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L'Insolita Storia

Il Gerontocomio di Nardò e la tutela degli anni Settanta

Quale tutela per gli edifici contemporanei? Il mondo dell’architettura è un mondo di facili e brucianti passioni che spesso finiscono in fretta. E così anche un’edificio significativo degli anni ’70 nel volgere di qualche tempo può diventare l’ecomostro simbolo di un mondo disfunzionale. Per chi si occupa di tutela e salvaguardia non ci dovrebbero essere distinzioni. Nell’indagine sulla Francia che ha portato ad Iconoclastia non si fa differenza tra neogotico e brutalismo. Il recente caso della possibile demolizione del gerontocomio di Nardò pone occasione di riflettere sulla tutela delle architetture anni Sessanta e Settanta.

Una riflessione che partendo dalla tutela si allarga anche ad altri temi che abbiamo già trattato in Iconoclastia.

La demolizione del gerontocomio di Nardò

In breve i primi di settembre il comune di Nardò, Lecce, approva la demolizione di una struttura «mai completata e abbandonata ormai da oltre quarant’anni», struttura realizzata come gerontocomio. Il sindaco, Pippi Mellone, non è certo tenero con questo “gerontocomio”, come si legge su Lecce Prima: «Un mostro di cemento di 5000 metri quadri, costruito tra gli anni ‘70 e ‘80 e mai ultimato, verrà finalmente cancellato. Si tratta della ennesima cattedrale degli sprechi, ereditata dalla peggiore classe politica del Sud Italia. L’immobile, mai ultimato, cadente e pericoloso, come l’ex palazzo di città (demolito nel 2017) è un simbolo dello sperpero di denaro pubblico della vecchia politica. Oggi, solo una enorme bruttura collocata in mezzo alle case popolari. Entro fine anno daremo il via ai lavori di demolizione. Al suo posto, se ci aggiudicheremo il bando del Pnrr a cui abbiamo partecipato, alloggi per anziani autosufficienti

Gerontocomio di Nardò

Stile brutalista

Insomma tutta l’armamentario retorico di un certo pseudo-giornalismo d’inchiesta: mostro di cemento, bruttura, cattedrale degli sprechi. Certo si tratta di un edificio brutalista, cemento armato a vista, ergo ben si presta a una certa lettura. E magari a una facile lettura di “cadente e pericoloso”, sebbene come dimostrano le foto della struttura del 1998 che la struttura fosse completata e con tutti gli infissi al loro posto. Una situazione ben diversa da quella del coevo nuovo municipio (o Palazzo di Città) rimasta incompleta.

Una definizione, quella di “incompiuto” che ritroviamo costantemente in tema del gerontocomio. Basti vedere il reportage del 2014 su Lecce Cronaca dal titolo eloquente “Gli orrori del Salento“, protagonisti gerontocomio (ribadiamo completato da anni) e palazzo di città (incompiuto). Con gli immancabili vetri rotti, che sedici anni prima erano integri.

Gerontocomio di Nardò
La struttura alla fine degli anni ’90, con gli infissi interni ed esterni al loro posto

Dal gerontocomio ai mini alloggi per anziani?

Certo sebbene fosse stata completata, dopo vent’anni d’abbandono ci sarebbero da fare grossi lavori. Ma il fatto che la struttura fosse stata completata e che costi 705.000 € demolirla (già stanziati) potrebbe far scricchiolare un certo tipo di narrazione. Anche perché poi il vecchio gerontocomio brutalista, ovvero un ospizio, verrebbe rimpiazzato da un progetto di «social housing per anziani autosufficienti», un ospizio col nome 2.0, da realizzarsi con i fondi del PNRR, da aggiudicare per 3.000.000 di euro.

Gerontocomio di Nardò, gerontocomio per antonomasia?

Certo il brutalismo cemento a vista piace solo agli estimatori del brutalismo. Ma qui troviamo tutta la retorica di una certa visione contemporanea. Gli anni ’70 con i mostri di cemento, le brutture, le cattedrali nel deserto/degli sprechi e i nomi degli anni ’70, gerontocomio e uno ha già i brividi. E dall’altra il PNRR e le stesse cose vecchie con i nomi nuovi. E magari le architetture contemporanee con le piante sul tetto… che di manutenzione, drenaggio e isolamento costano sicuramente di più di qualunque bruttura in cemento armato.

Gerontocomio di Nardò
Cercando su Google Immagini la parola “gerontocomio”, i primi risultati riguardano Lecce. Di fatto il Gerontocomio di Nardò è diventato l’eponimo di tutti i gerontocomi presenti, passati e futuri. Alternate ad esse il “palazzo di città”, incompiuto, e già demolito

Dimenticando, cosa che sicuramente non avrà fatto la giunta di Nardò, visto che il sindaco Mellone è politico apprezzato nonché rieletto, che il problema per cui l’edilizia pubblica degli anni ’80 (e ’80 e ’90 e ’00 e pure ’10) spesso si è rivelata una cattedrale degli sprechi è perché magari c’erano i soldi per “finirla” ma non per farla funzionare.

