Questo sarà anche l’anno della radio, per l’Italia. Se infatti si festeggia la Giornata Mondiale della Radio – proclamata dalle Nazioni Unite per celebrare l’annuncio il 13 gennaio 1946 della fondazione dell’organizzazione – fra pochi mesi, precisamente il 6 ottobre, il nostro Paese spegnerà le cento candeline della sua radio.
Il primo annuncio della radio, alle ore 21 del 6 ottobre 1924, ebbe la voce di Maria Luisa Boncompagni seguita subito dopo da Ines Viviani Donarelli. La radio era allora uno strumento giovane. Guglielmo Marconi aveva ottenuto la prima trasmissione nell’etere nel 1901, anche se una legione di scienziati e inventori stava già lavorando al “telegrafo senza fili” da almeno trent’anni. Inizialmente pensata per scopi molto pratici, salvare le vite in mare, fu l’Inghilterra – dove Marconi era emigrato per mettere a frutto la sua invenzione, tanto che la società che porta il suo nome è tutt’oggi britannica – a concepire per prima l’impiego della radio come mass media. Nel 1917 iniziarono le prime trasmissioni sperimentali di voce e musica via etere, e nel 1919 fu impiantata in Gran Bretagna la prima emittente pioniera. L’anno successivo, a Detroit, negli Stati Uniti, entrava in attività la prima stazione privata. Il 31 agosto, un’altra emittente di Detroit trasmetteva il primo radiogiornale della storia e a ottobre nasceva la prima radio commerciale a Pittsburgh. Sempre nel 1920 iniziarono i primi esperimenti anche per la trasmissione di immagini via radio. Ma la possibilità di diffondere la voce umana e la musica (radiofonia, appunto) a distanza fece impazzire l’intero mondo civilizzato: nel giro di pochissimi mesi lo strumento divenne così popolare che negli Stati Uniti già nel 1922 si contavano 187 stazioni private. Quell’anno in Inghilterra nasceva la BBC.
L’Italia avrebbe dovuto aspettare il 1924, con l’URI, Unione Radiofonica Italiana.
In realtà già dal 1923 i primi pionieri della radiofonia avevano iniziato a trasmettere anche da Roma. Si trattava della Radio Araldo di Luigi Ranieri. Era un notevole passo avanti, considerando che dal 1910 il telegrafo senza fili era un monopolio di Stato e ne era interdetto l’uso ai privati, per il suo valore militare. L’avvento di Costanzo Ciano al ministero delle Poste fece però propendere per uno strumento potente, da affidare alla gloria nazionale e premio Nobel Guglielmo Marconi. Nacque così l’URI, Unione Radiofonica Italiana, che doveva compensare le istanze dei privati come Radio Araldo con quelle del monopolio di Stato, in particolare nella diffusione dei notiziari.
Il 5 ottobre venne radiotrasmesso un discorso di Benito Mussolini. La precedente prova col discorso del 23 marzo, tentata da Radio Araldo fece cilecca, per problemi tecnici, e probabilmente questo pesò nella fine dell’esperienza di Ranieri, che non riuscì a trovare i capitali per entrare nell’URI insieme alla Marconi (Radiofono) e alla «Società italiana radio audizioni circolari» (SIRAC) del gruppo Radio Corporation of America. Entrambe le compagnie erano straniere, ma il governo, nella convenzione stipulata il 26 novembre 1924 impose che tutta la dirigenza dell’URI fosse di nazionalità italiana.
Il 6 iniziarono ufficialmente le trasmissioni.
La prima stazione era a Roma, a Parioli, a San Filippo, ed era costruita dalla Marconi. Alle ore 21 di quel 6 ottobre, Maria Luisa Boncompagni lesse il primo regolare annuncio della neonata radio:
Subito dopo Ines Viviani Donarelli, dallo studio romano di palazzo Corrodi, presentò il primo programma con queste parole:
L’URI aprì altre due stazioni, a Milano e Napoli, l’anno successivo, ma gli abbonati erano solo 26.855. La diffusione del mezzo era ostacolata dal suo costo iniziale e dalle condizioni economiche del popolo italiano. Un apparecchio radio costava tremila lire, quando lo stipendio di un impiegato non arrivava a 500 e un dirigente forse guadagnava duemila lire al mese. Il governo fascista cercò di aiutare la radio imponendo a ogni Casa del Fascio l’acquisto di un apparecchio, secondo lo slogan che ogni paese doveva avere la sua radio… un obbiettivo molto modesto che fu immediatamente surclassato puntando agli apparecchi popolari – la Radio Rurale e la celebre Radio Balilla – semplicemente abbattendo i costi di produzione, cosa ovvia per una tecnologia che andava rapidamente maturando. Gli apparecchi vennero diffusi dapprima nelle sedi ufficiali del Partito e degli organi sindacali, poi nelle scuole, infine nei locali pubblici. Nel 1928 l’URI diventa EIAR, Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, società privata ma titolare di concessione pubblica monopolistica venticinquennale. Il ministero delle Poste e Telecomunicazioni si riservava la nomina dei consiglieri d’amministrazione. Nel 1931 nasce Radio Vaticana, voluta da Pio XI, e il 13 dicembre di quell’anno viene trasmessa la prima radiocronaca di un incontro di calcio: Italia e Ungheria, disputato a Torino. Il 13 ottobre del 1934 nasce il primo successo nazional-popolare: “I quattro moschettieri”, su testi di Nizza e Morbelli. Quello stesso anno si contavano 900.000 abbonati, ma in realtà i “radioamatori” erano più di otto milioni, anche grazie alla diffusione delle tecnologie per l’autofabbricazione degli apparecchi, la “radio a galena” (già nel 1922 il governo americano aveva diffuso dei manualetti per la realizzazione domestica di riceventi a galena affinché ogni famiglia potesse avere la sua radio).
