Fabio Govoni dall’ANSA del 1° maggio 2022
Quando Adolf Hitler lo ringraziò personalmente e si congedò da lui e dagli altri suoi stretti collaboratori, “gli tremavano le mani. Mi apparve subito chiaro che aveva scelto con decisione di suicidarsi” e confessò che “non ce la faceva più”: questa la drammatica testimonianza diretta di Hans Baur, il pilota personale del Führer, che trascorse con lui gli ultimi giorni nel bunker sotto la cancelleria di Berlino, con le truppe russe ormai a poche centinaia di metri di distanza, prima del suicidio, la sera del 30 aprile del 1945.
L’autobiografia manoscritta di Baur e il verbale del suo interrogatorio in Russia nel 1945 da parte dell’Nkvd, predecessore del Kgb, che lo aveva fatto prigioniero, sono stati infatti pubblicati in Russia dopo essere rimasti quasi 77 anni negli scaffali del servizio segreto di Mosca. Inediti che aggiungono frammenti di testimonianza diretta del clima di quelle ultime ore, sospeso fra deliri di rivincita e il muro della morte certa, nella luce tetra di quei claustrofobici spazi.
Per Hitler e i suoi, Baur mantenne pronta una piccola squadra di aerei, “nel caso avesse cambiato idea” e avesse acconsentito di provare a mettersi in salvo. Ma decise invece di restare a Berlino. “Fu solo il 30 aprile nel pomeriggio che mi chiamò, insieme al mio aiutante, il colonnello Betz”, testimonia Baur nel documento, che contiene anche le sue foto segnaletiche. “Ci incontrammo nel corridoio e mi a condusse nella sua stanza. Mi strinse la mano e mi disse: “Baur, voglio dirle addio e ringraziarla per tutti gli anni di fedele servizio. Ora cerchi di andarsene da qui”.
Il Führer, “sembrava molto vecchio e smunto. Gli tremavano le mani”. Disse al suo pilota personale che come segno di riconoscenza voleva regalargli il ritratto di Federico il Grande di Prussia dipinto da Rembrandt, che era appeso nella sua stanza. Baur disse ai servizi russi di aver cercato di convincere il Führer a non uccidersi, perché “tutto sarebbe poi crollato nel giro di poche ore”. Ma fu inutile: “I miei soldati non possono più resistere e non lo faranno più. Anch’io non ce la faccio più”, gli confessò Hitler, in preda a un risentimento che risparmiava veramente pochi.
Sulla sua Lapide – disse Baur, volle che si scrivesse “Tradito dai suoi generali”. Secondo Hitler, i russi erano già a Potsdamer Platz e avevano l’ordine di catturarlo vivo, magari iniettando nel bunker gas sonnifero. Non solo non voleva essere catturato, ma neanche che il suo cadavere fosse esibito come un trofeo, magari appeso a testa in giù come nel truce rituale riservato al suo sodale Benito Mussolini in Piazzale Loreto solo un paio di giorni prima.
Morì in preda a una lucida disperazione ingoiando una capsula di cianuro e sparandosi in testa durante l’agonia insieme alla compagna Eva Braun, sposata il giorno prima. I loro corpi furono bruciati dalle Ss nel giardino della Cancelleria, dove furono ritrovati dai russi il 13 maggio. L’addio avvenne alle 18. Poi Baur e il suo collaboratore Betz si allontanarono per disfarsi di alcuni documenti e preparare una fuga.
Tornati per un attimo nel bunker alle 21, videro che nella stanza privata di Hitler aleggiava il fumo stagnante degli spari. I cadaveri non c’erano più. Baur decollò il 2 maggio da Berlino diretto verso le linee degli alleati occidentali, ma fu abbattuto dalla contraerea russa e ferito a una gamba, che i medici russi gli amputarono. Fu condannato nel 1950 a 25 anni di carcere, dei quali scontò solo cinque. Tornò nell’allora Germania occidentale nel 1955 e morì nel 1993.