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Pio XII e il Pci. La scomunica ai comunisti che divise la Chiesa e il paese

Catananti ne ricostruisce, attraverso carte inedite, genesi ed effetti. Riccardi: passo forte e lacerante. Pensata per fornire un indirizzo univoco ai prelati, fu applicata con difficoltà.

di Marco Roncalli da Avvenire del 30 gennaio 2022

Il 13 luglio 1949, ad una manciata di mesi dall’Anno Santo alla metà del secolo, la Santa Sede ufficializzava il decreto di scomunica per tutti i fedeli che ritenevano di poter praticare credo cattolico e, insieme, quello comunista. Il fatto – al confluire di idee e percorsi che nei decenni precedenti avevano attraversato la Chiesa cattolica – configurandosi come risposta al bisogno di linee guida del clero, costituì l’epilogo di un’operazione riservatissima concertata da Pio XII insieme all’Assessore del Sant’Offizio, la Suprema Sacra Congregazione, monsignor Alfredo Ottaviani, vero autore di questo «capolavoro religioso e politico» per usare le parole di Luigi Gedda.

Si trattava di una vera discesa in campo – con autorevoli porporati ignari della decisione e con la stessa Segreteria di Stato inizialmente “infastidita” dallo choc causato dal decreto ritenuto un “errore” – che andava a colpire non solo la dottrina comunista, da sempre condannata dalla Chiesa, ma, per la prima volta, anche e soprattutto quanti, scienter et libere, cioè consapevolmente e liberamente, la professavano, la difendevano, la propagavano. Una scelta dalla quale poteva scaturire di certo un duplice scenario che monsignor Domenico Tardini – Pro-Segretario di Stato insieme a Giovanni Battista Montini – abbandonandosi ad un commento confidenziale con il vicedirettore dell’Osservatore Romano Federico Alessandrini, così avrebbe disegnato: «Se la scomunica attacca, abbiamo in Italia sette milioni di scomunicati. Se poi non attacca, me lo dice lei a che serve?»

Nei fatti resta sempre una vicenda assai complessa questa della scomunica di Pio XII, reiterata dieci anni dopo all’inizio del pontificato di Giovanni XXIII con un gesto da taluni ritenuto contraddittorio da parte del Papa che aprendo il Concilio abbandonò il ricorso agli anatemi. Una vicenda religiosa, giuridica, politica, culturale, parte di un periodo storico superato, e comprensibile solo al suo interno. Una condanna – detto con l’ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, Antonio Meli Lupi di Soragna, in un’informativa al ministero degli Esteri dopo un’udienza papale già il 15 luglio – dovuta alla ricomposizione di un quadro finalmente messo in luce: e dal quale, sul tema, pareva «finalmente imporsi la necessità di unificare, di normalizzare dal centro le attitudini, i pareri, i provvedimenti delle Gerarchie dipendenti, talvolta insufficienti, talvolta eccessivi, talvolta perfino contraddittori tra di loro: e fornire finalmente a tutti i Vescovi, ai Parroci, ai Direttori di coscienza un indirizzo comune ». Ecco, in questo passaggio «c’è tutta l’essenza delle motivazioni del decreto, almeno quelle religiose», commenta Cesare Catananti (ex direttore generale del Gemelli di Roma, nonché docente di Storia della medicina alla Cattolica) nel suo nuovo volume La scomunica ai comunisti. Protagonisti e retroscena nelle carte desecretate del Sant’Offizio (San Paolo, pagine 384, euro 25,00).

Si tratta di pagine che valorizzando documenti, in parte inediti e provenienti da archivi vaticani, intrecciando vicende pubbliche e private, condotte morali e dinamiche politiche, dando il giusto risalto alle esperienze e ai leader dei “cattolici comunisti” e poi dei “cristiani di sinistra”, specie nelle relazioni con le gerarchie ecclesiastiche, descrivono e interpretano come si giunse e cosa provocò quello che Andrea Riccardi nella prefazione al volume definisce «un passo così forte e lacerante». Un passo che per Catananati traduceva innanzitutto una reazione alla repressione dei rappresentanti della Chiesa di Roma nei territori dell’orbita sovietica; come pure il baluardo innanzi ad una situazione italiana – secondo talune informative – a rischio di rivoluzione rossa. Il primo passo dunque di una sorta di ‘guerra santa’ nella convinzione che non si poteva scendere a patti con il comunismo e i comunisti. «Se voi fate in qualsiasi forma un’alleanza stabile con i comunisti, vi farò pervenire subito una scomunica! Penso che dovremmo arrivare a scomunicare chiunque si allei stabilmente con i comunisti», aveva detto Ottaviani tempo prima, ammonendo Fedele d’Amico. Così fu. Nelle stanze della “Suprema” la paura di condivisioni pericolose (benché il Pci al tempo del decreto non richiedesse adesione al materialismo dialettico), accelerò la condanna. Tre le sezioni lungo le quali si articola l’approfondimento dell’autore: la genesi del decreto e il contesto non solo italiano, le fasi remote e prossime dell’iter decisionale sub secreto, le reazioni e i chiarimenti nella fase applicativa, fra interpretazioni limitanti o estensive, e tanti casi concreti d’incerta soluzione. Insomma un affresco di grande interesse dove Catananti insieme alla storia della scomunica offre uno spaccato sociale italiano dove laicismo e religiosità si mescolano. Con i destinatari della scomunica iscritti al Pci ma non disposti a rinunciare a sacramenti e riti. O che aderiscono al comunismo solo «per la fabbrica dell’appetito». E con gli stessi vescovi che nell’applicare il decreto vanno in ordine sparso. E con quelle due parole del test della scomunica scienter et libere – criterio di valutazione degli scomunicandi – che per non pochi si trasformano in una via di fuga. Il risultato? Detto ancora con Catananti: «il caos pastorale rimase, nonostante i continui chiarimenti e richiami del Sant’Offizio» e, soprattutto, «il gregge rimase smarrito».

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