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1943. La strage di Biscari e altri crimini alleati “che non esistono”

Una pagina a parer nostro non secondaria dell’invasione alleata della Sicilia nell’estate del 1943, totalmente nascosta a livello ufficiale, è costituita dalle stragi compiute dai soldati statunitensi ai danni di civili e prigionieri di guerra italiani e tedeschi; sottolineiamo ad opera degli statunitensi, perché nessun atto criminale può venire attribuito ai britannici dell’VIII Armata che pure combattevano contro gli italiani dal giugno del 1940.

Subito dopo lo sbarco in Sicilia gli statunitensi si resero responsabile di alcune stragi di civili. La prima strage documentata fu consumata, quasi sicuramente da paracadutisti della 82th Airborne a Vittoria, dove furono messi al muro dodici civili, la maggior parte dei quali rimasti sconosciuti; tra loro il podestà di Biscari, Giuseppe Mangano , sorpreso con la moglie, il fratello ufficiale medico, il figliolo adolescente e la donna di servizio. Il figlio diciassettenne del podestà, Valerio Mangano, liberatosi dalla guardia dei militari statunitensi, impugnando un sasso, si gettò in soccorso del padre e fu colpito da una baionettata al volto che gli trapassò la guancia sinistra staccandogli quasi la testa

Emblematico è l’eccidio di Biscari, l’odierna Acate, dove il 14 luglio nel corso di due eccidi vennero trucidate novanta persone, settantasei prigionieri di guerra italiani, quattro artiglieri tedeschi della Flak e dodici civili.

Del massacro si è parlato dapprima negli Stati Uniti, poi anche in Italia, ma sommessamente, e omettendo di ricordare come le vittime fossero soprattutto Camicie Nere della Milizia Difesa Contraerea Territoriale, ammazzati dagli statunitensi per la camicia nera che indossavano perché colpevoli di essere fascisti.

Crimine ancora più infame, perché. la Milizia Artiglieria Contro Aerei (M.A.C.A., come dal 1940 era stata ridenominata la Milizia DICAT) era costituita da volontari non aventi obblighi militari, da giovanissimi non ancora di leva, da mutilati di guerra, da maturi padri di famiglia reduci dalla guerra 1915/1918, da ciechi raffinati nell’udito destinati all’ascolto degli aerofoni. Basterà ricordare che una delle vittime della strage statunitense era, come vedremo, un cinquantenne invalido per un congelamento ai piedi nella Grande Guerra!

Le Camicie Nere della Milizia Artiglieria Contraerea che difendevano l’Aeroporto di Biscari, investiti dal fuoco dell’artiglieria alleata e poi dalla fucileria dei soldati del 180th Infantry Regiment degli Stati Uniti, non buttarono le armi né scapparono, sostenuti nella lotta ad oltranza da due batterie contraeree tedesche della Flak.

Per diversi giorni i soldati americani dovettero attaccare le postazioni tenute dalle anziane Camicie Nere e dai tedeschi, lasciando sul campo di battaglia un elevato numero di morti e di feriti.

Il 14 luglio 36 militi che facevano parte della retroguardia che aveva consentito con la sua resistenza ai reparti di ritirarsi verso la strada Santo Pietro-Caltagirone, si arresero alla compagnia C del 180th Infantry Regiment del capitano John T. Compton. Il capitano Compton fece fucilare subito sul posto i militi che si erano arresi.

Anche in contrada Ficuzza gli americani della compagnia A del 180th Infantry Regiment incontrarono una durissima difesa del territorio da parte degli italo-tedeschi e, quando i difensori si arresero, il sergente Horace T. West, incaricato, assieme ad altri militari americani, di scortare i prigionieri Biscari, ordinò loro di togliersi le divise e le scarpe, li incolonnò e li fece camminare fino al torrente Ficuzza, dove li massacrò a colpi di fucile mitragliatore.

