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Michael Goleniewski: la spia che si credeva l’ultimo degli Zar

di Davide Bartoccini da Il Giornale del 24 gennaio 2022

C’è qualcosa di estremamente controverso e profondamente inquietante nella storia di Michael Goleniewski, forse la più proficua spia doppiogiochista mai arrivata nelle mani della CIA. Un agente che finì per convincersi di essere l’ultimo dei Romanov, unico erede sopravvissuto al mondo dello Zar di tutte le Russie.

Ufficiale dei servizi segreti polacchi e allo stesso tempo alle dipendenze del KGB come informatore di Mosca, Goleniewski era nato a Nieswiez (allora Polonia, oggi Bielorussia, ndr) nel 1922. Non doveva essere uno di quegli uomini che credevano fermamente nella causa comunista a cui il suo Paese aveva dovuto conformarsi al termine del conflitto mondiale. E fu per questo che nel 1958 scelse di offrire – volontariamente – i suoi servigi al blocco occidentale, diventando un agente triplo.

Benché inizialmente volesse comunicare solo in forma anonima con il Federal Bureau of Investigation – dato che era a conoscenza di infiltrati sia nel servizio segreto americano sia in quello britannico, e dunque temeva di essere scoperto ed eliminato – finì per essere utilizzato dalla CIA, prendendo il nome in codice “Sniper”, e dallo MI5, il servizio di controspionaggio del Regno Unito, dove era noto con il nome in codice di “Lavinia”.

Iniziò così la carriera di agente triplo della gola profonda polacca, che già nel primo anno di servizio bruciò l’identità di un informatore della Esbecja (servizio di controspionaggio polacco, ndr) che si era infiltrato nel servizio informazioni della Royal Navy e minacciavano di svelare i segreti del programma Polaris. Il secondo colpo, fu quello di informare gli inglesi – sempre attraverso la CIA – che nello MI6 si celava una talpa dei sovietici che poteva attingere ad informazioni di altissimo livello.

Questa talpa, che si rivelerà essere il famigerato George Blake, era a sua volta al corrente dell’esistenza di un doppiogiochista di alto livello che andava individuato nei servizi segreti polacchi. L’esistenza di questa informazione spinse Goleniewski, alias Sniper Lavinia, a disertate dall’Unione Sovietica nel 1961.

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Passando dalla Germania Est alla Germania Ovest, che stava per essere separata dal Muro di Berlino, Goleniewski si presenterà in una fredda giornata d’inverno al consolato americano di Berlino. Qui svelò la sua identità di agente triplo e chiese protezione dai sicari dell’Esbcja e dei russi che già lo braccavano e che, una volta catturato, e probabilmente torturato, lo avrebbero certamente eliminato dalla faccia della terra.

Nei libri scritti sul caso, “The Spy Who Was Left Out in the Cold” di Tim Tate e “The Spy Who Would Be Tsar” di Kevin Koogan, viene concordato che a differenza della maggior parte dei disertori, che di solito “cercavano una vita migliore al di fuori dell’Unione Sovietica”, Goleniewski si era reso conto che il sistema comunista era sbagliato e per questo andava contrastato. Nessuno può essere materialmente certo di cosa passasse per la testa di quel tenente colonnello dei servizi segreti polacchi che per ben 33 mesi rischiò la vita come agente doppio nell’Europa divisa dalla cortina di ferro. Ma quello che è certo è che fu di indiscussa utilità per l’Occidente, che attraverso le sue informazioni poté arrestare una lunga lista di agenti al servizio del KGB infiltratisi nell’intelligence tedesca, nella delegazione diplomatica americana e nell’aeronautica svedese. Nel frattempo, scoperta la defezione, in Unione Sovietica veniva condannato a morte per tradimento.

Un asso nella manica di Langley

In seguito alla sua defezione, una volta al sicuro negli Stati Uniti, Goleniewski si rivelerà essere una fonte di prim’ordine per “bruciare” le identità degli agenti doppi alle dipendenze dei sovietici, e non meno, una miniera d’informazioni sui segreti di Mosca. Secondo una valutazione interna consegnata ai piani alti del quartier generale della CIA, a Langley, Goleniewski contribuì a smascherare ben 1693 spie sovietiche che si erano infiltrate nei servizi segreti, nelle forze armate e nei diversi dipartimenti governativi occidentali nel pieno della Guerra Fredda. Guadagnandosi il primato, tuttora imbattuto, di disertore o agente doppio che ha rivelato l’identità di più agenti avversari nella storia. Ma sarà proprio lui, invece, ad essere cancellato dalla storia per volere della stessa agenzia che a lungo lo aveva protetto e osannato, concedendogli addirittura la cittadinanza americana con una legge ad hoc nel 1963.

