HomeBlogTangentopoli alla giapponese. Un manga racconta il calvario giudiziario di Masaru Satō

Tangentopoli alla giapponese. Un manga racconta il calvario giudiziario di Masaru Satō

“Rasputin il patriota” (Stat comix) apre uno spaccato su un capitolo della storia più recente del Giappone, che per tantissimi aspetti sembra la fotocopia di quanto accaduto anni prima con Tangentopoli e la stagione delle privatizzazioni in Italia

Questo articolo fu pubblicato su L’Identità del 16 giugno 2022

Carcerazione preventiva, processi-spettacolo, pubblici ministeri-star, indagini a teorema che deve essere dimostrato a tutti i costi… Il popolo italiano ha la memoria corta e ha dimenticato i metodi con cui 30 anni fa la stagione di «Mani Pulite» annientò una ben selezionata porzione della nostra classe politica. Un’amnesia che domenica scorsa ha decretato – col voto o coi piedi – il disastroso risultato dei referendum sulla giustizia. L’esito appare tanto più preoccupante in quanto il quesito sulla carcerazione preventiva – vera e propria forma di tortura legalizzata con cui il magistrato può estorcere confessioni agli accusati – ha sfiorato il doppio fallimento: quorum mancato e bocciatura, con quasi il 45% dei votanti favorevoli a questo istituto giuridico.

A ricordarci cosa significhi avere una giustizia alla caccia non della «verità» ma di un colpevole a ogni costo è un manga storico che – dalla serie «coincidenze significative» – proprio in questi mesi viene tradotto e pubblicato in Italia: «Rasputin il patriota» (Star Comics, 3 volumi, pp 440, € 15,00 cad.). Le vicende raccontate in questo romanzo grafico, originariamente uscito nel 2010 in Giappone, sono basate sulla vera storia di un diplomatico giapponese, Masaru Satō, che fra 2002 e 2004 fu arrestato e detenuto in carcerazione preventiva per ben 512 giorni con l’accusa di malversazione. Satō era un brillante funzionario destinato all’ambasciata giapponese a Mosca proprio negli anni del crollo del regime sovietico. Coinvolto in una delle tante «tangentopoli» nipponiche, finì fagocitato dalla macchina giudiziaria che fino all’ultimo cercò di estorcergli una confessione per incastrare i suoi referenti politici e in particolar modo il deputato Muneo Suzuki.

Masaru Satō, nato nel 1960, cattolico, laureato in teologia, è oggi considerato uno dei più influenti autori politici giapponesi, anche se è pressoché sconosciuto al di fuori dell’arcipelago. Nel 2005 ha raccontato il suo calvario giudiziario in un libro, «Kokka no wana. Gaimushō no Rasupūchin to Yobarete» («Trappola di Stato. Il cosiddetto Rasputin del ministero degli Esteri», ed. Shinchōsha) che è stato trasposto in forma di manga seinen (ovvero per lettori adulti) – sotto la supervisione e la consulenza storica dello stesso Satō – da due firme di peso nel panorama fumettistico nipponico: Junji Itō alle chine e Takashi Nagasaki alla sceneggiatura. Itō, nato nel 1963, è famoso in tutto il mondo come uno dei più apprezzati autori di horror lovecraftiano e guro (neologismo giapponese coniato sul termine occidentale «grottesco», un genere tipicamente nipponico che affronta temi e immagini bizzarre, disturbanti e raccapriccianti). Nagasaki, classe 1956, è invece sceneggiatore e curatore editoriale, noto anche nel nostro paese per le sue collaborazioni con il mangaka Naoki Urasawa nella realizzazione di thriller fantascientifici «Pluto» e «Billy Bat» (pubblicati in Italia rispettivamente da Planet Manga e Goen).