Le vittime italiane furono trentasette, in maggioranza Camicie Nere ed avieri, quattro quelle tedesche. Si salvarono soltanto due mitraglieri della M.A.C.A., il vicecaposquadra (caporale) Virgilio De Roit, la Camicia Nera Silvio Quaiotto, e l’aviere Giuseppe Giannola, i quali denunciarono con dovizia di particolari quanto era successo.

Un altro gruppo di prigionieri, incolonnato per essere condotto nelle retrovie e interrogato dagli uomini dell’intelligence, fu affidato al sergente Horace West, al comando di sette militari. Durante il tragitto si furono aggregati al gruppo altri trentasette prigionieri, tra cui due tedeschi della Flak. Dopo circa un chilometro i prigionieri furono obbligati a fermarsi e disporsi su due file parallele, mentre West, imbracciato un fucile mitragliatore, aprì il fuoco falciando i prigionieri. Al centro della prima fila c’era l’aviere Giuseppe Giannola, che fu l’unico superstite. Questi, in una relazione inviata al Comando Aeronautica della Sicilia il 4 marzo 1947, ricordò:

Fummo avviati nelle vicinanze di Piano Stella ove fummo poi raggiunti da un altro contingente di prigionieri italiani del R. Esercito [in realtà della MVSN], e questi ultimi in numero circa di 34. Tutti fummo schierati per due di fronte – un sottufficiale americano, mentre altri 7 ci puntavano con il fucile per non farci muovere, col fucile mitragliatore sparò a falciare i circa 50 militari che si trovavano schierati. Il dichiarante rimasto ferito al braccio destro [rimase] per circa due ore e mezzo sotto i cadaveri, per sfuggire ad altra scarica di fucileria, dato che i militari anglo americani rimasero sul posto molto tempo per finire di colpire quelli rimasti feriti e agonizzanti.

Giannola, quando pensò che gli americani se ne fossero andati via, alzò la testa nel tentativo di allontanarsi, ma da lontano qualcuno gli sparò con un fucile colpendolo di striscio alla testa. Cadde e si finse di nuovo morto. Restò immobile per circa mezz’ora fin quando, strisciando carponi, raggiunse un grosso albero. Vide degli statunitensi con la croce rossa al braccio e si avvicinò. Gli vennero tamponate la ferite al polso e alla testa e gli fu fatto capire che da lì a poco sarebbe sopraggiunta un’autoambulanza, che l’avrebbe trasportato al vicino ospedale da campo. Poco dopo vide avvicinarsi una jeep e fece segno di fermarsi. Scesero due soldati, uno con un fucile, che gli domandò se fosse italiano. Alla risposta positiva il soldato statunitense gli sparò, colpendolo al collo con foro d’uscita alla regione cervicale destra, risalì in macchina e si allontanò.

Poco dopo sopraggiunse l’autoambulanza che lo raccolse trasportandolo all’ospedale da campo di Scoglitti. Due giorni dopo fu imbarcato su una nave e portato all’ospedale inglese di Biserta ed ad altri del Nord Africa. Rientrò in Italia il 18 marzo 1944 e fu ricoverato all’ospedale militare di Giovinazzo.

Dalla testimonianza di Luigi Lo Bianco, un contadino che viveva nei pressi dell’aeroporto di Biscari,all’epoca dei fatti un ragazzo di 15 anni, si è appurato che, nella strada tra l’aeroporto di Biscari e Caltagirone, in contrada Saracena,furono fucilati dagli americani otto uomini della Milizia appartenenti alla 19a batteria da 76/40 del 31° gruppo di stanza all’aeroporto di Biscari.

Il Lo Bianco precisò che i militi vennero fatti allineare lungo il muro di cinta di Villa Cona e fucilati. Tra i militi fucilati fu possibile identificare nominativamente soltanto tre Camice Nere. I militi che fu possibile identificare erano: Camicia Nera Luigi Poggio, nato a Genova il 21 giugno 1905, Camicia Nera Angelo Maisano, nato a Messina il 30 settembre 1891, e il vice caposquadra Colombo Tabarrini, nato a Foligno nel 1895, reduce della Grande Guerra, invalido per congelamento ai piedi che aveva scelto di servire l’Italia nella Milizia Artiglieria Contro Aerea, in servizio in una batteria di Genova, ma trasferito in Sicilia per un dissidio con un superiore.

