“Auto-strada”. Un nome che a noi vivi del XXI secolo dice poco e fa parte del quotidiano. Beh, normale che le strade servano per le automobili, no? Un’idea che cento anni fa esatti era del tutto innovativa. Del resto a circolare per le strade erano soprattutto carri trainati da quadrupedi, calessi, biciclette, pedoni. Le automobili erano pochissime: 57.000, una ogni 672 abitanti (oggi il rapporto è due auto ogni tre italiani). Per fare un confronto, in Inghilterra circolavano quindici volte le automobili dell’Italia, in Francia otto.
Così quel 21 settembre 1924, quando venne inaugurato il primo tratto di una “auto-strada” si pose una pietra miliare storica nell’evoluzione dei trasporti. Per la prima volta nel mondo si apriva un asse viario esclusivamente dedicato al traffico motorizzato: la Milano-Laghi.
Piero Pulicelli, ingegnere-architetto
L’idea era di un imprenditore privato, il milanese Piero Puricelli (1883-1951). Ingegnere (anche se amava definirsi “ingegnere architetto”), Puricelli concepì la strada dopo aver dato vita, l’anno precedente, all’autodromo di Monza, il terzo circuito automobilistico del mondo. Anche quella un’opera da record, realizzata nel 1922 su richiesta dell’Automobile Club d’Italia in solo 110 giorni. Il progetto fu stilato da Puricelli insieme al collega ingegnere Alfredo Rosselli.
L’autostrada venne ideata in quello stesso anno. Puricelli aveva una ditta specializzata in lavori stradali (Società Puricelli cave e strade) che aveva collaborato col Genio Militare durante la Grande Guerra, consolidandosi. Cave e strade era un binomio non casuale: ancora negli anni Venti le strade asfaltate in Italia erano pochissime, limitate alla provincia di Roma e alla Lombardia. Il resto era strada bianca, realizzata con varie tecniche (ghiaia, spezzoni di pietra, caolino…) per le quali erano appunto necessarie grandi quantità di inerte estratto dalle cave. Le “case cantoniere”, che punteggiano l’Italia, ora spesso e volentieri malinconicamente abbandonate, erano i centri di manutenzione della rete viaria: i cantonieri – che abitavano nelle casette con le loro famiglie – avevano la responsabilità di determinati tratti da manutenere proprio a carriolate di inerte dove solchi e buche rendevano il traffico difficoltoso. Solo alcune tratte più fortunate godevano di manutenzione meccanizzata, che voleva dire oltre all’inerte anche la rullatura con pesanti schiacciasassi. Nella stragrande maggioranza dei casi si procedeva a carriola e pala, lasciando che il traffico compattasse il selciato.
Alla fine del conflitto Puricelli aveva trasformato l’esperienza maturata in guerra in un corso di ingegneria stradale al Politecnico di Milano. Nel 1920, convinto oramai che il destino del veicolo a trazione animale sarebbe stato d’essere presto sostituito da quello a motore, Puricelli comincia a studiare l’opportunità di “costruirgli una strada non interessata da altre vie, con caratteristiche geometriche, tecniche e strutturali idonee per esplicare le prestazioni di velocità e di portata con la maggiore garanzia di sicurezza”. Naturalmente sa bene che “l’autostrada dovrà farsi solamente ove siano le condizioni di ambiente e di traffico motivanti la giustificazione di una somma corrispondentemente congrua di utilità economica generale”, ed è per questo che il luogo naturale in cui sarebbe sorta la sua creatura non poteva che essere la Lombardia, regione in cui circolava quasi metà del parco motorizzato nazionale.
Motorizzare l’Italia
Puricelli era consapevole che la creazione di una “coscienza stradale nel nostro paese” avrebbe favorito la motorizzazione dell’Italia e – a ricaduta “l’intensificarsi degli scambi, dei commerci, del turismo; che la costruzione di infrastrutture stradali avrebbe alleviato la disoccupazione, diminuito gli incidenti, allungato la vita media dei veicoli, reso più economici gli spostamenti, fatto dell’automobile un mezzo di trasporto alla portata, se non di tutti, di molti”, ha scritto nel 2003 Donatella Biffignandi del Museo dell’Automobile.
Fra gennaio e marzo 1922 l’ACI e il Touring creano un comitato per valutare la proposta di Puricelli, che l’approva all’unanimità. L’impresa viene costituita sul modello di quella delle concessioni ferroviarie: lo Stato dà la concessione, il privato realizza e si ripaga il lavoro con i proventi di gestione (pedaggi, pubblicità, etc.). Dopo cinquant’anni lo Stato diviene proprietario dell’infrastruttura.
