In arrivo il film Comandante, sulla vicenda bellica e umana del Comandante sommergibilista Salvatore Todaro. A impersonare il protagonista del film Pierfrancesco Favino. Mentre in libreria è già sbarcato Comandante, il libro che anticipa il film curato dal regista Edoardo De Angelis e dallo sceneggiatore, lo scrittore Sandro Veronesi. Chiave di lettura della vicenda bellica e umana è la frase “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”, rivolta ai marinai tedeschi che contestavano a Todaro il salvataggio dei naufraghi delle navi da lui affondate. Todaro e i 2000 anni di civiltà è un apocrifo o una frase celebre di cui esistono riscontri?
Stavolta, anche se c’è di mezzo il non proprio affidabile Antonino Trizzino, non si tratta di un apocrifo. Come quello dei “Leoni della Folgore” onorati da Churchill che si inchina di fronte al nemico dinanzi al parlamento.
Ma ad approfondire la vicenda una frase probabilmente detta in un contesto diverso da quello che ci si aspetterebbe. Todaro e i 2000 anni di civiltà sono elemento fattuale, che diventano un apocrifo per come viene raccontato. Soprattutto perché nella volgarizzazione si omette una questione strettamente “cronologica” che rende la frasi celebre quasi paradossale. Si dimentica l’elefante nella stanza della questione “sommergibili dell’Asse” ed eventuale traino di naufraghi: il “caso” Laconia. Una vicenda che l’Italia dovrebbe ricordare.
Il contesto: il Regio Sommergibile Cappellini
Salvatore Todaro fu dal 26 settembre 1940 al novembre 1941 il comandante del regio sommergibile Comandante Cappellini. L’unità, classe Marcello, è a sua volta una dei simboli delle grandi epopee belliche e umane della Regia Marina durante la Seconda guerra mondiale. Destinato alla base atlantica di Bordeaux, BETASOM, (Beta come Bordeaux e Som da sommergibile), il sommergibile effettuò diverse crociere atlantiche collaborando con i branchi di lupi, gli u-boot dell’ammiraglio Dönitz.
Nel maggio 1943 il Cappellini fu tra le unità prescelte per una missione di trasporto di materiali strategici in Giappone. Le vicende belliche successive vedranno il Cappellini, battere prima la bandiera tedesca, quella Kriegsmarine, con gran parte dell’equipaggio aderire alla Repubblica Sociale. Infine, con la capitolazione tedesca, l’unità, già ribattezzata U.IT.24, venne inquadrata nella marina nipponica, come I.503.
Vivendo un’ultima epopea, con quello che è considerato uno degli ultimi abbattimenti da parte di un’unità navale nipponica di un aereo statunitense il 22 agosto 1945. Il Cappellini era allora ormeggiato come batteria contraerea nel porto di Kobe, e la vicenda fu testimoniata da uno dei marinai dell’unità, Raffaello Sanzio, al giornalista Arrigo Petacco negli anni ’70. Una vicenda probabilmente ampiamente romanzata, se non apocrifa, su cui dovremo tornare.
La premessa, il comandante Salvatore Todaro
E se il Cappellini è una leggenda, non da meno il comandante Salvatore Todaro, messinese, classe 1908, che si era già distinto durante la guerra civile spagnola al comando del costiero H.4. Tra l’altro Todaro nella primavera del 1933, quando era ancora impiegato come osservatore sugli idrovolanti, rimase ferito in un incidente a bordo di un idrovolante. Un SIAI-Marchetti S.55 della 187a Squadriglia pilotato da Agostino Razeto1, in un’esercitazione di siluramento a bassa quota è colpito da uno spruzzo agli impennaggi in seguito al lancio di siluro, e l’aereo ammara bruscamente. Todaro subisce lesioni della colonna vertebrale che lo costringeranno a un busto per tutta la vita.
