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10 cose che sappiamo su via Rasella e che nessuno può far finta di non sapere

Siccome il mio precedente articolo era lungo come un’esecuzione capitale nel XVII secolo, ho deciso di riassumere qui in 10 punti le cose fondamentali su via Rasella così da renderle potabili e facilmente gestibili.

1 – Non ci sono prove che i tedeschi offrirono la salvezza degli ostaggi in caso di consegna degli attentatori

Ci sono solo ricordi, nessuna prova materiale che furono affissi manifesti in cui in cambio della consegna degli attentatori i tedeschi avrebbero risparmiato gli ostaggi. Secondo l’ambasciatore Caracciolo, un bando sulle rappresaglie era stato stampato ma affisso solo nelle stanze degli uffici pubblici. Comunque, la strage alle Ardeatine iniziò prima della scadenza delle 24 ore. Kesselring durante il processo ammise di non aver mai ordinato di proporre lo scambio della vita degli ostaggi con la consegna degli attentatori.

2 – I gappisti sapevano che i tedeschi avrebbero fatto una rappresaglia

Non c’è alcun dubbio che i gappisti sapessero perfettamente quali sarebbero state le conseguenze di un attacco alle loro truppe all’interno della Capitale. Tutto il fronte clandestino era a conoscenza dei metodi tedeschi e gli altri partiti del CLN si opposero fino all’ultimo ad azioni che potessero pregiudicare la vita dei civili.

3 – I militi del III battaglione del reggimento Bozen non erano SS

Si trattava di territoriali in là con gli anni – età media superiore ai 30 – arruolati in Alto Adige e inquadrati in un battaglione di polizia. Le polizie dipendevano tutte dalle SS, ma non erano a loro volta SS.

4 – I militi del III battaglione del reggimento Bozen non erano “nazisti”

Se per “nazisti” si intende aderenti all’ideologia nazionalsocialista, no, i militi del Bozen non lo erano. Per lo più cattolici, venivano considerati dai loro superiori come feccia, infidi e inadatti al combattimento. Peraltro, i militi del Bozen si rifiutarono di partecipare alla rappresaglia delle Ardeatine.

5 – La foto di Piero Zuccheretti non è un falso

Con buona pace delle sentenze di tribunale e delle perizie, la foto che ritrae i resti di Piero Zuccheretti è veramente stata scattata durante la guerra. Quello che le perizie hanno definito un “marciapiede” (inesistente nel 1944) è in realtà lo zoccolo in travertino di Palazzo Tittoni e dai segni sulla pietra è possibile identificare esattamente e senza ombra di dubbio il luogo in cui è stata scattata la foto.

6 – Bentivegna non poteva non sapere del bambino morto

Nonostante quello che più volte ha affermato nelle sue memorie, Rosario Bentivegna non poteva non sapere che nell’attentato era stato ucciso un bambino. Sua moglie Carla Capponi ricorda il necrologio del ragazzino sul “Messaggero” dei giorni successivi e la scusa addotta da Bentivegna che le sue ricerche all’anagrafe non avrebbero avuto alcun esito non regge, poiché la documentazione sulla morte di Piero Zuccheretti è archiviata correttamente fin dal 1944.

7 – No, i morti alle Ardeatine non erano tutti italiani

Sono almeno 9 i fucilati di nazionalità straniera: tre ebrei tedeschi, tre ebrei polacchi, un ebreo sovietico, un ungherese e un altro di nazionalità ignota.

8 – No, i morti alle Ardeatine non erano tutti antifascisti

Su 335 martiri, circa 180-190 erano stati inseriti nel novero dei fucilandi per motivi politici. Si trattava per lo più di uomini della Resistenza catturati nei giorni immediatamente a ridosso dello Sbarco di Anzio, per lo più militari, aderenti a Giustizia e Libertà e al movimento troskista “Bandiera Rossa” e al PCI. 19 erano i massoni e 3 gli anarchici. Circa 75 furono assassinati perché ebrei, ma di questi solo alcuni (forse sette) assommavano alla “colpa” razziale anche la militanza nella Resistenza.
Gli altri invece sono stati inseriti nelle liste per altri motivi: criminali comuni, condannati a pene di diversa entità, sospettati in attesa di giudizio, semplici passanti… Questi non furono fucilati per motivi politici, ma per disgrazia. E non si può definirli antifascisti.

9 – Che i gappisti cercassero la rappresaglia per eliminare gli altri membri della Resistenza non comunista è solo un’ipotesi

Non c’è alcuna prova che l’obbiettivo dell’attentato di via Rasella fosse stato quello di far effettuare una rappresaglia sugli antifascisti da poco catturati dai nazifascisti. Tuttavia il modus operandi del PCI aveva più volte fatto ricorso alla delazione per far eliminare ai fascisti i dissidenti e i rivali nel fronte antifascista.

10 – L’attentato di via Rasella fu una resa dei conti interna al PCI

Nel 1973-74 i protagonisti della Resistenza comunista fecero “volare gli stracci” con una serie di memoriali in cui venivano descritti i veri moventi che condussero all’attentato di via Rasella. Da quei memoriali emerge come la cellula romana, accusata da quella milanese di “attendismo”, aveva optato per un’azione terroristica eclatante. Inoltre Amendola, capo della cellula romana, che nei mesi precedenti aveva attaccato Togliatti a Mosca, era ora terrorizzato dalla notizia che “il Migliore” stava tornando in Italia, e aveva bisogno di un’impresa con cui riabilitarsi agli occhi del suo capo.

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