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Raccontare la Storia

Il generale di Hitler che salvò Montecassino e non fucilò 200 ufficiali italiani

Questa è la storia del generale Frido von Senger und Etterlin, il mitico terziario benedettino che mise in salvo il patrimonio artistico dell’Abbazia di Montecassino prima del disastroso bombardamento americano nel gennaio 1944. Von Senger, comandante del XIV Panzerkorp (Corpo d’Armata corazzato), non aveva mai aderito all’ideologia nazista. Anzi, aveva sempre tenuto a manifestare la sua distanza da quella fanatica ideologia, pur non avendo mai fatto parte della cospirazione che culminerà con l’Operazione Walkiria (l’attentato a Hitler a Rastenburg, nella “tana del lupo”, compiuto dal colonnello Von Stauffenberg).

Aveva lasciato la sua base in Toscana sul finire del ’43, per trasferirsi sulla Linea Gustav, che si dispiegava dal Nord di Napoli al Sud di Pescara, e che avrebbe dovuto fermare l’avanzata alleata verso Roma.

L’abbazia di Montecassino, che sarà bombardata e distrutta dagli americani il 15 febbraio 1944, era il monastero più antico della cristianità. I lavori per la sua costruzione erano iniziati nell’anno 529 su direttiva di San Benedetto, che volle essere sepolto tra le mura dell’imponente costruzione. In segno di rispetto e considerazione per gli interessi della Santa Sede, proprietaria delle mura e dei valori contenuti nell’abbazia, il generale Frido von Senger und Etterlin, all’avvicinarsi delle avanguardie alleate, aveva ordinato alla Divisione «Hermann Göring» di porre in salvo, trasferendole in Vaticano, le decine di opere d’arte di incalcolabile valore (quadri, sculture, tele) custodite all’interno delle mura millenarie, nonché la storica biblioteca benedettina.

Von Senger non solo era un fervente cattolico, ma apparteneva proprio all’Ordine di San Benedetto, con la qualifica di terziario benedettino. Era quindi a piena conoscenza dei tesori inestimabili dell’abbazia, e poiché il suo ruolo effettivo (era in pratica l’ufficiale più alto in grado dislocato lungo la Linea Gustav) gli consentiva di impartire ordini anche al di fuori della sua stretta competenza tattica, aveva fatto divieto alle truppe di penetrare nell’abbazia ed aveva posto a guardia delle sacre mura alcune pattuglie fidatissime.

Inoltre, con il suo consenso, numerosi abitanti di Cassino e dei paesi lungo le valli del Rapido e del Liri investiti dall’offensiva aerea alleata, in massima parte donne, vecchi e bambini, avevano trovato rifugio tra le mura dell’abbazia, accolti fraternamente dall’abate Gregorio Diamare, 82 anni, e dai suoi confratelli. La popolazione civile ospitata nel monastero ammontava dunque a 1500 unità, che venivano rifocillate dai parenti rimasti nelle campagne, con l’autorizzazione delle sentinelle tedesche.

Se questa realtà fosse stata a sua conoscenza, certamente il generale Bernard Freiberg, comandante del Corpo d’Armata neozelandese (costituito dalla 2.a Divisione di Fanteria «Nuova Zelanda», dalla 4.a Divisione di Fanteria indiana e dalla 78.a Divisione di Fanteria britannica), avrebbe evitato di rivolgere continue richieste al comandante in capo della 5.a Armata, generale Mark Clark, perché facesse abbattere l’abbazia. Ma Freiberg, i cui soldati cadevano a centinaia sotto gli implacabili tiri delle artiglierie tedesche piazzate sulle vette attorno al monastero, si era formato la ferrea convinzione che proprio dall’interno di quelle mura gli strateghi tedeschi guidassero il tiro delle artiglierie. E invece, come abbiamo visto, il generale Von Senger, anche perché proveniente da una famiglia della nobiltà cattolica del Baden Württemberg, aveva addirittura proibito ai suoi uomini di profanare con la loro presenza il sacro tempio. Purtroppo, il tragico bombardamento dell’Abbazia costerà la vita a più di 500 civili che avevano trovato rifugio tra le sue mura.

Ma ad onore del Generale Von Senger c’è un’altra, esaltante storia. In Corsica, all’indomani dell’8 settembre ’43, il capitano di Fregata Carlo Fecia di Cossato, al comando della torpediniera “Aseo”, aveva affondato sette motozattere e due sottomarini tedeschi responsabili dell’affondamento di due navi italiane. La battaglia era stata durissima, con l’impiego di lanciafiamme e artiglieria, e gli episodi di valore, sia da parte tedesca, sia da parte italiana, numerosi. Al Comando tedesco dell’isola giunse un durissimo ordine direttamente dal comando supremo del Führer: fucilare tutti gli ufficiali italiani catturati (lo stesso ordine che sarà impartito, e purtroppo eseguito, a Cefalonia). Ma il generale Frido von Senger und Etterlin (che in quei giorni era stanziato in Corsica) rifiutò di eseguirlo e, ottenuta l’autorizzazione dal comandante in capo, maresciallo Kesselring, fece trasferire gli oltre duecento ufficiali prigionieri in Italia, da dove partirono per il campo di prigionia in Germania.

Tutto ciò giustifica ampiamente la lapide segnalataci dal nostro lettore, e sulla quale si legge: «A Frido von Senger, Generale tedesco antinazista e benedettino, che salvò centinaia di soldati italiani e il tesoro di Montecassino. Nel 70° anniversario della sua presenza a Villa Pozzo».

Frido von Senger morì all’età di 72 anni, nel 1963, a Friburgo, dopo aver raccolto le sue memorie nel libro «La guerra in Europa», prefato, nell’edizione italiana, dall’ambasciatore Sergio Romano. Suo figlio, Ferdinand Maria, gravemente ferito in combattimento in Cecoslovacchia nel 1941 e decorato al valore sul campo, farà una brillante carriera militare nel dopoguerra diventando, nel 1978, comandante in capo della Bundeswehr.

Vale la pena ricordare anche la motivazione della Medaglia d’Oro al valor civile che fu assegnata all’Abate di Montecassino, Gregorio Diamare, grande amico di Von Senger e che fu posto in salvo dal Generale poco prima del terrificante bombardamento: «Luminosa figura di sacerdote, confermava, durante le lunghe e sanguinose vicende belliche svoltesi nei pressi dell’Abbazia di Montecassino, i suoi elevati sentimenti di carità cristiana, più volte affrontando con esemplare fermezza ed indomito coraggio la morte, pur di portare la sua parola di fede ed il suo soccorso in favore di tutti coloro che, rifugiatisi nell’Abbazia, invocavano la sua paterna protezione. Unica Autorità rimasta sul posto, interveniva ripetutamente e con energia presso il comando militare tedesco, ottenendo il rilascio di numerose persone che, prelevate come ostaggio, erano condannate a morte. , ed evitando la distruzione disposta in segno di rappresaglia, di alcune località abitate. Dopo aver posto in salvo innumerevoli tesori di arte depositati nell’abbazia, riconosciuta la inutilità dei suoi sforzi diretti a preservare la distruzione dell’insigne monumento, decideva di allontanarsene e, attraversata la linea del fuoco, profonda circa 20 chilometri, alla testa di un corteo di donne, malati e feriti, riusciva, tra l’infuriare della battaglia, a portare tutti in salvo».

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