Nell’impegno come comandante del Cappellini riceverà due medaglie di bronzo e due d’argento al valor militare, pur senza arrivare ai numeri dei due assi di BETASOM: Gianfranco Gazzana Priaroggia con il Leonardo Da Vinci e Carlo Fecia di Cossato con il Tazzoli.
Naufraghi a bordo
Ma l’elemento per cui oggi viene maggiormente ricordato Salvatore Todaro è quello relativo alle vicende degli affondamenti Kabalo e dello Shakespeare. Casi in cui non solo Todaro si limitò a trainare le scialuppe, pratica fatta anche da altri comandanti italiani (basti pensare al caso del sommergibile Malaspina sotto il comandodi Mario Leoni nell’affondamento del British Fame) o tedeschi ma si operasse per rintracciare le scialuppe, dopo che si erano perse le cime. Arrivando ad ospitare a bordo i naufraghi dopo che le scialuppe stesse erano diventate inutilizzabili.
Ma al netto che Todaro ospitasse poi i naufraghi a bordo, vale altresì ricordare come il comandante tenesse all’efficienza “bellica” dell’equipaggio. Ginnastica, e, addirittura, pugnale al fianco di ogni marinaio e ufficiale per ricordare che “si era in guerra”.
È nell’immediatezza del ritorno a BETASOM dopo l’affondamento del Kabalo nell’ottobre 1940 che sarebbe avvenuta la vicenda che avrebbe portato Salvatore Todaro a pronunciare la “fatidica frase” dei duemila anni di civiltà alle spalle come motivazione per il salvataggio e il soccorso ai naufraghi delle navi affondate. Frase pronunciata di fronte alle rimostranze dei “camerati germanici” della Kriegsmarine, e forse in risposta allo stesso Dönitz.
Tanto che la stessa Wikipedia, di solito abbastanza puntigliosa, si permette di aprire la voce dedicata a Todaro con la famosa frase in esergo:
Todaro e i 2000 anni di civiltà: la versione di Wikipedia
«Un comandante tedesco non ha, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle»
Questo il contesto come riportato da Wikipedia: «Tale generoso comportamento non venne apprezzato dal comandante in capo dei sommergibilisti tedeschi, l’ammiraglio Karl Dönitz, che lo criticò severamente. “Neppure il buon samaritano della parabola evangelica avrebbe fatto una cosa del genere”, sbottò l’ammiraglio tedesco Dönitz, che pure lo ammirava. “Signori, – dice rivolgendosi ai colleghi italiani – io vi prego di voler ricordare ai vostri ufficiali che questa è una guerra e non una crociata missionaria.
Il Signor Todaro è un bravo comandante, ma non può fare il Don Chisciotte del mare”. Todaro rispose alle critiche mosse, con una frase lapidaria, riportata da molte fonti e mai smentita, rimasta celebre, da allora in poi, nella storia della nostra Marina: “Gli altri non hanno, come me, duemila anni di civiltà sulle spalle”. Secondo alcune fonti, Dönitz ebbe una conversazione privata con Todaro in cui gli disse “Sono sempre in disaccordo con voi, ma vorrei tanto poter dare degli ordini perché tutti fossero in grado di comportarsi come voi.»
L’origine della frase, Antonio Trizzino
Il problema della famosa frase su Todaro e i 2000 anni di civiltà è che arriva sulla scena abbastanza tardi. Certamente si potrebbe obiettare che durante la guerra, il “camerata germanico” non avrebbe gradito di veder pubblicizzata una simile risposta. Il primo a riferire la fatidica frase, in forma piuttosto generica è Antonio Trizzino, nel suo volume Sopra di noi l’Oceano del 1968. Ecco come suona nella forma originale1:
«Una civiltà vecchia di duemila anni impone agli italiani doveri che altri popoli possono anche fare a meno di sentire»
Prima di Trizzino non c’è evidenza di una simile citazione. E il problema è che Trizzino, come dicono quelli di Wikipedia, non è che sia una fonte molto attendibile.