La storia raccontata nel manga procede per flashback dal presente del racconto – i giorni della carcerazione di Satō, che nella finzione assume il nome di Yuki Mamoru – alla formazione e all’attività diplomatica a Mosca del giovane e determinato funzionario. La fine del regime sovietico riapre al Giappone la possibilità di una rettifica del confine settentrionale del paese, con la speranza di ottenere la restituzione delle isole Curili. Mamoru è uno dei più promettenti impiegati nell’ambasciata giapponese (nel manga è lui a scoprire che Gorbaciov durante il tentato golpe dell’agosto 1991 è ancora vivo, consegnando l’informativa ai media occidentali) e successivamente si adopera attivamente per il successo del piano di Suzuki per chiudere la controversia sulle Curili e contemporaneamente stringere più saldi rapporti con Mosca.

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Questo aspetto ha segnato il disastro politico giudiziario di Suzuki e del suo entourage. Accusato d’aver ricevuto tangenti, Suzuki fu arrestato e condannato. Come narrato dalle claustrofobiche tavole di Junji Itō, i PM giapponesi cercarono di estorcere agli uomini vicini a Suzuki confessioni attraverso la carcerazione preventiva e perfino la negazione delle cure mediche. Molti crollarono, trascinando con le loro ammissioni gli altri imputati. La «tangentopoli» giapponese si concluse con la temporanea eclissi politica del politico – condannato a due anni di carcere e cinque di interdizione dai pubblici uffici – e la vittoria del «partito americano» all’interno del ministero degli Esteri giapponese, ostile a qualunque forma di ricucitura con la Russia. Proprio sull’esistenza di questa fazione insiste la narrazione di Satō, che insieme a Suzuki si dichiara vittima di una macchinazione volta a sabotare le relazioni russo-giapponesi: tutt’oggi infatti i due paesi non hanno ancora firmato un formale trattato di pace a chiusura della Seconda guerra mondiale, passaggio che invece sembrava a portata di mano all’inizio del secolo.

«Rasputin il patriota» fin dal titolo rivendica un’azione politica volta a fare l’interesse reale del Giappone: Satō, infatti, ha rivendicato il soprannome di «Rasputin» affibbiatogli dalla stampa (imbeccata dai pubblici ministeri) all’epoca del processo con l’intento di dipingerlo come un losco intrallazzatore. Nella fattispecie, l’accusa mossa a Satō è stata d’aver impiegato dei fondi del ministero degli Esteri per organizzare un incontro universitario a Tel Aviv per migliorare le relazioni fra Giappone, Russia e Israele e poi d’aver fatto pagare un viaggio diplomatico a un docente universitario israeliano in Giappone. Il motivo della condanna subita dal diplomatico è sorprendente: l’uso di questi fondi è stato dichiarato «inappropriato» perché essi erano destinati a essere spesi solo all’interno dei confini dell’ex URSS. A sua difesa Satō obbiettò, senza successo, che lo scopo fosse comunque migliorare la cooperazione fra Mosca e Tōkyō. Secondo Satō tutto il suo operato, e quello di Suzuki, ebbe come unico scopo quello di riportare il Giappone a essere un protagonista della scena mondiale non solo come potenza economica. Non a caso Satō è anche esponente di punta della nuova destra giapponese dai programmi populisti e nazionalisti.

Dal suo racconto dunque emerge come lo scandalo che lo investì fu molto gonfiato. La critica che Satō muove al pool di PM che spezzò le ali al tentativo di Suzuki di riavvicinamento con la Russia ha impressionanti parallelismi con le valutazioni più attente sulla stagione di «Mani Pulite» in Italia: l’azione degli inquirenti era volta a sostituire i politici con burocrati e tecnocrati, ritenuti «più degni» di governare il paese nel nome di «pulizia», «legalità» e «onestà» perseguiti con metodi feroci di indagine, come i processi-scandalo orchestrati assieme ai media, i teoremi con sentenze già scritte e il ricatto della carcerazione preventiva. Quest’ultima in particolare viene descritta, in una delle pagine più allucinanti del racconto di Satō, Nagasaki e Itō, come il sistema per disumanizzare e trasformare l’indagato in un «distributore automatico di informazioni»: una macchinetta pronta a dispensare qualsiasi notizia a comando del pubblico ministero. Una terribile immagine che qualche impressione nel paese di Beccaria e dei Verri dovrebbe ben suscitare.

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