HomeStampa italiana 1Pitigrilli: lo scrittore del paradosso. Ebreo, fascista, bugiardo, convertito

Pitigrilli: lo scrittore del paradosso. Ebreo, fascista, bugiardo, convertito

Torna l’autobiografia dello scrittore che segnò gli anni Venti e Trenta con i suoi romanzi “audaci”

di Francesco Perfetti da Il Giornale del 4 gennaio 2024

Pitigrilli fu uno dei più popolari e amati scrittori del primo Novecento. I suoi romanzi e le sue raccolte di racconti fecero registrare tirature e vendite da capogiro. Secondo una statistica relativa al periodo 1918-1943 ben sette titoli dei suoi libri più noti da Mammiferi di lusso a Cocaina, da Oltraggio al pudore a La cintura di castità ebbero tirature di trecentomila copie ciascuno. Soltanto Guido Da Verona, ma con due soli titoli (uno dei quali era il celebre Mimì Bluette, fiore del mio giardino), peraltro sul mercato da più anni rispetto ai libri di Pitigrilli avevano raggiunto quella tiratura. Il libro più stampato e venduto in assoluto in questo periodo fu il Mussolini di Giorgio Pini, ma, naturalmente, le fortune della biografia ufficiale del Duce non sono comparabili agli altri successi editoriali.

Lettore onnivoro e un po’ snobistico, Benito Mussolini non amava affatto il genere nel quale eccellevano Pitigrilli e Da Verona e non esitò a definirlo, parlandone con un interlocutore, «letteratura da burletta». Eppure, a leggerne le memorie, Pitigrilli parla di Pitigrilli (Oaks editrice, pagg. CVIII318, euro 28), appena ripubblicate a cura di Fabio Andriola, Mussolini, quando uscirono i suoi primi lavori, lo chiamò per dirgli: «I vostri libri mi piacciono, ma voi non siete uno scrittore italiano: voi siete uno scrittore francese che scrive in italiano, anzi uno scrittore europeo». In quella stessa occasione, alla domanda sul perché non si iscrivesse al Pnf, Pitigrilli, a suo dire, rispose: «Non faccio politica. Non mi iscriverò mai a nessun partito, perché al fesso del mio partito preferirei sempre l’intelligente del partito avversario».

A dire il vero, egli provò più volte, ma senza successo, a iscriversi al Pnf e a chiedere udienza al Duce. Aveva amici ed estimatori come Galeazzo Ciano ed Emilio De Bono, ma anche feroci avversari ed evidentemente, al di là dell’episodio narrato nell’autobiografia, il vero giudizio di Mussolini, il quale pure era solito vezzeggiare gli intellettuali per attirarli nella propria orbita, era tutt’altro che positivo. E sì che, indipendentemente dal successo popolare, il nome di Pitigrilli aveva un certo peso, se non per altro almeno per il fatto che la rivista da lui fondata e diretta, Le Grandi Firme, pubblicava testi dei più importanti scrittori.

In quel periodico, da lui fondato nel 1924 e destinato a durare fino al 1939, Pitigrilli ospitava gli autori senza preoccuparsi delle idee politiche: accanto a Luigi Pirandello, Gabriele D’Annunzio, Renato Panzini, Matilde Serao, Grazia Deledda anche scrittori che avevano firmato il Manifesto degli intellettuali antifascisti del maggio 1925 come Sibilla Aleramo, Corrado Alvaro, Sem Benelli, Roberto Bracco. E poi, in misura massiccia, molti stranieri in gran parte inglesi e francesi. Il che, per inciso, visti i tempi, poteva apparire sospetto. Non c’era però, probabilmente, nessuno spirito di fronda nella scelta degli autori perché, in fondo, Pitigrilli non aveva interesse per la politica. Si preoccupava soltanto di scrivere libri di successo ricchi di battute, paradossi, giochi di parole, umorismo: testi spesso considerati licenziosi o addirittura pornografici ma che, a sfogliarli oggi, sembrano scritti per titillare le fantasie di educande.

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Rampollo di una famiglia torinese di buona borghesia Pitigrilli (1893-1975) aveva iniziato molto presto la carriera giornalistica presso il quotidiano romano L’Epoca e altre testate prevalentemente letterarie cui inviava racconti che piacevano per lo stile brillante e lo sfavillio di gustosi aforismi. Il suo vero nome era Dino Segre ma si era scelto come nom de plume una parola, Pitigrilli, che non significava nulla a proposito della quale, in una delle sue ultime interviste, disse: «ho dato tante spiegazioni, una più bugiarda dell’altra, quindi non saprei proprio quale scegliere».

Nella politica si trovò invischiato a causa di una denuncia «per attività antifasciste e offese al Duce» da parte della poetessa Amalia Guglieminetti, già sua amica e amante. Era una accusa del tutto falsa basata su lettere apocrife redatte dalla stessa Guglielminetti. Pitigrilli fu arrestato, poi scarcerato e prosciolto, mentre gli accusatori, prima fra tutti la poetessa, furono condannati. Ma, attorno alla sua figura cominciò a manifestarsi una certa diffidenza.

Poi, il suo nome finì tra i «confidenti» dell’Ovra. Lo rivelò, nel 1944, Radio Bari e la cosa fece scalpore. Come e perché Pitigrilli sia diventato uno spia che contribuì all’arresto di esponenti antifascisti non è ancora chiaro, ma il fatto è incontrovertibile. Indro Montanelli lo aveva conosciuto bene, lo stimava come scrittore ed era stato in ottimi rapporti con lui. Quando, molti anni dopo la morte di Pitigrilli, la faccenda Ovra tornò sulle pagine dei giornali, lo difese sostenendo che doveva trattarsi di una montatura. Ricordo che mi disse: «Non ci crederei nemmeno se mi portassero le prove», ma poi dovette arrendersi amaramente all’evidenza.

Nell’immediato dopoguerra, Pitigrilli si trasferì dapprima in Svizzera e poi in Argentina dove visse per molti anni diventando persino amico e confidente di Evita Peron. Nel frattempo, lui, che, pur non praticante, era di famiglia ebraica, da parte del padre, si convertì al cattolicesimo, e ripudiò i libri che lo avevano reso famoso. Paradossalmente la «scoperta di Dio» avvenne, oltre che per l’influenza della seconda moglie e l’incontro con Padre Pio, attraverso una pratica che la Chiesa condannava, quello dello spiritismo. Ma non c’è da meravigliarsi perché il paradosso faceva parte della sua personalità oltre che della sua scrittura.

La sincerità del suo percorso spirituale fu apprezzata da personalità del mondo cattolico, come Padre Gemelli e i suoi nuovi libri come La piscina di Siloe (1948) e Mosé e il cavalier Levi (1948) di tutt’altro tono rispetto a quelli cui era stato anni prima legato il suo nome, vennero elogiati dalla stampa cattolica. Chi si rifiutò di credere alla «conversione» fu lo scrittore antifascista Mario Mariani, che la liquidò con una battuta ironica di sapore pitigrilliano: «l’ultimo, il più esilarante dei suoi motti di spirito».

Le memorie, Pitigrilli parla di Pitigrilli, furono scritte a Buenos Aires per il quotidiano La Razon. Malgrado reticenze e omissioni non c’è neppure un cenno alla collaborazione con l’Ovra il volume è godibile, degno del migliore Pitigrilli ed è, altresì, importante non soltanto per la conoscenza della biografia di uno scrittore immeritatamente ignorato dalla critica letteraria ma anche come documento di un’epoca.

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