Trizzino quello di Navi e poltrone
Antonio Trizzino, ex ufficiale della Regia Aeronautica, messo a riposo per questioni disciplinari, inizia a lavorare come giornalista già durante la guerra. Finendo a scrivere anche per La difesa della razza. C’è da dire che al netto delle intemperanze sembra in Aeronautica Trizzino fosse un autentico fegataccio, capace di rimettersi a volare dopo un ammaraggio che gli costò trenta fratture.
A far diventare Trizzino celebre, e un vero autore di bestseller è il famigerato Navi e Poltrone del 1952 per i tipi di Longanesi. Volume in cui Trizzino spiega la “scarsa efficienza” della Regia Marina nella Seconda guerra mondiale per la presenza di alti ufficiali al soldo dei britannici.
Libro che ebbe un successo enorme, ma di fatto senza alcun riscontro fattuale. Anzi tutte le coincidenze che diventano per Trizzino le prove indiziarie per accusare la Regia Marina di intelligenza col nemico, erano in realtà dovute al fatto che i britannici avevano fin da subito bucato i codici dell’Enigma tedesco. Motivo per cui le comunicazioni della Kriegsmarine per i britannici erano fatte alla luce del sole.
Sopra di noi l’Oceano
Ma Trizzino vendeva e nonostante le vicissitudini giudiziare continuò con il filone, fino ad arrivare al 1962 con Sopra di noi l’Oceano in cui compare la frase su Todaro. Il libro è incentrato soprattutto sulle vicende di un altro comandante di sommergibili. Il capitano del Barbarigo Enzo Grossi, che durante la Seconda guerra mondiale fu decorato per l’affondamento di ben due navi da battaglia nel 1942, una classe Colorado e una classe New Mexico. Il problema è che nessuna nave da battaglia venne affondata, e una commissione d’inchiesta nel dopoguerra gli tolse medaglie d’oro al valor militare e gradi.
La commissione ci andò giù pesante, e Trizzino andò giù pesante con la commissione. Effettivamente contestualmente 1962 si riunì una seconda commissione che almeno riconobbe in maniera postuma (Grossi morì nel 1960) che il capitano del Barbarigo non fosse un completo millantatore, e che nei due “affondamenti” avesse cercato di colpire un incrociatore e una corvetta.
Il riscontro del biografo di Todaro
A venirci in soccorso è quello che può essere considerato il principale biografo di Salvatore Todaro, Armando Boscolo, che nel 1970 pubblica per l’editore Volpe una biografia che si avvale di diverse testimonianze di sottoposti e colleghi di Todaro.
Boscolo fu compagno di scuola di Todaro a Sottomarina, Venezia, nella Seconda guerra mondiale fu con il Regio Esercito in Africa Settentrionale. Catturato, passò il resto della guerra negli Stati Uniti come “prigionero non cooperante”.
Boscolo dubita di un’altra “frase celebre” legata a Todaro. Ovvero che Dönitz definì Todaro più adatto alle cannoniere, perché aveva usato il cannone anziché i siluri. Il più economico cannone non era apprezzato solo da Todaro. E dal diario di bordo del Cappellini risultano lanciati contro il Kabalo due siluri.
Però Boscolo fornisce il riscontro della famosa frase dei “duemila anni di civiltà”, fornendo un minimo di contesto.
Risposta a un tedesco? O a un italiano?
Boscolo da conto della vicenda a pagina 87 del suo volume. Protagonisti un “collega del comandante Todaro”, quindi un ufficiale italiano. E un generico “interlocutore”, che Boscolo non specifica se fosse lo stesso ufficiale o un altro. Ma sembrerebbe proprio l’ufficiale “collega”, che dopo aver parlato della vicenda dei naufraghi del Kabalo, «si sentì in dovere di aggiungere che i Tedeschi non avrebbero fatto altrettanto». E dopo averlo lasciato dire, Todaro pronunziò la celebre frase.
