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DNA di una donna vissuta 7mila anni fa sbalordisce gli scienziati

Lo studio del materiale genetico ricavato dallo scheletro rinvenuto dagli archeologi indonesiani nella grotta di Leang Panninge nel Sulawesi meridionale, e appartenuto ad una donna vissuta circa 7mila anni fa, ha rivelato alcuni fatti sorprendenti che portano gli scienziati a riconsiderare alcune teorie antropologiche.

da SputnikNews del 28 agosto 2021

I ricercatori hanno estratto il DNA dall’osso petroso del cranio fossilizzato della donna dopo che la datazione al radiocarbonio di un seme bruciato trovato vicino allo scheletro ha indicato un’età stimata di 7.000 anni. Dopo aver analizzato il DNA, la genetista Selina Carlhoff dell’Istituto delle Scienze della Storia umana Max Planck di Jena, in Germania, l’archeologo Adam Brumm dell’Università di Griffith di Brisbane, in Australia, Cosimo Posth dell’Università di Tübingen in Germania, gli archeologi indonesiani, e altri colleghi, hanno scoperto che il reperto trovato nella grotta dell’isola di Sulawesi rappresenta la testimonianza che l’ascendenza asiatica in quella zona, chiamata Wallacea, era già presente molto prima della cosiddetta espansione austronesiana. Fino ad ora si credeva che gli austronesiani, abili marinai e agricoltori, avessero diffuso i geni asiatici nella Wallacea, le isole tra l’Asia continentale e l’Australia che comprende appunto Sulawesi, circa 3.500 anni fa. Tuttavia, il DNA di questa donna, e la pubblicazione del relativo studio apparso mercoledì sulla rivista Nature, mostrano come questa avesse un antico pedigree tipicamente asiatico già molto prima, mescolato per altro con antenati denisoviani.

La donna aveva 17 o 18 anni quando è morta. I ricercatori sospettano che gli antenati della giovane, dopo essere arrivati ​​a Sulawesi, possano essersi accoppiati con i Denisova che già abitavano l’isola. Per inciso l’Homo di Denisova fu un ominide vissuto in un periodo compreso tra 70.000 e 40.000 anni fa in aree popolate principalmente da sapiens e in parte da neanderthal, pur essendo la sua origine e la sua migrazione distinte da quelle delle altre due specie. Si diffusero in tutta l’Asia durante il Paleolitico inferiore e medio. I ricercatori hanno stimato che la donna avesse circa un 2,2% di DNA Denisoviano, percentuale per altro leggermente inferiore ad altri gruppi nella regione. In studi precedenti era stato affermato che diverse popolazioni di Denisova si sono incrociate con gruppi di Homo sapiens nelle Filippine.

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“Il DNA della donna di Sulawesi indica che l’incrocio si è verificato in Wallacea quando alcuni H. sapiens dell’età della pietra si sono fatti strada verso la Papua Nuova Guinea e l’Australia. Il flusso genetico principale dai Denisova agli antenati dei Papua e degli aborigeni australiani molto probabilmente ha avuto luogo una volta che l’H. sapiens ha raggiunto le isole Wallacea”, ha detto Cosimo Posth, genetista delle popolazioni e coautore dello studio. Gli scienziati hanno anche affermato che il DNA della donna assomiglia a quello degli attuali papuasi e degli indigeni australiani più da vicino di qualsiasi moderno asiatico continentale orientale. Questo probabilmente indica che appartenesse a una linea genetica distinta e precedentemente sconosciuta di esseri umani emersa circa 37.000 anni fa. Si stima che nello stesso periodo si sia verificata la spaccatura evolutiva tra i papuani e gli indigeni australiani. “Punte di pietra accuratamente lavorate che erano state collocati nella tomba della donna la identificano come un membro del popolo di cacciatori-raccoglitori di Toalean delle Sulawesi meridionali. I manufatti in pietra di Toalean risalgono a circa 8.000 e 1.500 anni fa”, ha detto l’archeologo Adam Brumm della Griffith University di Brisbane. “Molto rimane sconosciuto sulla storia della popolazione dei primi esseri umani moderni nel sud-est asiatico, dove la documentazione archeologica è scarsa e il clima tropicale è ostile alla conservazione dell’antico DNA umano”, si legge nell’abstract dello studio pubblicato, dove gli stessi ricercatori sono i primi ad affermare che tanto ci sia ancora da studiare prima di ricostruire l’intera storia delle nostre origini.

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