Il Fascismo punta le sue fiches sull’auto-strada
Nel settembre-ottobre 1922 la crisi di governo in Italia giunge alla soglia della guerra civile e Mussolini viene chiamato al potere. Patricelli perfettamente indifferente a chi fosse l’inquilino di Palazzo Chigi, riesce a ottenere dal nuovo presidente del Consiglio un incontro a soli 13 giorni dalla Marcia su Roma e lo convince della bontà del suo progetto. Mussolini gli accorda ogni appoggio e – comprendendo subito l’importanza anche morale e propagandistica dell’idea (una strada per sole auto? Un’idea stra-moderna, futurista e fascista, praticamente!) – si offre di dare il primo colpo di piccone alla cerimonia inaugurale del cantiere. Un mese dopo Puricelli crea una società, ottiene il riconoscimento della “pubblica utilità” per la sua opera (con la quale può procedere agli espropri necessari per la sua realizzazione) e si impegna a chiudere i lavori entro il 1925. Si deve notare che la rapidità dei tempi di ideazione, progettazione e realizzazione – che poi saranno magnificati dal Regime come un “risultato fascista” – erano già in nuce nell’Italia liberale. Il merito del Fascismo, invero, fu quello di liberare le energie già presenti nell’Italia post-unitaria e giolittiana che spesso però subivano le pastoie della burocrazia, delle divisioni partitiche e delle conventicole locali.
Grazie alla sanzione di “opera di pubblico interesse” vengono espropriati con fulminea rapidità complessivamente 300.000 mq di terreno da tremila proprietari, risarciti con sei milioni di lire dell’epoca, e il 26 marzo 1923 Mussolini può dare il simbolico “primo colpo di piccone”, accompagnato da una serie di facilitazioni economiche che senza soverchio impegno finanziario per le casse dello Stato (era quella la fase “liberista” del governo di Mussolini) metteva a disposizione pubblica un’opera strategica con la prospettiva di entrarne in possesso diretto nel giro di due generazioni. In realtà il mutato scenario economico provocato dalla crisi del ’29 avrebbe spinto il Regime a nazionalizzare la Milano-Laghi già all’inizio degli anni Trenta, mentre lo Stato avviava la realizzazione della prima autostrada pubblica a pedaggio – la Genova-Serravalle Scrivia – nel 1932.
Alla conclusione del lavoro Puricelli realizzò un libro sull’impresa e la prefazione venne scritta da Mussolini: “Le autostrade sono una grandiosa anticipazione italiana e un segno certissimo della nostra costruttiva potenza non indegna agli antichi figli di Roma”. Il richiamo a Roma era d’obbligo, visto il binomio fra l’Impero Romano e la sua rete stradale, meraviglia dell’ingegneria antica. Negli otto anni successivi il Regime avrebbe realizzato ben 450 km di autostrade, il 15% di quella attuale ma in un paese che aveva quasi mille volte meno autoveicoli. Fu in certi casi un lavoro largamente in perdita economica, poiché il traffico veicolare non ripagava con la rapidità sperata le spese per la realizzazione. Eppure si continuò a portarlo avanti, con lungimiranza: il momento della motorizzazione totale del paese sarebbe arrivato e non ci si doveva far trovare impreparati.
L’Italia guida il mondo in autostrada
Nel frattempo, il termine italiano “autostrada” era diventato globale: nel 1926 il Congresso mondiale della Strada si era tenuto significativamente proprio a Milano e l’aveva imposto come standard (con le opportune traduzioni: Autobahn in tedesco). L’esempio italiano aveva aperto la via alle altre nazioni. C’erano stati casi precedenti alla Milano-Laghi, per esempio i circuiti Long Island Motor Parkway e Bronx River Parkway nello Stato di New York, aperte al traffico rispettivamente ne 1908 e 1922 e la AVUS nella periferia di Berlino, progettata nel 1909 e inaugurata nel 1921, ma queste tre esperienze erano nate come circuiti ricreativi, per la “guida panoramica” o sportiva. La circolazione “solo-motorizzate” era un sottoprodotto del progetto.