Ecco la testimonianza del Lo Bianco, rilasciata nel 1992:

Attorno all’aeroporto c’erano batterie antiaeree della Milizia e batterie italiane dell’esercito someggiate, con i cannoni, e questa era tutta antiaerea e antiterra. Nel periodo dell’invasione questi hanno fatto fuoco sempre contro gli invasori, hanno tenuto testa agli americani, e poi quando gli americani hanno cercato di accerchiarli, loro sono fuggiti, e almeno per detto dalla gente che c’era in quelle zone, prima di Caltagirone, vicino la villa Cona, ne hanno presi sette della Milizia [in realtà otto, ndA] e li hanno fucilati vicino alla strada, in un muretto accanto il cancello[1].

Nei verbali della Corte Marziale americana riguardanti i procedimenti del sergente West e del capitano Compton, responsabili del massacro di prigionieri italo- tedeschi a Biscari, si trova la testimonianza del Leutnant colonel cappellano William E. King , colui che denunciò per primo le stragi di Biscari al Comando americano. Dichiarò il reverendo King:

Alle 13 .00 del 15 Luglio 1943, mentre mi stavo recando al posto di Comando del 180th Infantry Regiment, a circa 2 Km a sud di Caltagirone, sul punto di coordinate 457454, ho osservato una fila di corpi stesi vicino al ciglio della strada principale in un piccolo vicolo, che confluisce sulla strada principale da est.

Quando tornai dalla linea del fronte, mi fermai nel posto già citato e osservai con attenzione i corpi che avevo visto andando al fronte. C’erano otto corpi di italiani che erano stesi in fila, sei a faccia in giù e due a faccia in su. Erano stati fucilati esattamente nello stesso modo di quelli osservati a sud dell’Aeroporto di Biscari, tranne che questi non erano stati fucilati alla testa e che parecchi corpi avevano più di una ferita alla schiena e al petto.

La descrizione minuziosa del luogo fatta dal Reverendo King e le coordinate contenute nel verbale inquadrano la scena di questo crimine in un incrocio della via Giombattista Fanales, angolo strada Aeroporto di Biscari-Caltagirone. La differenza tra i corpi notati dal cappellano King, e quelli riportati dal sig. Lo Bianco è minima: il Lt.col. King parla di 8 corpi, il sig. Lo Bianco dichiarò che i corpi erano sette; e che le località indicate sono molto vicine, lungo la strada Aeroporto di Biscari-Caltagirone, per cui potrebbe trattarsi dello stesso episodio, anche se non si può escludere che si tratti di due fucilazioni diverse, sempre a danni di militi della M.A.C.A.. A questo punto potrebbe trovare convalida la testimonianza resa da un altro testimone, Gesualdo Mineo, che sosteneva che i sopraindicati fucilati della Milizia si trovavano insieme a 5 civili che vestivano di nero a causa di un lutto familiare, in contrada Saracena e ammazzati perché scambiati per fascisti.

Le denunce verso King e Clifford misero in serio imbarazzo gli alti gradi dell’esercito alleato, tanto che dovette intervenire la procura militare, rinviando a giudizio il sergente Horace West (compagnia A) ed il capitano John Compton (compagnia C). Il primo si difese riportando le parole di Patton alla vigilia dell’invasione della Sicilia:

Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di assassini, perché gli assassini sono immortali![2]

La corte marziale contro il sergente West si aprì a settembre del 1943. L’accusa: Omicidio volontario premeditato, per avere ucciso con il suo mitra 37 prigionieri, deliberatamente e in piena coscienza, con un comportamento disdicevole. Le Camicie Nere – poco meno di 50 – erano state catturate dopo un lungo combattimento in una caverna intorno all’aeroporto di Biscari. Il comandante li consegnò al sergente con un ordine ritenuto vago dai giudici: allontanarli dalla pista dove si sparava ancora. Nove testimoni ricostruirono l’eccidio. West mise gli italiani in colonna, dopo alcuni chilometri di marcia ne separò cinque o sei dal resto del gruppo. Poi si fece dare un mitra e condusse gli altri fuori dalla strada. Lì li ammazzò, inseguendo quelli che tentavano di scappare mentre cambiava caricatore: uno dei corpi fu trovato a 50 metri. Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire.