Insomma non la risposta ai tedeschi, ma al solito italiano esterofilo?
Promemoria per gli italiani dimentichi dei 2.000 anni di civiltà?
Possibile, anche perché l’interlocutore non viene “svelato” e i la successiva pubblicistica su Todario amplierà il racconto a dismisura. La risposta di Todaro più che una critica agli equipaggi tedeschi, potrebbe risultare una critica al classico italiano fanboy di qualunque cosa arrivi dall’estero.
Certo l’umanità di Todaro verrà ribadita in altre occasioni e altre frasi, come quella dell’8 giugno 1941 in cui ribadirà che “Il marinaio italiano combatte contro le navi nemiche e non contro gli uomini“. E certamente ci furono divergenze con l’Ammiraglio Dönitz non tanto su questioni come quelle sui siluri, ma su quale aree dell’Atlantico destinare alle unità italiane.
Pure resta il sospetto che la celebre frase, più che una critica al generico tedesco, fosse una critica a una certa mentalità italiana, spesso dimentica di quei “duemila anni di civiltà” che volle ribadire il Comandante Todaro.
Retorica dimentica di altre vicende
Salvatore Todaro disse la fatidica frase, insomma. Impossibile ricostruire esattamente il contesto in mancanza di altri dettagli. Todaro rimmarà a BETASOM fino al novembre 1941. Poi poi chiede il trasferimento alle operazioni speciali della Xª Flottiglia MAS, dove combatte sia nel Mar Nero, ricevendo un’altra medaglia d’argento al valor militare. E in Tunisia, dove a bordo del peschiereccio armato Cefalo muore in seguito a un mitragliamento aereo, ricevendo la medaglia d’oro al valore postuma.
Pure c’è un’altra vicenda del settembre 1942 che varrebbe la pena ricordare quando si parla dei duemila anni di civiltà di Todaro, di sommergibili e di naufraghi. Una vicenda che proprio noi italiani dovremmo ricordare, ma che invece è del tutto espunta.
La premessa: l’Ordine N°154
Certo il “camerata germanico” della Kriegsmarine nel dicembre 1939 riceveva l’ordine di guerra N°154 in cui si dava ufficialmente il via alla guerra sottomarina indiscriminata. Incluso l’ordine di non effettuare salvataggi.
Ma sebbene la Kriegsmarine non andasse tanto per il sottile, in generale nel caso di affondamenti effettuati con il cannone (come quelli del Kabalo da parte di Todaro) e non con i siluri, c’era la tendenza a fornire supporto ai naufraghi. E anche nel caso di affondamento con siluri c’era la tendenza a emergere per provare a catturare comandante e/o direttori di macchina. Almeno fino al tragico caso del transatlantico Laconia, affondato il 12 settembre 1942 al largo dell’Isola dell’Ascensione nel bel mezzo dell’Atlantico meridionale. Affondamento che causò 1.700 vittime, in gran parte prigionieri di guerra italiani.
L’U.156 e l’RMS Laconia
Stendendo un velo pietoso su cosa avvenne sul transantlantico (prigionieri ricacciati indietro alla baionetta), il comandante dell’u-boot U.156 (un sommergibile tipo IXC) Werner Hartenstein emerse per coordinare i soccorsi, e catturare qualche pezzo grosso. Resosi conto che il transatlantico trasportava prigionieri italiani, avviò direttamente le operazioni di soccorso. E “addirittura” Dönitz diede l’ordine di inviare sul posto altri sette u-boot per aiutare i soccorsi. Tra i sommergibili inviati sul posto anche il Comandante Cappellini.