La Milano-Laghi invece era concepita esclusivamente per il traffico motorizzato, con lunghi rettifili, curve dolci (non più strette di 400 metri), pendenze mai superiori al 3%. La strada non aveva immissioni secondarie e quindi il traffico poteva scorrere senza dover dare precedenze. Inizialmente la strada aveva una sola corsia per carreggiata, ma ben presto le autostrade avrebbero raddoppiato le corsie per consentire i sorpassi. Inoltre si introduceva il concetto di strada “a pedaggio”, anche se inizialmente il pagamento inizialmente non avveniva coi caselli, ma alla stazione di servizio (tappa obbligatoria per gli utenti). Il personale vestiva in divisa ed era tenuto al saluto militare delle auto in transito, pratica abolita nel dopoguerra. La pavimentazione della Milano-Laghi non era in asfalto (tecnologia maturata successivamente), ma in calcestruzzo e nei primi anni la strada osservava un orario d’esercizio limitato alle ore diurne, con chiusura fra l’1 di notte e le 6 di mattina.
La concezione era ingegneria pura, raffinatissima ed elegante: le automobili avrebbero potuto procedere a velocità congegnali ai loro motori, riducendo i consumi e l’usura delle parti meccaniche, della carrozzeria e ovviamente degli pneumatici e si sarebbero ridotti i tempi di percorrenza. Fu così possibile calcolare con precisioni i risparmi, che su 100km di percorrenza andavano dalle 30 lire per le auto di piccola cilindrata alle 51 per quelle più potenti. Sulla base di questi risparmi fu calcolato il pedaggio autostradale, in ragione del 60% a vantaggio della società concessionaria. L’automobilista pagava sì un obolo, ma tratteneva comunque in saccoccia un buon 40% di risparmi complessivi: l’idea di fondo era “dare agli automobilisti una strada comoda, sicura, essenzialmente utilitaria e compartecipare all’utile che gli utenti avrebbero tratto dalla stessa”. Un vantaggio totale per tutti, insomma.
Dal punto di vista ingegneristico l’auto-strada prevedeva una tratta senza passaggi a livello (ferroviari o stradali), senza possibilità d’attraversamento pedonale o immissioni e uscite laterali che non fossero quelle delle poche tappe previste, quindi nessuna struttura pubblica o privata che s’appoggiasse all’autostrada per il proprio traffico diretto in entrata e uscita: la strada infatti passava lontana dai centri abitati. All’epoca non esisteva ancora la rete delle stazioni di servizio, altra innovazione italiana che però sarebbe arrivata nel dopoguerra con l’ENI di Mattei. Del resto le tratte erano ancora molto brevi. Patricelli fece costellare la sua opera anche da una piantumazione in armonia con il paesaggio lombardo: gelsi e alberi da frutta in prossimità delle case cantoniere: la bellezza era efficienza, nella mente dell’ingegnere.
Il 21 marzo del 1924, a meno di un anno dal primo colpo di piccone, l’ingegner Puricelli, alla presenza di sua maestà Vittorio Emanuele III, inaugurava il primo tratto di 50 km, da Milano a Varese. L’anno successivo, con quattro mesi d’anticipo sull’impegno preso col governo, Puricelli completava la terza tratta, Gallarate-Sesto Calende.
I numeri di un capolavoro
Vale la pena di riprendere integralmente il passo “I numeri” dal citato articolo di Donatella Biffignandi per dare un’idea delle dimensioni dell’impresa.
La Milano Laghi era costituita da cinque tronchi: Milano-Musocco-Lainate (12 km); Lainate – Gallarate (21 km); Gallarate Varese (16 km); Lainate – Como (24,5 km); Gallarate – Sesto Calende (11 km), per un totale di 84,5 km.
I movimenti di terra furono pari a circa 2 milioni di metri cubi.
Tra le opere di maggior rilievo, si contavano il cavalcavia della stazione di Musocco (tre luci adarco di 21 metri ciascuno e due passaggi laterali); il ponte a monoarco sul fiume Olona a
Castellanza, di 48 metri di luce; il tunnel di Olgiate Olona, lungo 70 metri; il cavalcavia di Vergiate, con tre travate di cemento, alto 15 metri.
Per le opere furono impiegati 200.000 quintali di cemento, 65.000 metri cubi di ghiaia, 32.500 metri cubi di sabbia. Nella pavimentazione cementizia, per ogni metro cubo, furono utilizzati 0,75 mc di pietrisco, 0,50 mc di sabbia, 350 kg di cemento, dosati automaticamente con acqua, il che portò a servirsi di 120.000 metri cubi di pietrisco, 62.000 mc di sabbia, 500.000 quintali di cemento, per una superficie complessiva di 750.000 metri quadrati. Per la movimentazione dei materiali, funzionarono quotidianamente 350 vagoni, azionati da 22 locomotive che si muovevano su 35
chilometri di binari. Gli operai impiegati furono oltre 4.000.