Dichiarò di avere assistito all’uccisione di due americani catturati dai tedeschi, cosa che lo aveva reso furioso in modo incontrollato. Il suo avvocato parlò di infermità mentale temporanea. Infine, West disse ai giudici:

Avevamo l’ordine di prendere prigionieri solo in casi estremi.

 Nonostante ciò West venne condannato all’ergastolo per aver ucciso dei prigionieri di guerra. Un provvedimento, tuttavia, che è rimasto senza effetti, dato che lo stesso West ha continuato a prestare servizio nell’esercito. Anche Compton giustificò il proprio operato con gli ordini di Patton. A differenza del collega fu assolto, ma morì presso Monte Cassino nel 1943.

Li ho fatti uccidere perché questo era l’ordine di Patton – disse Compton -. Giusto o sbagliato, l’ordine di un generale a tre stelle, con un esperienza di combattimento, mi basta. E io l’ho eseguito alla lettera.

Tutti i testimoni – tra cui diversi colonnelli – confermarono le frasi di Patton. Alcuni riferirono anche che Patton aveva detto:

Più ne prendiamo, più cibo ci serve. Meglio farne a meno.

Compton fu quindi assolto. Il responsabile dell’inchiesta, il procuratore militare William R. Cook, volle presentare appello contro la sentenza assolutoria, perché

Quell’assoluzione era così lontana dal senso americano della giustizia che un ordine del genere doveva apparire illegale in modo lampante,

cosa che non avvenne perché nel frattempo Compton era caduto sul fronte di Cassino. Ironia della sorte, si dice che sia stato colpito da un cecchino mentre cercava di avvicinarsi a dei soldati tedeschi sventolando la bandiera bianca.

Se il massacro di Biscari in Italia è ricordato solo a livello locale (i crimini dei liberatori semplicemente non esistono) né la giustizia militare o civile italiana in ottant’anni ha mai ritenuto opportuno aprire procedimenti nei confronti dei militari coinvolti, non è però così negli Stati Uniti, dove i fatti avvenuti in Sicilia furono ricordati anche nel corso dei processi per le sevizie inflitte ai prigionieri irakeni detenuti nel carcere di Abu Ghraib nel 2004.

Le stragi americane non si limitarono ai due episodi di Biscari e a quello di Vittoria con la fucilazione di 12 tra prigionieri e civili ma proseguirono a Comiso, dove furono uccisi dopo la resa 60 prigionieri tedeschi e 50 italiani, a Piano Stella, in provincia di Agrigento, dove il 13 luglio fu trucidato un gruppo di contadini, a Canicattì, dove furono uccisi 8 civili per mano di un ufficiale americano, a Butera, fino ad arrivare nelle vicinanze di Palermo. Stragi per le quali non è però mai stata fatta alcuna inchiesta giudiziaria e rimaste, ancora una volta, impunite


[1] Testimonianza di L. Lo Bianco, in D. Anfora, La battaglia degli Iblei, 9- 16 luglio 1943, Lecce 2016,  p. 295.

[2] Patton, in un colloquio tenuto il5 aprile 1944, col tenente colonnello C.E. Williams, ispettore del Ministero della Guerra sui fatti di Biscari, ammise di aver tenuto un discorso abbastanza sanguinario, pretty bloody, ma di averlo fatto per stimolare lo spirito combattivo della 45th Infantry Division, che si trovava per la prima volta sotto il fuoco nemico, negando comunque di aver incitato all’uccisione di prigionieri.

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