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La bellezza del silenzio. Le origini del cinema muto

di Katia Bernacci per “Storia In Rete”

“Abbasso il cinema, scuola di vizio e di crimine”, si legge in un monito del 1918, quando ormai è iniziata la lotta morale contro i presunti messaggi veicolati dal cinema. Fino a quel momento nessuno si era preoccupato più di tanto di mettere a tacere le proiezioni cinematografiche, in realtà nate mute; la stessa polizia era più motivata a verificare che il cinematografo pagasse le gabelle dovute, imposte poiché il cinema era equiparato agli spettacoli di strada, ai circhi e agli attori girovaghi. Ad inizio Novecento però prende piede un grande cambiamento: le produzioni cinematografiche da itineranti diventano stabili, e si avvicinano sempre di più, nel sentore popolare, ai varietà e ai café chantant, dove le donnine disponibili e molto scoperte erano di casa e passavano il tempo a tentare di portare alla perdizione i buoni padri di famiglia.

Come tutte le nuove arti anche il cinema era incappato nella dura legge morale che in prima battuta rifiuta tutto quello che viene proposto. Nel frattempo però anche lui, nato nel 1895 con proiezioni veloci e spesso comiche, oppure decisamente drammatiche, come ad esempio “L’arrivo di un treno alla stazione di Ciotat” (cortometraggio del 1896 dei fratelli Lumière, che aveva addirittura causato dei malori in sala, per le scene sin troppo realistiche), si era evoluto e stava iniziando a raggiungere quell’intensità che già faceva intuire quale sarebbe stata la sua fortuna. Erano gli ultimi anni del muto, che presto avrebbe lasciato posto alla parola, a sguardi meno profondi, ad espressioni suggerite e non più intuite. Già i grandi divi erano osannati, cercati, acclamati, mentre ancora i moralisti conducevano la loro persa battaglia; le immagini diventavano storie, i personaggi esempi da seguire. 

Rodolfo Valentino (1895 – 1926)

Come dimenticare un Rodolfo Valentino, nome d’arte di Rodolfo Pietro Filiberto Guglielmi, sex symbol dell’epoca, ballerino e attore di incredibile bellezza, per i canoni di allora? Emigrato in America, dopo aver iniziato come taxi dancer, – accompagnatore a pagamento per balli di coppia-, riuscì a fare la comparsa ad Hollywood per diversi film, tra i quali “I quattro cavalieri dell’apocalisse”, pellicola del 1921 che lo fece diventare l’oggetto del desiderio, colui che dettava le mode, l’uomo per il quale molte donne si sarebbero persino suicidate. Rodolfo Valentino morì giovane, subito dopo aver girato “Il figlio dello sceicco”, film uscito postumo che ebbe un successo grandioso, consacrando il carismatico attore come il più amato divo di tutti i tempi. Come per tutti i “grandi”, anche nel suo caso la dipartita, avvenuta per una peritonite, divenne, presto un caso degno dei grandi misteri della storia, poiché iniziò a girare la voce che Rodolfo fosse stato avvelenato dal fosforo versato nella sua coppa di champagne. 

Non è pensabile che la grandezza della vita non si accompagnasse all’immortalità nella morte. Almeno trenta furono i suicidi avvenuti nel giorno del suo funerale, una moltitudine di attori iniziò a copiare il modo di recitare e di vestire del compianto Valentino, non riuscendo ad eguagliarne il grande successo. 

Il cinema andava avanti. In quegli anni la proiezione dei film era un vero e proprio spettacolo teatrale, alle scene spesso si univa un accompagnamento musicale e la spiegazione di una sorta di narratore esterno, che introduceva la storia, i personaggi e gli eventi. La sperimentazione ampliava le potenzialità della nuova arte: nuovi generi, l’utilizzo della sceneggiatura presa dalla narrativa, le innovazioni tecniche apportavano al cinema continui cambiamenti e miglioramenti che aumentavano il pubblico, sempre pronto a seguire le migliori forme di intrattenimento. Era scritto che tutto sarebbe cambiato, ma quell’epoca in particolare, quella del cinema muto, ha rappresentato un unicum nell’arte e nella tecnica visiva, l’inizio della rappresentazione del sentimento, della presa di coscienza dell’immagine. 

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Presto sarebbe arrivato il sonoro, poi il colore, poi grandi i film da botteghino e… le serie televisive.

Per approfondire:

Silenzio, si gira! di Enrico Giacovelli (Yume Book)

Il cinema muto italiano di Gian Piero Brunetta (Laterza)

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