Medioevo, la stagione d’oro dei veleni, utili per uccidere e anche per guarire

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di Marino Pagano per “Storia In Rete.com”

Uno degli strumenti più temuti e affascinanti del periodo medievale: il veleno. Ecco che Beatrice Del Bo, professoressa di Storia economica e sociale del Medioevo presso l’Università degli Studi di Milano, ci porta in un viaggio che è sicuramente una cronaca storica e storiografica di crimini e malefici ma anche una riflessione complessa su come il veleno abbia permeato la società medievale in tutte le sue sfaccettature. “Arsenico ed altri veleni. Una storia letale nel Medioevo” (Il Mulino, pp. 304, € 17,00) è il titolo dell’ultimo libro della Del Bo, libro di fatti ma ancor più di mentalità, mentalità medievale. La studiosa, autrice di altri volumi come “L’età del lume. Una storia della luce nel Medioevo” (2023), si cimenta in un’analisi storica che unisce precisione accademica e narrazione avvincente. Il veleno è, in queste pagine, quel che era: simbolo di potere e paura. Una minaccia reale e costante, giacché le morti per avvelenamento erano abbastanza frequenti. La docente medievista affronta l’argomento con l’obiettivo di decostruire alcuni stereotipi legati a questa pratica, come l’immagine della donna avvelenatrice, un mito radicato nelle narrazioni dell’epoca: l’uso del veleno era invece trasversale e coinvolgeva uomini e donne di ogni ceto sociale, dai potenti nobili agli umili abitanti delle città, passando per guaritori e speziali.

E allora quella dei veleni era una vera, grande “bottega”, come ci consiglia l’autrice. Nelle botteghe dei farmacisti, gli ingredienti tossici venivano manipolati tanto per fini medici quanto per scopi mortali. Questo ci porta subito a considerare il doppio volto del veleno: un’arma letale ma anche un prezioso rimedio. Del Bo esplora il sottile confine tra medicina e avvelenamento, evidenziando il ruolo degli speziali come figure anche ambigue.

Figlie di profondo studio, poi, le pagine sull’utilizzo delle piante velenose, da sempre parte integrante della medicina popolare. Alcune erbe, conosciute per la loro efficacia letale, erano però anche rimedi potenti, se utilizzate in dosi precise. Del Bo richiama l’attenzione sulla saggezza contadina e sull’importanza che queste piante avevano nel contesto terapeutico medievale, conoscenze che si trasmettevano di generazione in generazione.

Nel capitolo “Animali assassini e vittime”, l’autrice esplora il mondo degli animali velenosi. Dai serpenti alle tarantole, passando per rospi e altre creature, l’immaginario medievale era popolato da esseri che, a metà tra fantasia e realtà, terrorizzavano o affascinavano le genti. In questo contesto, emerge una particolare attenzione per l’ambivalente simbolismo del serpente.

Ci si concentra, ancora, sulle misure preventive che venivano adottate per scongiurare l’avvelenamento. Figure come gli assaggiatori e l’uso di amuleti protettivi erano parte integrante della vita a corte, dove le tavole imbandite potevano nascondere insidie mortali. Un mondo, si capirà, in cui è assai labile il confine tra superstizione e realtà, meno che mai ‘scientifica’.

Un mondo, quello della medicina medievale, in cui la preparazione degli antidoti appare come una vera arte. Tra le figure più influenti, spicca quella di Pietro d’Abano, uno dei più noti esperti di veleni del suo tempo, che catalogò ben 76 sostanze tossiche. Non mancano racconti curiosi, come la scoperta di un volume antico appartenente a un medico medievale, che raccoglieva illustrazioni e ricette per trattare i veleni, sottolineando l’attenzione verso una conoscenza scientifica in evoluzione.

Uno degli aspetti più affascinanti del libro è l’analisi di quelle che l’autrice definisce “scene del crimine”, specificatamente nel capitolo dedicato agli avvelenamenti tra gli aristocratici e i reali. Qui Beatrice Del Bo offre uno spaccato di processi storici e avvenimenti documentati in cui il veleno ha giocato un ruolo cruciale. Dai pranzi che si trasformavano in tragedie alle faide politiche che culminavano in morti sospette, ogni evento narrato ci permette di comprendere meglio come il veleno fosse, oltre ad una minaccia, un’arma strategica nelle mani di potenti e avversari.

La giustizia medievale sapeva poi imporsi: gli avvelenatori erano considerati tra i peggiori criminali e la punizione per chi veniva colto in flagrante era spesso brutale. Si pensi a Pier delle Vigne o alla celebre vicenda della regina longobarda Rosmunda, moglie di Alboino, addirittura obbligata a bere dal cranio del suo assassino. Il veleno è potere, quantomeno uno dei suoi strumenti più simbolici. Perché il potere, talvolta, è infido e codardo e sceglie le vie sottili del silenzio letale. Il veleno è, così, morte ma anche controllo e manipolazione. Tra i potenti del tempo, l’abilità di avvelenare o proteggersi dal veleno era considerata una forma di dominio.

Dunque, un’analisi meticolosa e approfondita, quella della Del Bo. Il veleno attraversa ogni strato sociale e influenza le dinamiche politiche e personali. Questo accuratissimo testo ce lo fa ben comprendere.

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