Complessivamente l’autostrada Milano – Laghi costò meno di un milione di lire a chilometro, ossia 75 milioni, nonostante vi fossero stati circa 7 milioni di spesa non preventivata (dovuti alla necessità di un allacciamento diretto con Milano e alla soppressione assoluta di tutti i passaggi a livello).
I biglietti, sul percorso intero, variavano da 10 lire (motocarrozzette) a 20 lire (vetture leggere), 25 lire (vetture), 50 lire (autobus), 75 lire (autobus oltre 20 posti).
Negli anni successivi sarebbero state aperte altre autostrade (la prima pubblica e senza pedaggio: Roma-Lido, con illuminazione elettrica, nel 1928) mentre Puricelli veniva ammesso al laticlavio senatoriale per regio decreto nel 1929, dietro proposta di Roberto Farinacci e Carlo Del Croix. Nel frattempo, con la crisi economica del ’29, l’azienda di Puricelli – ottimo ingegnere ma pessimo amministratore – entrava in dissesto mentre il suo patron diventava vicepresidente della Banca Commerciale Italiana: nel 1936 venne acquisita dall’IRI. La sua esperienza e i suoi meriti verso il Regime lo condussero nonostante i fallimenti economici in commissione Affari dell’Africa Italiana, visto l’impegno profuso nelle colonie per la realizzazione di una rete viaria, sul solco dell’esempio romano: Mussolini chiedeva la realizzazione di ben 2.850 km di strade nella sola AOI. Nel 1942 Puricelli propose al governo anche la realizzazione di una gigantesca, per l’epoca, autostrada che unisse Bologna con Roma e saldasse il nord con il centro-sud della Penisola, ma la guerra lasciò sulla carta questa idea, che fu concretizzata solo durante il boom economico con l’Autostrada del Sole. Già fin dal 1925 Puricelli aveva suggerito anche un’idea di rete autostradale europea, suggestione che venne ripresa oltralpe da Adolf Hitler, che ricevette l’ingegnere milanese subito dopo la conquista del potere, insieme al potente gerarca dei lavori pubblici Fritz Todt. Il Nazionalsocialismo fece sia l’idea di Puricelli con la mastodontica rete delle Autobahnen, la prima infrastruttura strategica del Terzo Reich degli anni Trenta, che risollevò keynesianamente l’economia disastrata della Germania di Weimar. Favorevole all’alleanza italo-tedesca propose la creazione di un’autostrada Roma-Berlino che passasse per il Brennero.
Puricelli, oltre alla nomina a senatore e alla patente di nobiltà concessa dal Sovrano nel 1940 (Conte di Lomnago), fu coperto di riconoscimenti in patria e all’estero, dove realizzò anche opere ingegneristiche: onorificenze, cavalierati, lauree honoris causa. Durante la guerra fuggì in Svizzera per evitare l’arresto da parte della polizia fascista dietro l’accusa di aver aiutato dei partigiani e paradossalmente dopo la guerra la sua adesione al regime fascista lo fece cadere in disgrazia e dovette subire processi ed epurazioni, che tuttavia lo videro prosciolto. Lavorò ancora nel settore dell’edilizia fino alla morte, giunta nel 1951. L’idea dell’autostrada rivoluzionò il mondo industrializzato, mostrando al mondo che il genio italiano, quando non è ostacolato dalla burocrazia, dai miti incapacitanti o dalle beghe locali, è il faro del mondo.
Nota a margine. La Milano-Laghi e Mussolini
Si è molto parlato dell’interesse di Mussolini per la strada che conduceva da Milano fin nei pressi del confine svizzero. Di sicuro il Duce, motociclista, amava percorrere quella strada così come amava la sua destinazione, che gli ricordava l’emigrazione a Lugano in gioventù. Alcuni hanno immaginato dietrologicamente una vera e propria “committenza” mussoliniana per avere un cordone ombelicale diretto verso luoghi in cui si recava per i suoi incontri diplomatici segreti. E’ probabilmente più vero il contrario, ossia che l’autostrada, concepita autonomamente da Puricelli, sia diventata proprio uno dei motivi per i quali Mussolini privilegiò la zona dei Laghi per i luoghi d’appuntamento con agenti ed emissari provenienti dalla neutrale Svizzera. Fino all’ultimo, fatale appuntamento sul Lago di Como, il 28 aprile 1945.