HomeStoria AnticaIn 500 casse i tesori di Roma "riscoperti" dopo settanta anni

In 500 casse i tesori di Roma “riscoperti” dopo settanta anni

500 casse: furono sigillate nel 1939 dopo un crollo, e contengono straordinari reperti trovati durante gli scavi voluti dal Fascismo. Finalmente è possibile inventariarle. Trovati moltissimi oggetti di uso comune nell’antica città eterna. Migliaia di lampade, ma anche bronzi, avori parti di affreschi e statue.

Di Maura Larcan, da www.repubblica.it

La “M” scritta a penna nera sta per “marmi”, “PI” per “provenienza impero”, “PV” per “provenienza varia”. Ma le indicazioni possono essere anche più specifiche, come “Foro di Nerva”, in altri casi più generiche, “Via dell’Impero”. Oppure, accortezze tecniche, come “Alto” per indicare la posizione, o un numero, “283”, per la duecentottantatreesima cassa inchiodata. Sigle a stampatello eseguite a mano a indicare la natura del contenuto e la sua possibile provenienza. A completare l’effetto suggestione, l’odore acre di muffa che in alcuni punti ha contagiato il legno dell’imballaggio, memore di qualche allagamento di deposito.

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E’ così che si sono tramandate per settant’anni, nel mite e silenzioso anonimato di un magazzino occasionale, cinquecento casse di legno (alcune grandi circa due metri per un metro, altre, un metro per uno) colme di tonnellate di reperti archeologici di Roma, sigillati nel 1939 e che solo oggi la Sovraintendenza capitolina sta riaprendo, scoprendo non solo marmi, ritratti, frammenti architettonici, ma soprattutto un inaspettato repertorio di “instrumentum domesticum”, ossia oggetti legati alla vita quotidiana di Roma tra ceramiche, terrecotte, avori, bronzi, mosaici, affreschi, vetri.

Sono i “tesori incassati” di Roma, per dirla con il sovraintendente comunale ai beni culturali Umberto Broccoli, frutto delle campagne di scavo durante gli anni del Governatorato di Benito Mussolini, tra il 1922 e il 1939, anni furibondi di scavi che investirono tutto il centro storico dando origine alle note operazioni di demolizioni e sbancamenti nell’ottica, almeno per l’epoca, di ridisegnare per Roma un’urbanistica moderna e all’altezza dei tempi.

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“Le casse stanno restituendo parte del patrimonio dell’originario Antiquarium del Celio che raccoglieva materiali frutto delle campagne archeologiche sotto il Governatorato, con reperti databili dall’VIII secolo a. C. al Tardo antico – racconta il direttore dei Musei Capitolini Claudio Parisi Presicce – Nel 1929 l’edificio dell’Antiquarium veniva anche aperto al pubblico come museo di quei ritrovamenti, ma dieci anni dopo, appunto nel ’39, durante i lavori per la costruzione della metropolitana l’edificio crollò, e i reperti furono messi in sicurezza nelle casse. A quel punto, tutto fu spostato”.

Ed è l’inizio del pellegrinaggio delle casse. “Prima finirono nel deposito sotterraneo di Palazzo delle Esposizioni – racconta Carla Martini la responsabile dell’Antiquarium comunale (leggi l’intervista dal sito de “La Repubblica”) – da lì vennero sfrattate e portate in Campidoglio, dove si era allestito un deposito dell’Antiquarium comunale a Palazzo Caffarelli. Soluzione che all’epoca, tra gli anni ’70 e ’80, seguiva il progetto del cosiddetto Grande Campidoglio in base al quale il Palazzo Clementino Caffarelli doveva diventare sede ufficiale dell’Antiquarium. Invece partì il progetto di restauro dei Capitolini che escludeva del tutto quella possibilità. Così nel ’97 le casse vennero risfrattate e nel ’98 sono arrivate al Museo della Civiltà Romana”.

Iniziava così un’Odissea di materiale preziosissimo, di cui s’era persa memoria e che invece si sta rilevando molto importante. “Le casse non venivano aperte per mancanza di spazi adeguati, ma soprattutto di tempi adeguati. Ogni magazzino non era mai quello definitivo. L’ultimo anno è stato determinante”, ammette Parisi Presicce. “Il momento più emozionante di questa vicenda è stato capire che la strada si era aperta – continua il direttore – Prendere consapevolezza che l’intero progetto era partito, che finalmente l’operazione iniziava. Ogni giorno, da un anno a questa parte, c’è un oggetto inedito che viene fuori. Magari un frammento di affresco, che regala volti meravigliosi, tutti documenti di tale immediatezza che fanno battere il cuore”.

“Mancava soprattutto una progettualità – avverte Umberto Broccoli – Ora il progetto è maturo e questo patrimonio potrà anche autofinanziarsi. Noi siamo cresciuti con la percezione dell’archeologia come di un ramo secco. Tutto questo patrimonio inedito e sconosciuto può essere invece utilizzato per costruire mostre a tema e farne ‘pacchetti’ pregiati da offrire sul mercato, magari in America, Arabia Saudita, Cina. Con questo repertorio spettacolare di instrumentum domesticum possiamo scegliere di volta in volta grandi temi popolari legati alla vita quotidiana nell’antica Roma. Dalle cinquemila lucerne ritrovate, per esempio, studiare una grande mostra sull’illuminazione dei romani. Soluzioni come queste – insiste Broccoli – stanno già nella legge Ronchey. La messa a reddito è un sistema per vivere la cultura come una risorsa. Come il caso della Sala del Medioevo appena inaugurata ai Musei Capitolini, con i soldi ricavati dall’affitto delle sale dei musei per girare le scene di un film”.

Sul futuro del patrimonio delle casse l’assessore capitolino alla Cultura Umberto Croppi ha una visione precisa: “Queste casse conservano un patrimonio talmente vasto che non potrà essere usato per arricchire i nostri musei già stracolmi. Ma consente di realizzare mostre che possono girare il mondo in stretta sinergia con le istituzioni culturali internazionali. Oltre al prestito – dice Croppi – che avviene normalmente, noi possiamo ora preconfezionare percorsi espositivi tematici, che possano funzionare per promuovere Roma, ma anche per ricavare risorse economiche tali per la tutela del materiale. Il fatto di avere collezioni organizzate in pacchetti significa anche razionalizzare le coperture assicurative, l’esportazione e la mobilità”.

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Inserito su www.storiainrete.com il 21 agosto 2009
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