio trasformato in un’immaginaria e fascistissima stazione di Verona Porta Nuova (da Il Cattivo Poeta)

Se il fascismo nella sua affermazione fu assolutamente architettonico, il “fascismo di pietra” secondo la felice definizione di Emilio Gentile, allo stesso modo l’esperienza architettonica fascista non fu necessariamente così totalizzante. Né la Casa del Fascio di Brescia né la Stazione di Verona Porta Nuova erano edifici in stile littorio.

La sede del PNF fu nel Palazzo Salvi Bonoris mentre la stazione di Verona Porta Nuova assunse l’aspetto “razionalista” di oggi solo nel dopoguerra, in quanto gravemente danneggiata dai bombardamenti del gennaio 1945. Ai tempi di D’Annunzio e Mussolini era una tranquilla stazione di impostazione tardo ottocentesca, su progetto dell’architetto dell ferrovie Dini del 1909. I lavori iniziati nel 1910 si sarebbero dovuti completare nel 1915, ma a causa della guerra finirono nel 1922.

La stazione di Verona Porta Nuova ai tempi del Ventennio. Il progetto era del 1909. Unico elemento fascista la scritta DUX sulla sommità.

Architetture più “littorie” della realtà

Il Cattivo Poeta nel suo raccontarci un D’Annunzio antifascista e inviso al regime (e all’alleato germanico) calca la mano sulle architetture del regime inventandone di nuove grazie all’Istituto del Genio. Un’operazione che compie in maniera ludica anche il recente film Rapiniamo il Duce, che con il meccanismo della classica “grande rapina”, si diverte a immaginare il tentativo di una banda raccogliticcia di rubare quello che nel dopoguerra diventerà noto come “l’oro di Dongo”.

Rapiniamo il Duce sfrutta il nuovo interesse italiano per il cinema di genere ricalcando il parziale successo dello scorso anno di Freaks Out di Gabriele Mainetti. Un kolossal supereroistico ambientato negli ultimi giorni dell’occupazione tedesca di Roma.

In Rapiniamo il Duce, che con Freaks Out condivide uno dei protagonisti, Pietro Castellitto, invece abbiamo gli ultimi giorni di Salò in una Milano dominata dal ferocissimo prefetto Achille Borsalino interpretato da Filippo Timi. Prefetto, ma un po’ anche federale e generale della GNR, che con pugno di ferro amministra Milano in una prefettura “interpretata” proprio dall’Istituto del Genio.

Il prefetto Achille Borsalino interpretato da Filippo Timi nella sua prefettura milanese, interpretata dall’Istituto del Genio (Netflix Italia)

La “prefettura” di Rapiniamo il Duce

Rapiniamo il Duce si pone con un’esercizio di puro intrattenimento tra licenze volute (canzone postbelliche riarrangiate con lo stile degli anni Trenta) e altre meno (Il termine bottiglia Molotov entrerà in uso solo nel dopoguerra e un po’ stona il logo della NATO ricostruito nella ridotta della GNR milanese per omaggiare l’altra grande location del film il Bunker Soratte), ma si presenta come opera godibile. Anche grazie ai bravi interpreti che calcano la mano nel dare vita a personaggi un po’ macchiettistici.

E così nuovamente l’Istituto del Genio, assieme al porto di Trieste (la “zona nera” la ridotta della GNR milanese) e il Bunker Soratte (il bunker all’interno della “zona nera” dove è contenuto quello che diventerà l’oro di Dongo), torna al cinema per interpretare l’archetipo dell’edilizia littoria.

Planimetrie

Se ne Il cattivo poeta se ne privilegiava l’aspetto rarefatto, quasi onirico dei travertini e dell’editing digitale, in Rapiniamo il Duce se ne vede il lato notturno. L’elemento monumentale, con la torre che fa da sfondo alle scene nel cortile principale e all’immancabile balconata dove vediamo in azione il prefetto Borsalino.

L’Istituto del Genio come architettura eclettica

Un’edificio eclettico più nelle possibilità che offre al cinema, e che nello stile del De Matteis. Che pure sa infondere a quello che è il suo capolavoro i diversi archetipi dell’architettura del periodo. Dall’ingresso con la facciata semicircolare circondata da due poderosi contrafforti che ricalca il monumentalismo piacentiniano. Alla combinazione travertino e mattoni delle ali classica del periodo e perfetta sintesi del rurale-monumentale. E soprattutto alla combinazione dell’esedra da cui si articolano i due cortili a mo’ di chiostri e la torre dedicata a Santa Barbara. Combinazione che sa farsi metafisica, nonostante l’assenza degli archi a tutto sesto.

Una sintesi analoga a quella descritta da Antonio Pennacchi per la Segezia di Concezio Petrucci nel suo Fascio e Martello. Come per Segezia, sorta di summa del Borgo di Fondazione e delle suggestioni architettoniche che avevano caratterizzato quella fase architettonica, anche l’Istituto Storico dell’Arma del Genio compie una felice sintesi dell’architettura istituzionale del periodo.

La sua fortuna cinematografica non è solo un caso.

Plastico che ben delinea i volumi della struttura

L’Istituto del Genio secondo De Matteis.

Ecco come il De Matteis raccontava il suo progetto: «Le forme architettoniche esterne semplici e severe, l’ingresso principale serrato tra due masse robuste, l’alta torre quadrata, il profi-larsi sul prospetto posteriore della parte absidale della cappella, il rivestimento di travertino del corpo principale, la muratura a faccia vista di mattoncini romani nelle rimanenti parti dei corpi di fabbrica a solo piano terreno, daranno all’edificio tutto il particolare carattere delle opere militari. »3

Quasi a sfidare uno dei “pezzi forti” di Marcello Piacentini, la Casa Madre dei Mutilati e delle Vedove di Guerra, l’altro “Tempio Munito – Fortezza Mistica”4 costruito a Roma tra il 1928 e il 1936.

Edificio che sorge sulla stessa riva del Tevere appena tre chilometri più a sud dell’Istituto del Genio. Accomunati non solo dallo stile e dalla posizione. Ma anche dal cinema: ne Il Cattivo Poeta, la Casa madre dei Mutilati interpretava gli “interni” della Casa del Fascio di Brescia il cui “esterno” era proprio l’Istituto del Genio.

La piacentiniana Casa Madre dei Mutilati (via Commons By indeciso42 – CC BY-SA 4.0)

Note:

1 – Altro edificio del periodo con decorazione analoga il Museo Storico dell’Arma dei Carabinieri a Piazza Risorgimento a Roma, su progetto di Scipione Tadolini (1897 – 1977)

2 – Dalla Relazione al Progetto di Gennaro De Matteis, in Renato D’Ascia, Storia dell’Arma del Genio – Volume VI, Ufficio Storico dello SME, Roma 2002, p.285

3 – Ivi, p.398

4 – Tempio Munito – Fortezza Mistica è la scritta sulla facciata della Casa del Mutilato di Palermo realizzata dall’architetto Giuseppe Spatrisano. Se l’opera di Spatrisano a differenza delle architetture di Piacentini e De Matteis si pone come assolutamente metafisica la definizione “Tempio Munito – Fortezza Mistica” ben si adatta a tutte quelle architetture del Ventennio che hanno coniugato la funzione di Sacrario con le architetture militari. De Matteis in primis.

giuseppe spatrisano, casa del mutilato, palermo, 1935-1938

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