«Reintrodurremo la storia dell’arte nella SCUOLA italiana!»: era, questo, uno degli slogan degli esponenti del Pd al tempo dell’approvazione della cosiddetta Buona SCUOLA. Intenzioni smentite dalle successive decisioni politiche. Con una nota del 19 aprile, il Miur ha comunicato i nuovi quadri orari del primo biennio degli istituti professionali con le relative classi di concorso, nei quali non c’è traccia della storia dell’arte: neanche in indirizzi dove questa disciplina appare indispensabile.
Vincenzo Trione dal Corriere della Sera del 21/5/2018
È l’approdo di un grave e pericoloso «smantellamento» che aveva trovato uno snodo decisivo nella riforma Gelmini, la quale ha soppresso o drasticamente tagliato gli insegnamenti di disegno e storia dell’arte nelle scuole superiori di diverso tipo. Il fine sotteso a queste scelte: portare avanti un sistematico attacco alle humanities, prediligendo un realismo tecnocratico, d’impronta tardo-positivista.
Tra qualche giorno conosceremo il nome del prossimo ministro della Pubblica istruzione. Ci piacerebbe che egli avesse il coraggio di avviare un serio ripensamento del ruolo e della funzione nei programmi scolastici della storia dell’arte. Che va intesa come sapere non «a circuito interno», di tipo meramente specialistico o tecnico, ma trasversale, capace di disegnare i confini all’interno dei quali storia, letteratura, filosofia, cinema, scienze e religione entrano in dialogo. Forma alta di educazione civica, in grado di rendere le nuove generazioni di italiani davvero consapevoli dell’identità della nostra nazione, della nostra cultura, della nostra civiltà, del nostro paesaggio. Dunque, una presenza insostituibile.
Anche per tali ragioni riteniamo che la storia dell’arte non possa più essere messa in una posizione marginale o ancillare nella SCUOLA 2.0, ma reclami quella centralità già assegnatele da Giovanni Gentile nel 1923. Perché essa, scriveva un grande studioso come Giuliano Briganti, «ci riguarda direttamente tutti: uno specchio in cui si riflettono i motivi più vivi e inquieti del nostro tempo».