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Rinascimento Segreto

Conclave del 1559, Gonzaga e Carafa non si accordano e la spunta Pio IV

Viviamo in un’epoca di polarizzazioni e di elezioni, e può essere utile guardare al passato per osservare che le cose umane, come diceva Machiavelli, “o le salghino, o le scendino”, ma non stanno mai ferme. Il Rinascimento italiano si fondava sulla cosiddetta “politica dell’equilibrio” fra le numerose città-stato. Nel corso del Quattrocento questo sistema di autoregolamentazione che impediva a un singolo stato di sopraffare gli altri funzionò relativamente bene, fino allo shock d’urto portato dall’arrivo dell’esercito francese di Carlo VIII nel 1494. Seguirono molti decenni d’instabilità, all’insegna dell’infame adagio “Franza o Spagna, purché se magna”.

I pontefici cercarono di barcamenarsi in questi mari tempestosi, difendendo coi denti gli interessi delle proprie famiglie: prima i Medici con Leone X e Clemente VII, poi i Farnese con Paolo III. I Del Monte di Giulio III si fecero rapidamente dimenticare, ma i Carafa di Paolo IV si distinsero per la loro criminale pervicacia, sotto l’ombra del papa che inventò l’Index Librorum Prohibitorum e applicò le repressioni dell’Inquisizione come nessuno prima di lui. Alla sua morte nel 1559 il conclave si annunciava particolarmente teso. L’Italia era stata stravolta da un’inutile guerra fra Francia e Spagna, vinta definitivamente dalla nazione guidata da Filippo II che con la pace di Cateau-Cambrésis che escluse l’influenza gallica nella penisola, eccetto il Piemonte.

In questo turbolento contesto geopolitico, le rivalità fra famiglie (o dinastie) italiane non diminuì, e naturalmente l’ambizione al papato era sempre forte. I Gonzaga di Mantova, imparentati con gli Este di Ferrara e i Della Rovere di Urbino, avevano un ottimo candidato al soglio di Pietro nel cardinale Ercole, uomo brillante e godereccio, che aveva sopportato a fatica le angherie di Paolo III e Paolo IV. L’idea di sostituirsi a quei papi tirannici titillava il buon Ercole, che era un realista e sapeva che il suo avversario più duro era il duca di Firenze (e, da poco, anche di Siena), Cosimo de’ Medici. Quando nell’estate 1558 gli pervenne la notizia della morte di Piero Strozzi, il suo più acerrimo nemico (chi fosse interessato alla vicenda, può leggere il mio Caterina de’ Medici. Storia segreta di una faida famigliare, Rizzoli 2018), Gonzaga scrisse al nipote Guidobaldo II Della Rovere, duca di Urbino, che ora bisognava avere “questa bestia per amica” e “saperla tenere per il crine”. Ardua impresa, perché Cosimo aveva appreso più dal centauro Chirone di Machiavelli (Principe, capitolo 18) che dall’impetuoso e imprudente padre Giovanni detto “dalle Bande Nere” a ottimizzare i risultati minimizzando i rischi.

Ercole Gonzaga (1505 – 1563), cardinale mantovano e mancato Papa nel concleve del 1559 che vide prevalere il milanese Pio IV.
(c) Blairs Museum; Supplied by The Public Catalogue Foundation

All’inizio del conclave nel settembre 1559 Ercole Gonzaga giocò una carta finora ignota, che ci apre un interessantissimo scenario. Entra qui il letterato Donato Giannotti, un fuoriuscito fiorentino che si era opposto ai Medici e poi era entrato al servizio del cardinale anti-mediceo Niccolò Ridolfi per continuare la sua azione di convinto repubblicano. Di recente è stata pubblicata una sua opera, Della Republica Ecclesiastica, a cura di William Connell (Einaudi 2023), uno straordinario manifesto di riforma del collegio cardinalizio sul modello del Senato veneziano. Questa prima storia della Chiesa scritta da un laico doveva servire come premessa all’elezione dello stesso Ridolfi, il quale morì quasi sicuramente avvelenato durante il conclave del 1549-1550, da cui uscì vincitore Giulio III. A quel punto Giannotti, privo di padrone, trovò impiego presso il cardinale francese Tournon, e lo seguì fedelmente.

Ora però veniamo a scoprire che Giannotti tramava dietro le quinte per riabilitarsi in Italia. Tournon scrisse a Cosimo de Medici perché restituisse al letterato i suoi beni sequestrati. E nel frattempo Giannotti si fece raccomandare dal cardinale Gonzaga al duca di Urbino, perché sarebbe stato utile “al suo tempo”, cioè durante il prossimo conclave. Puntualmente, il 22 ottobre 1559, Ercole scrisse al nipote Guidobaldo II:

Vostra Eccellenza haverà con questo spaccio el sugo del ragionamento che ha fatto Gianotti nostro col Cardinal Carafa, il quale è stato tale che per me non penso che potesse esser più efficace et amorevole et prudente di quello ch’è stato perché ha detto al Cardinal Carafa quanto Vostra Eccellenza ha scritto in quella sua bella et lunga lettera che scrisse al principio che venivo qui, anzi gli l’ha letta tutta con interpretare li passi che gli sono paruti d’importanza et di consideratione, et colla buona maniera sua ha fatto che’l cardinale non solo non è stato fastidito da cusì lunga scrittura, ma ha mostrato d’haver havuto piacere di sentirla legere et non se n’è buttato via sì come si poteva dubitare per lo sdegno preso contra di me quel dì della giornata, ma ha preso tempo di pensare et quello che importa più che ha dato noto a Gianotti di poter essere alle volte con lui che dà segno manifesto che non gli è dispiaciuto il soggetto che Gianotti ha trattato seco et che non gli serà per dispiacere a sentirne ragionare delle altre volte. Mi pare che Gianotti habbia servito molto bene Vostra Eccellenza et me et che habbiamo molta causa di restare satisfattismo di lui.

Cosa ci rivela questa lettera confidenziale scritta dal conclave? Che Giannotti, “colla buona maniera sua” di laico ormai abituato alle moine dei prelati, aveva approcciato il potente cardinale-nipote Carlo Carafa cercando di convincerlo a sostenere Gonzaga perché costui, imparentato con mezza Italia e appoggiato in modo bipartisan sia dal partito imperiale che da quello francese, avrebbe garantito alla Chiesa un equilibrio che le era mancato negli ultimi anni, proprio a causa delle ambizioni dello zio Paolo IV.

Il Carafa, “traditore” e spregiudicato come pochi altri porporati nella storia, non seguì quel consiglio, e mal gliene incolse. Alla fine del lungo conclave, fu eletto Pio IV Medici (della famiglia milanese che dal punto di vista genealogico nulla aveva a che fare con la più nobile famiglia fiorentina, ma da Firenze Cosimo lo sostenne come se fosse un suo parente stretto, per consonanza e per convenienza). E pochi mesi più tardi Pio IV istruì un processo contro i Carafa, condannandoli e giustiziandoli. Giustizia poetica, verrebbe da dire. In quel periodo, il cardinale Gonzaga era il Presidente del Concilio di Trento, un’impresa che lui detestava e che lo condusse a morte prematura. E Giannotti? Morto il cardinale Tournon, si stabilì a Venezia e poi a Roma, dove tradusse la sua opera ecclesiastica in latino: per renderla presentabile al rigidissimo Pio V, censurò le sezioni sui concili e cercò di correggere il tiro sul pontificato massimo, ma non ricevette l’imprimatur e la sua proposta cadde nel dimenticatoio. E non riuscì mai a tornare a Firenze, dove il potere dei Medici trionfava ormai incontrastato.

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