Anatoliy Golitsyn, il “Rasputin” della CIA

Ma come è possibile che Michał Goleniewski sia passato in meno di un decennio dall’essere una delle migliori spia della Guerra Fredda, ad una minaccia per la sicurezza nazionale? Un folle da rinnegare e ostacolare, che andava letteralmente cancellato dalla storia?

Secondo gli storici che si sono appassionati alla vicenda, sarà un altro disertore a contribuire alla distruzione della reputazione di Goleniewski: Anatoliy Golitsyn. L’uomo, una volta giunto negli Stati Uniti, riuscirà a convincere il capo del controspionaggio della CIA, James Angleton, che solo lui era un vero disertore al servizio dell’Occidente, e che tutti gli altri, compreso e soprattutto Goleniewski, erano ancora agenti doppiogiochisti che passavano informazioni a Mosca. Questo nonostante la CIA e l’MI5 concordassero nel ritenere l’agente polacco “la migliore spia che l’Occidente abbia mai avuto durante la Guerra Fredda”.

Dal 1964 la CIA iniziò a prendere le distanze da Goleniewski, informando gli altri dipartimenti del governo che il loro vecchio e fidato agente doppio giochiate era “impazzito”. La cittadinanza che gli era stata promessa l’anno prima gli venne negata, e i continui cambiamenti di identità di copertura per sfuggire agli agenti di Mosca e Varsavia che volevano “eliminare” la spia, finirono per causare uno stato paranoico nel soggetto che, tra debolezza emotiva e problemi economici, finì per diventare completamente pazzo.

Così la spia volle farsi Zar

Secondo le ricerche effettuate da Tate su documenti desecretati, la CIA dovrebbe essere considerata come “la principale responsabile della pazzia di Goleniewski”. Un uomo tradito e screditato al punto di convincersi di essere in verità lo Zarevich Alexei Romanov, figlio dello Zar Nicola II, sfuggito all’eccidio perpetrato sull’intera famiglia imperiale dai bolscevichi il 17 luglio 1918. Goleniewski iniziò a sostenne pubblicamente di essere stato salvato in segreto da Yakov Yurovsky, il quale lo aiutò loro a scappare in Polonia, passando attraverso Turchia, Grecia e Austria. La CIA non perse tempo nello sfruttare questa tesi stravagante per screditare ulteriormente il suo ex agente. A questo si sommeranno le continue accuse lanciate da Goleniewski ai danni di politici occidentali che lui riteneva essere ex-nazisti o agenti segreti sovietici.

Consegnato alla storia come un impostore

Attraverso un graduale allontanamento dell’agenzia di spionaggio statunitense, che ha contribuito a nascondere e rendere irreperibile ogni traccia del suo contributo nel combattere la guerra di spie della Guerra Fredda, Goleniewski è ricordato per essere l’uomo che asseriva d’essere un Romanov, alla stregue di tutte le finte “Anastasia” che affollarono i rotocalchi con racconti e versioni della loro storia più o meno plausibili.

Goleniewski, che secondo i suoi documenti era nato 18 anni dopo il certamente defunto zarevic Alexei, si appellò sempre a una particolare patologia mai confermata. A metà degli anni ’60, sulla copertina della rivista Life “comparvero” sia Goleniewski che Eugenia Smith, sedicente Anastasia Romanov. In quell’occasione, la Smith affermò di aver riconosciuto in Goleniewski suo fratello Alexei. E la spia affermò di aver riconosciuto nella Smith sua sorella Anastasia. Un test sul DNA effettuato sui corpi riesumati a Ekaterinburg molto dopo la loro morte riveleranno che mentivano entrambi.

Goleniewski morì nel 1993 a New York. Non smise mai di sostenere di essere lo zarevic Alexei. Non venne mai raggiunto dalla vendetta dei sovietici. Tutti segreti che conosceva, e che non rivelò mai né per vendetta, né per necessità di denaro o attenzione che un uomo tradito e rinnegato spesso cerca di ottenere, morirono con lui. L’autore di “The Spy Who Was Left Out in the Cold” ha dichiarato che il controspionaggio britannico continua a negargli l’accesso alla maggior parte dei documenti che potrebbero rivelare il tassello mancante nell’ascesa e nella caduta di colui che reputa essere stato una delle spie più influenti della Guerra Fredda. “Non ha senso tenere segrete informazioni che riguardano un uomo che ha disertato sessant’anni fa dopo tre decenni dalla caduta della cortina di ferro”, afferma. Forse si sbaglia.

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