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Quella storia dell’Inghilterra scritta nel 700

«Hac sunt in fossa Bedae venerabilis ossa»: così recita l’epitaffio che nella cattedrale di Durham sta inciso sulla lapide tombale del massimo esponente della cultura latina nell’Inghilterra dell’Alto Medioevo. Lì furono in effetti traslate le ossa di Beda, dopo che il mirabile teologo e storico morì nel suo monastero di Jarrow all’età di sessantatré anni. […]

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da La Repubblica del 31 maggio 2008 

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Era la vigilia dell’ascensione, il 25 maggio 735, quando Beda morì. «Ho vissuto abbastanza» pare che disse. «Dio ha ben disposto della mia vita». E recitando con fervore il Gloria Patri si allontanò dalla vita terrena, che aveva tutta interamente vissuto nel suo monastero insegnando e studiando il latino, il greco e forse l’ebraico. A parte una visita nell’isola di Lindsfarne, al largo della costa della Northumbria e una a York nel 733 non si allontanò mai da Jarrow.
Imparare, insegnare, scrivere, amava dire, erano i verbi che indicavano le tre azioni fondamentali della sua esistenza. Atti che lo rendevano, oltre che famoso, felice. La si sente, la felicità, la grazia, nel modo semplice e piano in cui scrive: vibra nel suo libro più importante, Storia degli inglesi, uscito nella Fondazione Valla […] per la preziosa cura di Michael Lapidge e la bella traduzione di Paolo Chiesa. Nel volume si raccolgono i primi due libri dell’opera magna, dalla venuta di Cesare nel 55 a.C., alla missione inviata da Gregorio, con conseguente consolidamento del cristianesimo nel Kent e diffusione in altri territori dell’Inghilterra, fino alla morte di re Edwin nel 633.
Beda era entrato nel monastero di Wearmouth all’età di 7 anni, era diventato diacono a 19 e sacerdote a 30 anni. Non doveva essere di famiglia nobile, […] e difatti non fece carriera. O forse, a lui non importava. A lui importava pregare e studiare. E divenne uno degli uomini più sapienti del suo tempo. Fu educato dagli abati Benedetto Biscop e Ceolfrith, il quale aveva accompagnato Benedetto a Roma, e con Benedetto condivideva la passione per i libri. Da uno scritto di Beda, un trattato sui più antichi abati del suo monastero, Historia abbatum, veniamo a sapere che Benedetto Biscop fece vari viaggi a Roma con lo scopo, tra gli altri, di rifornirsi di libri. Ne acquistò così tanti, che tornò in Inghilterra con carri e carri di libri. La biblioteca di Wearmouth, la più ampia dell’Inghilterra anglosassone conteneva più di 300 volumi. Volumi che Beda lesse avidamente. E quando con Ceolfrith andò a fondare il monastero di Jarrow nel 682, si preoccupò che anche lì si portassero i libri.Il nome di Beda lo si fa risalire all’antico inglese “beodan”, che significa «annunciare», «ordinare». Altri spingono l’etimo verso una radice che in sassone starebbe per «preghiera». […] senz’altro Beda pregava e al tempo stesso ordinava la sua profonda conoscenza del tempo presente e del passato, e annunciava la verità. La verità essendo, nel caso della sua Historia ecclesiatica, che per il popolo anglo la Chiesa assolve a una funzione salvifica. È la Chiesa che dona la forza di coesione spirituale, dottrinale e culturale contro la violenza e la barbarie. È la Chiesa che unisce e innalza il popolo a protagonista e interprete della sua propria vita storica. Non invano Beda aveva letto i 300 o 500 volumi delle biblioteche di Wearmouth e di Jarrow. Nei suoi scritti si ritrovano citazioni di Plinio il Giovane, Virgilio, Lucrezio, Ovidio, Orazio e di altri autori classici, malgrado qualcuno all’epoca disapprovasse queste conoscenze. I primi capitoli della sua Storia non sarebbero stati scritti, se Beda non avesse letto la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, i Collectanea rerum memorabilium di Solino, le Historiae adversus paganos di Orosio, il De excidio Britanniae di Gildas. È grazie a queste fonti che compone le meravigliose pagine, commoventi per la tenerezza nella descrizione delle bellezze dell’isola pura, intatta. L’isola di Albione (il nome deriva da Plinio) è fertile di messi e di alberi, ricca di fonti saline e sorgenti termali, abbonda di frutti, di latte e di miele, vi si trovano perle di tutti i colori, rosse, purpuree, violacee, verdastre. Galleggia nel mezzo dell’oceano, presso il vertice settentrionale del mondo, d’estate ha notti luminose e spesso guardando il cielo a metà della notte si ha l’impressione che l’alba stia per sopraggiungere. È una descrizione che fisserà un’immagine allegorica dell’isola vergine. Tornerà secoli più tardi nella propaganda Tudor, tornerà in Shakespeare.