Altrimenti il rischio è trovarsi fra 50 anni con una “bruttura anni ’20” da demolire per farci una cosa nuova.

Il problema di certe architetture anni ’70

Certo molta architettura anni ’70 può essere problematica su più livelli. E a differenza del neogotico che se altrettanto detestato da molti gestori di cosa pubblica può essere sempre ripescato grazie a filoni come l’estetica dark academia molto in voga su TikTok, il brutalismo non ha queste fortune. A parte uno zoccolo duro di appassionati la brutalità brutalista è sempre un facile capro espiatorio. E certe volte non a torto, come dimostrano negli anni le vicende di complessi di edilizia popolare figli di quello stile e di quelle estetica.

Oggettivamente nel dibattito sull’eventuale tutela dell’architettura degli anni’70, non si può prescindere da considerazioni di “salute pubblica” per rimanere in tema di parole desuete.

Sono le considerazioni che hanno portato alle demolizioni di quattro delle sette vele di Scampia, di uno dei ponti del Laurentino 38. E del continuo dibattito intorno a Corviale a Roma e lo Zen di Palermo.

Da una parte architetti e urbanisti che insistono su come quelle architetture non abbiano funzionato perché incomplete di servizi. E dall’altra un variopinta compagine di critici che va dai passatisti tout-court a chi contesta il brutalismo degli anni Settanta, ma poi avvalla certi progetti contemporanei che per materiali e costi di manutenzione finiranno per fare la fine delle detestate opere anni Settanta.

Le Vele di Scampia superstiti al 2015 (via Commons – F.Zappalà CC BY-SA 3.0 it)

Viva i passatisti, ma…

Soprattutto in tema di edilizia popolare viene da dare ragione ai passatisti. La funzionalità diventata un’assoluto negli anni ’70 non può fare a meno dell’estetica. I vecchi quartieri di edilizia popolare da fine Ottocento agli anni Quaranta non sono diventati di successo solo per questioni topografiche (“eh adesso sono tutti in centro…”), ma perché univano forma e funzione, e parecchia estetica.

La dove c’è bellezza il degrado arriva più lentamente (come dimostrerebbero certi diruti centri storici di cui l’Italia è piena). Dove c’è solo funzione e finisce col mancare anche la manutenzione il degrado è più rapido.

Bello, ma non ci vivrei…

Allo stesso modo in tema dell’edilizia popolare degli anni ’60 e ’70 è facile, proprio per l’elemento brutalista sulle supposte leziosità passatiste, è facile scadere in facili cortocircuiti alla “bello ma non ci vivrei“. Come capitò al povero architetto Vittorio Gregotti (tra i progettisti dello ZEN di Palermo) che incalzato da Enrico Lucci de Le Iene se ne uscì con: “Per me lo lo ZEN è bellissimo. Ma io non ci vivrei mai. Non faccio il proletario“.

Insomma se piace a livello teorico, ma vi guardereste bene dall’andarci ad abitare tanto vale farne piazza pulita. Il “Piccone risanatore” che nel Ventennio (e anche prima, vedasi la questione Bologna) si scagliava con i “malsani” vicoli medievali rimasti nei centri cittadini, ora si rivolge contro le utopie architettoniche degli anni Settanta, ridotte a “malsano” degrado.

Corviale, 1988 (via Commons – indeciso42 CC BY-SA 4.0)

Ma la Storia è stratificazione. E nel 2015 il New York Times dedicò un interessante pezzo dal titolo diretto: Seven Leading Architects Defend the World’s Most Hated Buildings. Certo l’elenco degli edifici proposti dal NYT si pone in maniera piuttosto “clickbait”: Scampia, Templehof, Pompidou. Ma non mancano spunti interessanti. Come Ada Tolla, architetto italiano d’adozione statunitense che dichiara a proposito di Scampia: “La demolizione è il modo per nascondere lo sporco sotto il tappeto senza trarre insegnamento dal passato”.

La Storia non si cancella

Insomma la Storia non si cancella, e bisognerebbe cercare di salvare il salvabile. E così delle 7 vele di Scampia, una dovrebbe venire preservata. Dei ponti del Laurentino 38, altro complesso di edilizia popolare coevo sono state fatte demolizioni parziali. Certo per operazioni come Scampia o i ponti del Laurentino 38 è facile salvarne una parte. In altri contesti, come Corviale in cui l’elemento fondamentale è la dimensione unica dell’opera, appare estremamente complesso in vista della sua funzione abitativa.

Là dove la funzione abitativa e le considerazioni intorno ad essa vengono meno, l’aspetto relativo alla preservazione di un’opera-edificio dovrebbero essere più immediate. E quindi l’architettura pubblica del secondo dopoguerra là dove sussistano elementi di pregio (anche se brutalisti, o peggio bruttalisti).

#sosbrutalism progetto tedesco che monitora l’architettura brutalista globale

Brutalista ma buona…

Ricollengadoci quindi al caso del Gerontocomio di Nardò, e ribadite le doverose promesse se sia più sostenibile (a livello economico e ambientale) riusare la struttura anni ’70 (con il cemento a vista e il nome brutto) o farne una nuova, col nome in voga, c’è da valutare se la struttura possa essere o meno degna di tutela.

