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Medioevo prossimo venturo

Dittatura digitale: ecco come ci stiamo consegnando al mondo delle macchine (e a chi le controlla)

“I mass media soffocano la diversità. Tutto viene a scarseggiare, tranne i dieci libri, i dieci dischi più venduti, i film più visti e le idee più correnti. Ma noi non l’abbiamo ancora capito e così contiamo di unire cinque miliardi di persone nel cyberspazio. E questo congelerà tutta la specie”.

La distopica visione è di Ian Malcolm, il matematico di Jurassic Park, che prevede il fallimento del grande progetto finalizzato a riportare in vita specie estinte milioni di anni fa, attraverso l’ingegneria genetica. Frutto della fantasia di Michael Crichton il libro (e poi il film, con tutte le peculiarità tipiche del mezzo cinematografico) pone in evidenza quali possono gli effetti di quell’atteggiamento che gli antichi greci definivano hybris, e da cui oggi spesso siamo travolti, qualche volta senza neppure averne coscienza.

Siamo strumenti degli algoritmi, che fanno parte della nostra quotidianità, anche se non ne abbiamo una precisa consapevolezza: ci controllano, ci guidano verso campi a noi congeniali (secondo loro), prevedono le nostre iniziative e tante altre cose ancora…

Il termine deriva dealKhuwārizmī, nome del matematico arabo Muḥammad ibn Mūsa (IX secolo) e nel medioevo indicava i procedimenti di calcolo numerico fondati sopra l’uso delle cifre arabiche. Oggi, nel linguaggio dell’informatica, è l’insieme di istruzioni che deve essere applicato per eseguire un’elaborazione o risolvere un problema. È sempre così semplice? In pratica, molti di noi, quelli che non hanno una preparazione profonda sui meccanismi quasi alchemici del software, c’è il rischio che siano vittime dei tanti trabocchetti, dai più innocui a quelli maggiormente devastanti, celati nelle maglie del Web.

Prendiamo, per esempio, i cookies che in barba al loro nome (biscotti) in realtà non ci addolciscono la vita, ma al contrario la facilitano a quanti sono lì pronti a offrirci prodotti, servizi e tanto altro ancora, modulando le loro offerte sulle nostre scelte e sui gusti che abbiamo lasciato trapelare nel nostro pellegrinare tra i siti.

Sconvolgente la relazione tra gli algoritmi e i social network, come è ben noto: i secondi oggi occupano un ruolo rilevante nella nostra società, infatti avvolgono le esistenze di tante persone, creando anche un sorta di dipendenza, che in qualche caso assume connotazioni patologiche. Un dato per tutti: in un anno, su Facebook, sono stati caricati due miliardi e mezzo di contenuti e cliccati due miliardi e settecento di like: ogni giorno, a grandi linee, circa cinquecento terabyte di nuovi dati… Sono numeri che non facciamo fatica a trasformare in quantità, ma sono solo una delle tante fonti che ogni giorno aggiungono nuovi dati su Internet, rendendo sempre più intricata la foresta informatica, alimentata dagli algoritmi.

E così finiamo per essere “sudditi inconsapevoli della dittatura digitale”: una definizione che deve farci pensare e soprattutto indurci a un più lucido e morigerato uso dei mezzi tecnologici.

Prima di tutto fare attenzione a cosa si dice e scrive, perché nell’universo della Rete non vale la regola del verba volant, scripta manent, poiché non solo quello che scriviamo rimane, ma anche quello che diciamo.

Dietro agli algoritmi ci sono quelli che possiamo definire nuovi censori: quelli che, ritornando a Ian Malcolm, stabiliscono quali saranno “i dieci libri, i dieci dischi più venduti, i film più visti e le idee più correnti”… Forse siamo già in fase di congelamento?

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