E l’U.156 alzò la bandiera della Croce rossa, ospitando in emersione sul ponte 200 naufraghi (tra cui 5 donne) e altri 200 al traino in scialuppa. In questo Hartenstein e gli altri comandanti contravvennero all’ordine di Dönitz di trasportare solo pochi superstiti a bordo per avere la possibilità di immergersi. Alla fine quattro sommergibili, tra cui il Cappellini, con naufraghi sul ponte e a traino si misero in rotta per incrociare unità di superficie della Francia di Vichy che potessero accogliere i naufraghi.
Il 15 settembre l’U.156 venne avvistato da un B-24 da ricognizione marittima che operava dall’isola di Ascensione. Nonostante dall’u-boot un ufficiale britannico comunicasse la presenza di naufraghi, e il messaggio fosse riportato alla base dell’Ascensione, il comandante Robert C. Richardson III diede l’ordine di affondare l’unità. Richardson riteneva che i naufraghi fossero solo “prigionieri di guerra” e voleva mantenere segreta la presenza di una base all’isola dell’Ascensione.
Il primo attacco non danneggiò l’U.156. Due scialuppe furono colpite dal B-24 e Hartenstein ebbe il tempo di far allontanare i naufraghi sul ponte prima di immergersi.
Laconia-Befehl, l’Ordine Laconia
Alla caccia si unirono altri quattro B-25 della base di Ascensione. L’U.506 riuscì a immergersi, e successivamente con l’U.507 riuscì a effettuare il rendez-vous con l’incrociatore francese Gloire. E anche il Cappellini alla fine riuscì a sbarcare i naufraghi.
Nonostante nessun sommergibile rimanesse perduto nelle operazioni di salvataggio (a differenza di qualche naufrago…), Dönitz emise un nuovo ordine. Il cosiddetto ordine Laconia per “impedire” le operazioni di salvataggio degli eventuali naufraghi:
- Tutti gli sforzi per salvare i sopravvissuti delle navi affondate, come la raccolta di uomini a nuoto e la loro messa a bordo di scialuppe di salvataggio, il raddrizzamento di scialuppe rovesciate o la consegna di cibo e acqua, devono cessare. Il salvataggio è in contraddizione con le esigenze più elementari della guerra: la distruzione delle navi ostili e dei loro equipaggi.
- Restano in vigore gli ordini relativi al recupero di capitani e dei direttori di macchina.
- I sopravvissuti devono essere salvati solo se le loro dichiarazioni sono importanti per la nave.
- Siate severi. Ricordate che il nemico non ha alcun riguardo per donne e bambini quando bombarda le città tedesche!
L’ordine Laconia e il processo di Norimberga
Nonostante l’ordine 154 e l’ordine Laconia venissero presentati come capi d’accusa nei confronti di Dönitz al processo di Norimberga, vennero fatti presto decadere.
«Alla luce di tutti i fatti provati e in particolare di un ordine dell’Ammiragliato britannico annunciato l’8 maggio 1940, secondo il quale tutte le navi dovevano essere affondate a vista nello Skagerrak, e delle risposte agli interrogatori dell’Ammiraglio Chester Nimitz che afferma che la guerra sottomarina senza restrizioni è stata portata avanti nell’Oceano Pacifico dagli Stati Uniti fin dal primo giorno della Guerra del Pacifico, la condanna di Dönitz non è valutata sulla base delle sue violazioni del diritto internazionale della guerra sottomarina»
Conclusione
Certamente il caso del Comandante Todaro di fare “inversione a U” col sommergibile Cappellini per rintracciare la scialuppe che avevano perso la cima fu probabilmente un caso unico. Ma nel ricordare Salvatore Todaro è bene non abusare di retorica.
Proprio perché nel raccontare le sempre complicate vicende di sommergibilisti e naufraghi da essi causati, resta l’ingombrante presenza del Laconia.
E per onorare i «duemila anni di civiltà sulle spalle» di cui era fiero Todaro, va raccontata anche questa storia.
Note
1 – Antonio Trizzino, Sopra di noi l’oceano, Longanesi, 1962, p. 57
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