Palazzi, alberghi, caffè, cattedrali, cinematografi, distributori di benzina, farmacie, fabbriche, ville, fontane, piazze, grandi viali alberati: una vetrina architettonica in perfetto stile modernista — con spruzzate neoclassiche, decò, cubiste, futuriste— forma il centro storico di Asmara, capitale, sino al 1941, della “colonia primigenia” della defunta Africa Orientale Italiana e dal 1991 dell’Eritrea indipendente. Un gioiello urbanistico che miracolosamente ha superato guerre e spoliazioni — prima gli inglesi, poi gli etiopici — per entrare, polveroso ma quasi intatto, nel terzo millennio per essere inserito nel 2017 nella lista World Heritage dell’Unesco e dichiarato “patrimonio dell’umanità”.
Non a caso Giorgio Ballario ha scelto proprio la “piccola Roma” africana — di fatto il 56esimo sito Unesco d’Italia — come scenario del suo quinto romanzo dedicato alle avventure e alle indagini del maggiore Aldo Morosini, un giallo coloniale in piena regola. Come i precedenti lavori “africani” del maestro torinese la trama di “Intrigo all’Asmara” (edizioni del Capricorno, euro 13.00) si dipana nell’effimero impero coloniale mussoliniano, un panorama complesso che lo scrittore cerca di illuminare “alla maniera di Rembrandt”, ovvero tante oscurità e rari chiarori, in una ricostruzione minuziosa quanto obiettiva e storicamente inattaccabile.
Ma cosa accade al nostro maggiore? Arrivato sull’altopiano — Asmara è a 2300 metri sul mare — l’investigatore non ha tempo per godersi le comodità cittadine e si ritrova subito coinvolto nell’assassinio intrecciato di tre prostitute, una sorta di danza macabra sullo sfondo di una città moderna e frizzante e di circoli esclusivi e molto gaudenti. Un rebus senza soluzioni che gli farà rimpiangere l’afosa Massaua, sua precedente destinazione, e gli antichi amici (flirt compresi).
Ma Morosini è un tipo tosto e, tessera dopo tessera, ricostruisce un mosaico dai colori inquietanti. Al di là della retorica di regime, l’impero è tutt’altro che stabilizzato, la guerriglia anti italiana non si placa e la stessa linea di comando — affidata al maresciallo Graziani — è corrosa da veleni, ricatti, ambiguità. Ma non solo. Sull’esistenza stessa della colonia si riflettono le trame romane e attorno si attorcigliano le spire delle grandi potenze, Gran Bretagna in primis, per nulla entusiaste dell’intrusione mussoliniana nel “grande gioco”. Sapientemente Ballario proietta il suo protagonista in percorso tortuoso punteggiato da spie fasciste, donne fatali, congiurati comunisti e traditori gallonati, una dimensione sempre più opaca e inattesa sino al punto di svolta finale. Sorprendente e amaro. Chiuso il caso, al generoso Morosini (e ai suoi tanti lettori) rimarrà soltanto una cupa meditazione sulla giustizia.
di Marco Valle – da Confini & Conflitti
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