Con la Guerra d’Etiopia nasce anche la radiocronaca. Quel conflitto fra imperi coloniali, che vedrà un effimero trionfo dell’Italia su quello etiope, sarà la prima guerra “raccontata in diretta” della storia. La radio del resto si prestava perfettamente a diventare uno strumento di propaganda. Il fascismo l’aveva capito imponendo subito il monopolio di Stato sui radiogiornali, ma anche altri regimi non erano da meno: Roosevelt, dal suo studio, ogni sabato faceva radiotrasmettere i “Discorsi del caminetto” al popolo americano, e la BBC durante la Seconda guerra mondiale vinse la guerra mediatica con gli avversari tedeschi e italiani, tanto a suon di verità sull’andamento del conflitto, troppo spesso taciuto agli ascoltatori europei, quanto diffondendo bugie, ma con maggiore abilità. L’ufficio marketing degli Alleati, insomma, funzionava meglio di quello del dottor Goebbels.
Dopo la guerra, la radio italiana soffriva gli stessi problemi del resto del paese: spezzettamento in tronconi causato dalla guerra civile, distruzioni belliche, impoverimento, obblighi da parte alleata. Ma proprio gli occupanti favorirono la rinascita dell’informazione in Italia, beninteso nel loro interesse. Già nel 1944 l’EIAR cambia nome e diventa RAI, Radio Audizioni Italiane. Un altro decennale tondo, dunque, per i nostri mass media.
Nel 1950 la riforma del sistema radiofonico stabilisce la creazione di tre reti: Nazionale, Secondo e Terzo. L’anno successivo venne trasmessa in diretta la prima edizione del Festival di Sanremo. Nel 1952 iniziò la programmazione notturna – prima le radio cessavano le trasmissioni “per far riposare le valvole” – con la trasmissione “Notturno italiano”, che continuerà fino al 2011. Nel 1959 nasce “Tutto il calcio minuto per minuto”, una delle trasmissioni più popolari della radio italiana, tuttora in onda. Negli anni Sessanta, con il transistore, la radio diventa piccola e portatile. Cambiano i programmi anche per differenziarsi dalla TV. Il Sessantotto apre a nuovi generi musicali e nascono programmi di intrattenimento nuovi, come “Bandiera gialla”, “Per voi giovani” e “Alto gradimento” della coppia Renzo Arbore-Gianni Boncompagni. Nel 1969 nasce anche il primo talk radiofonico: “Chiamate Roma 3131”, prima linea diretta con gli ascoltatori.
Con gli anni Settanta nascono le prime “radio libere”. Si apriranno contenziosi con la RAI, che alla fine dovrà cedere, nel 1976, il monopolio. Le radio private, nonostante fossero pirata, erano già oltre 400. Nel 1978 erano già 2.800. Fenomeno tipicamente giovanile, con emittenti in modulazione di frequenza (FM), avranno una connotazione soprattutto di sinistra. Con gli anni Ottanta, a imitazione dei fenomeni provenienti dagli USA, inizieranno a trasmettere anche radio commerciali: Radio Deejay, Radio Italia e Radio Italia Network. L’arrivo di internet ha infine creato la fusione fra radio e TV, con le spettacoli radiofonici trasmessi in diretta web. Altro che “Video killed the radio star”… Le stelle della radio sono diventate loro i protagonisti del video.
Ma intanto, la radio, la vecchia radio scompare. Sostituita dal digitale, che promette un suono pulito, sempre perfetto. Basta puntare l’antenna, girare di pochi secondi di grado la manopola per sintonizzare la stazione, chiedere all’altra persona nella stanza di spostarsi perché “fa interferenza”. Il DAB supera tutto questo. Ma come ogni progresso, ha la sua luce e la sua ombra. La radio ora dipende da un provider internet. Può essere spenta a distanza con un clic, come tutto ciò che è digitale, dai nostri soldi ai nostri diritti di cittadinanza. Speriamo non si debba mai tornare alle radio clandestine. Ma nel frattempo, teniamoci stretti gelosamente i nostri vecchi apparecchi analogici a pile. Non si sa mai.
Questo articolo è stato pubblicato su CulturaIdentità del 13 febbraio 2024