In un latino semplice, privo di affettazione, Beda racconta di come questa isola benedetta dalla natura avesse come unici abitanti i Britanni, quando in successive ondate di invasioni nel quinto secolo vennero i Pitti e gli Scoti e gli Angli e con gli Angli i Sassoni e gli Iuti, popoli valorosi della Germania, e come di fronte alle invasioni i Britanni si nascondevano nelle foreste, mentre i Romani, dovendo a casa difendersi da altri invasori, abbandonavano le città e i fari e i ponti e le strade, che loro stessi avevano costruito sull’isola. Sono anni inquieti, tragici, che Beda riprende dalla descrizione di Gildas, anni in cui i sacri altari, le alte mura, i monasteri, le chiese, tutto viene distrutto. E muoiono insieme i contadini e i monaci. È il tramonto della cultura romano-cristiana.
Ma una storia ecclesiastica non può non sostenersi a uno schema provvidenziale. E dunque, nell’infinita benevolenza divina, sempre da Roma verrà la salvezza per l’isola. È papa Gregorio Magno il grande eroe, da cui verrà la riscossa. Nel 582 papa Gregorio manda Agostino. Dal suo monastero di Sant’Andrea al Celio il miles gloriosus Agostino s’avvia verso una popolazione barbara, selvaggia, pagana, di cui non conosce la lingua. Ma ha Dio dalla sua parte. […] La vita purissima di Agostino e dei suoi monaci, le dolcissime promesse della sua religione e i miracoli che quotidianamente illuminano l’operato del santo, vincono ogni resistenza. La «storia degli inglesi» è tutt’uno con la loro conversione.
Ma sapete perché papa Gregorio mostrò tanto amore verso l’isola di Albione? Si apre qui, e precisamente al capitolo primo del libro secondo, una splendida scena – una di quelle finestre ariose, incantevoli, fiabesche, che punteggiano il racconto storico di Beda. D’un tratto, eccoci a Roma. Un gioco di mercato, al foro. Gregorio non ancora papa e non ancora santo tra le molte merci in vendita vede dei giovani schiavi: bellissimi, bianchi di carnagione, con una splendida capigliatura. Sono eroi vichinghi? controfigure di Beowulf?
Fatto sta che Gregorio è rapito e domanda di loro. Chi sono? Angli? O angeli? Angeli a lui paiono, tanta è la luce che emanano. […] Beda il balbuziente, così pieno di amore per la verità, così traboccante di sincera pietà, non prova altro desiderio che mettersi al servizio dei giovani monaci, coltivare le loro anime. Attrae non a caso discepoli da ogni parte del mondo cristiano. A lui si richiama la tradizione della scuola di York, fondata da uno dei suoi discepoli più famosi, l’arcivescovo Egbert e frequentata da Alcuino, prima che diventasse maestro nella scuola palatina di Carlo Magno, intrecciando la cultura anglosassone con quella carolingia ed europea.
Nato in Northumbria, terra di grande fortuna monastica, l’infaticabile monaco, che il Medioevo celebra come uno dei suoi grandi maestri, si dedica all’insegnamento e scrive numerose opere in latino, che costituiscono una specie di enciclopedia delle conoscenze dell’epoca e trattano argomenti molto vari: dalla metrica alle figure del discorso all’ortografia all’aritmetica, al “calcolo digitale”, alla cosmologia celeste e terrestre, alla cronologia e alla misurazione del tempo. A lui si deve la diffusione dell’uso di contare gli anni dalla nascita di Cristo. Si dedica anche a squisite questioni di carattere esegetico collegate alla tradizione patristica, alla biografia. È straordinaria in ogni campo l’erudizione del monaco. Ma le sue virtù rifulgono soprattutto nella Historia.
In una vicenda di evangelizzazione che, a colpi di miracoli conquista popoli e regnanti, le voci dei sacerdoti sottomettono il barbaro ringhio dei popoli pagani. Ed ecco, raccolta da Beda per lettera, la voce di papa Bonifacio che incoraggia a distruggere gli idoli nefasti e manda alla regina Aethelburg, moglie di Edwin, doni speciali, uno specchio di argento, un pettine d’avorio, a dimostrazione della sua benevolenza. Ecco le pagine meravigliose in cui il re Edwin solo medita, incerto sul da farsi: quale religione seguire? Finché si convince e chiama a consiglio i suoi fidi e chiede loro se è il caso di abbandonare la vita pagana. […]
Beda si vuole historicus verax, e documenta la narrazione degli avvenimenti passati con onestà impareggiabile, ogni volta che può citando conversazioni con le persone più colte dell’epoca, lettere di vescovi e di abati, documenti. E’ chiaramente preoccupato di vagliare l’accuratezza delle fonti, e dimostra un notevole spirito critico. Ma è anche chiaro che, mentre racconta i fatti, disponendoli quasi fossero reliquie, ripetendo «è accaduto», «è accaduto», è grazie a un’immagine come questa, che si produce un effetto di reale. […]
Appena finita la sua Historia, Beda ne mandò una copia al collega Albino. Abba lo chiama, ovvero “padre”, e si firma «servo di Cristo». «Ecco, è compiuta la storia ecclesiastica del nostro popolo» annuncia. Ha tanto faticato, per amore del verbo celeste. E ora con gioia offre al mondo la sua «umile fatica».

Nadia Fusini

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