Messi da parte gli integralisti di #sosbrutalism a dire che il progetto avrebbe bisogno di tutela è lo stesso Politecnico di Bari, che pochi giorni dopo l’annuncio della demolizione da parte del sindaco di Nardò organizzava il convegno “Il patrimonio culturale pugliese” dove il professor Lorenzo Pietropaolo nel patrimonio culturale a rischio inseriva proprio il gerontocomio di Nardò. In quanto opera di opera dell’architetto Raffaele Panella, «uno dei protagonisti del dibattito della cultura architettonica e urbanistica in Italia». Nonché, come si legge sempre nell’articolo, «opera citata in decine di libri e ricerche».

Certo forse il giornalista Biagio Valerio si fa un po’ prendere la mano in chiusura quando scrive: «disegnato e progettato da uno dei più famosi architetti del mondo».

Panella chi era costui?

Insomma pur non essendo un nome noto al grande pubblico (ma quali architetti di quel periodo sono noti al grande pubblico?) un edificio significativo di un architetto significativo.

Ragionando come fanno su Wikipedia (ad oggi nell’enciclopedia libera non c’è una voce su Raffaele Panella), è figura che avrebbe tutti i criteri di enciclopedicità, viste le opere pubblicate su di lui e i diversi progetti significativi come il Distretto Navile dell’Università di Bologna.

(via Commons, M.Barci – CC BY-SA 4.0)

Tra l’altro l’articolo dell’edizione pugliese de La Repubblica ricorda un altro particolare. Che lo stesso edificio era stato venduto dalla stessa amministrazione comunale nel 2018!

Si legge: «L’impresa De Nuzzo & Costruzioni di Lecce – scrive il Comune di Nardò il 26 giugno di quell’anno – si è aggiudicato la gara per l’acquisto dell’ex gerontocomio di zona 167 per 1 milione 630 mila euro, da corrispondere all’amministrazione comunale tramite la realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche.»

Gerontocomio di Nardò, buono da vendere nel 2018…

Operazione che non si più concretizzata, ma allo stesso modo suona peculiare come un complesso valutato quella cifra nel 2018, in solo quattro anni sia diventato meritevole di demolizione. Un trasferimenti di proprietà, quello del gerontocomio ai privati, di cui si è continuato a parlare fino a giugno 2021 inoltrato.

Gerontocomio di Nardò
Ancora la struttura alla fine degli anni ’90. Si notano i primi segni di degrado con gli infissi dell’ordine inferiore che iniziano a distaccarsi

…e da demolire nel 2023

Fatta quindi la premessa che per analoga amministrazione quattro anni fa l’edificio poteva servire per fare cassa, e oggi con mutate condizioni si preferisce demolire, alla fine si tratta di una questione di politica locale. E solo a livello accademico si è mosso qualcosa.

Nel frattempo sul gerontocomio di Nardò si è realizzato un passaparola a livello accademico con la Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma, e lo IUAV di Venezia in prima linea. Scrive l’edizione locale di Repubblica il 7 dicembre 2022 “Non demolite l’opera di Panella’, mobilitazione internazionale degli architetti contro la decisione di abbattere l’ex gerontocomio di Nardò. Articolo ove si legge: «Si tratta di un’opera ragguardevole, d’ispirazione razionalista e molto influenzata dal magistero di Le Corbusier, realizzata a seguito di un progetto ancora più vasto e ambizioso che rimase peraltro parzialmente incompiuto”.

Il progetto di Nardò si inquadra nell’arco dei lavori svolti da Raffaele Panella negli anni ‘70 in Puglia e Lucania, nell’ambito del laboratorio Polis, cui collaborarono anche Ferruccio Orioli e Aldo Musacchio, particolarmente impegnato nel rilancio civile del Mezzogiorno d’Italia».

In chiusura de l’articolo di Repubblica si cita di nuovo Mellone, che chiude con: «verrà demolito e cancellato per sempre un monumento alla sciatteria e agli sprechi del passato. Cancelliamo l’ennesimo simbolo dello spreco e della peggiore classe politica del Sud Italia. Entro fine anno daremo il via ai lavori di demolizione. Al suo posto abbiamo progettato e già candidato a un bando una housing sociale per anziani soli e autosufficienti, dotata di spazi comuni e tanto verde. Anche stavolta scriviamo, anzi, riscriviamo la Storia».

Al netto della valutazioni e delle osservazioni, per chi si occupa di Storia e di come preservarla, al netto del diverso significato in chiave politica, suona un po’ infelice il “riscriviamo la Storia” finale.

Demolizione a maggio 2023? Una raccolta di firme

E al netto delle levate di scudi alla fine il destino della struttura pare segnato, con il comune di Nardò che ha calendarizzato la demolizione è prevista per il maggio 2023. Nel frattempo è partita una petizione online che segnaliamo:

Change.org: Fermate la demolizione del gerontocomio di Nardò

Al di là della vicenda del singolo edificio, sarebbe ora di interrogarsi se e come tutelare questa fase dell’architettura nostrana.

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