Se si parla di Raffaella Carrà in Italia difficilmente la si assocerà al PCI di Enrico Berlinguer. Eppure nel mondo di lingua spagnola, in particolare in Cile, Raffaella Carrà è ormai una figura associata non solo alla Sinistra in senso lato ma al Comunismo, quello con la falce e martello. Ecco spiegato come e perché Raffaella Carrà è un’icona dei comunisti cileni.
Abstract – L’articolo in breve
Come vedremo quella di Raffaella Carrà comunista è più una narrazione che parte da quello che oggi definiremmo un titolo acchiappa-click di un rotocalco spagnolo. E che sul piano della resistenza al regime di Pinochet e alla causa della sinistra cilena esistono solo testimonianze indirette e interpretazioni a posteriori. Ma che, a suo modo, nell’Italia del 1986, un po’ per caso, Raffaella Carrà diventerà non tanto un’icona del PCI dell’epoca, bensì una testimone del riconoscimento del valore delle lotte operaie. Rimanendo però su un piano ben distinto da quello della sinistra istituzionale.
Un’iniziativa locale ma non un meme
L’iniziativa che ha confermato il ruolo di Raffaella Carrà come icona del partito comunista in Cile è un’iniziativa locale, di una cartolibreria, ma non si tratta del classico meme di internet (o quasi).
Il 16 novembre 2025 si terranno in Cile le elezioni presidenziali e la sinistra presenterà un candidato unitario, si tratta di Jeannette Jara, già ministro del lavoro dell’attuale governo di sinistra di Gabriel Boric, giovane outsider (classe 1986) della sinistra cilena. Nel 2018 Boric aveva fondato un suo proprio partito, Convergencia Social. Eletto con grandi entusiasmi nel 2020 dopo due anni proteste di piazza dove si erano viste anche chiese bruciate e vandalismi delle statue su pubblica piazza, vede la sua figura e il suo partito tramontare sul piano politico e di consenso.
Cile: la candidata comunista della coalizione di sinistra
Jeannette Jara, vincitrice delle primarie di coalizione lo scorso giugno, è invece un’esponente del Partido Comunista de Chile, lo storico partito dei comunisti cileni le cui origini risalgono al 1912 (Salvator Allende era invece esponente del Partido Socialista de Chile che con i comunisti e altre sigle formarono l’Unidad Popular che portò Allende alla presidenza).
Jeannette Jara è quindi la prima candidata del partito comunista cileno alla presidenza di una coalizione di centro-sinistra. Ma nonostante il Partido Comunista de Chile sia un partito comunista vecchio stampo Jara è di altra pasta. Lo riassume bene Il Post: «Il Partito Comunista cileno si definisce marxista-leninista, sostiene la lotta di classe e mantiene rapporti, tra gli altri, con il Partito Comunista della Corea del Nord, Jeannette Jara ha posizioni molto più in linea con la sinistra liberal.»
L’iniziativa della libreria Libre de Arte
Proprio per queste posizioni più diluite rispetto alla base del partito comunista, alcuni tesserati temevano che Jeannette Jara potesse rinunciare all’elemento comunista, o addirittura abbandonare il partito! Lo racconta su diversi quotidiani l’ideatore del manifesto, Cesar Padilla, proprietario della libreria La Libre de Arte nella capitale Santiago. Nell’intervista Padilla riferisce: «Subito dopo la vittoria nelle primarie, sembrava che Jara volesse lasciare il partito comunista per riuscire a intercettare più facilmente i voti della sinistra moderata. E quello che noi volevamo dire con questo poster era: essere comunisti non è un peccato, guardate Raffaella, lei non se ne è mai vergognata, anzi! La nostra idea ha funzionato».

Ed ecco il manifesto diventato virale con cui si è fatta ritrarre anche la candidata. Ma difficilmente nella campagna elettorale per le elezioni di novembre vedremo Raffaella Carrà sui manifesti della coalizione di sinistra.
L’intervista del 1977… Il titolo…
Il manifesto della libreria cilena fa riferimento a una famosa intervista al settimanale spagnolo Interviù del 1977 con il titolo ormai celebre e ripreso nel poster cileno: Raffaella Carrà: «Siempre vota comunista».
Ma se uno va a leggere l’articolo il passaggio ovviamente non c’è, o almeno in questi termini. Certamente Raffa rivendica di aver convintamente votato il PCI di Berlinguer alle ultime elezioni (si sottintende le politiche del settembre 1976 dove il Partito Comunista Italiano di Berlinguer arrivò al record del 34,37 %, appena quattro punti sotto la DC). Ma Raffa vota sì convintamente PCI ma l’obiettivo sperato del suo “vota comunista” è quello del Compromesso Storico, ovvero una forma di accordo tra DC e PCI.
L’intervista del 1977… e la dichiarazione…
Ecco l’estratto dell’intervista a Interviù:
[Interviù] –¿Tiene usted preocupaciones políticas?
[Carrà] – ¡Oh, sí! Naturalmente. En las últimas elecciones le he dado mi voto al Partido Comunista, porque pienso que el comunismo es la única solución que hoy puede resolver el conflicto de mi país. Tenemos demasiados demócrata–cristianos y el Partido Comunista puede significar el revulsivo que establezca un equilibro. Solo un compromiso histórico entre estas dos fuerzas políticas nos alejaría de la guerra civil.
[Interviù] – Ha pensieri politici?
[Carrà] –Oh, sì! Naturalmente. Alle ultime elezioni ho votato per il Partito Comunista, perché penso che il comunismo sia l’unica soluzione che oggi possa risolvere il conflitto nel mio Paese. Abbiamo troppi democratici-cristiani e il Partito Comunista può rappresentare la scossa che ristabilisce l’equilibrio. Solo un compromesso storico tra queste due forze politiche ci allontanerebbe dalla guerra civile.

L’intervista del 2020 a El Mundo
Insomma si tratta del classico titolo strillato liberamente tratto dal contenuto dell’intervista. Probabilmente oggi avremmo torme di “fact-checker indipendenti” a spiegarci perché il settimanale in questione non sarebbe affidabile, ma è da lì nasce la “leggenda” della Compagna Raffaella Carrà.
Tanto che quando nel 2020 il quotidiano spagnolo El Mundo tornerà sulla questione del Siempre vota comunista con una domanda diretta, nella versione completa della risposta Raffaella Carrà cita DC e PCI, prima di definirsi di “sinistra a modo mio” (un po’ come certi “cristiani a modo loro”).
[El Mundo] En la revista ‘Interviú’, usted confesó que votaba comunista… ¿sigue convencida de ello?
[Carrà] Bueno, ahora ya no existe ni el Partido Comunista Italiano ni la Democracia Cristiana. Me considero una persona de izquierdas a mi modo. Me he sentido siempre culpable. Durante toda mi vida he estado de la parte de los trabajadores, de la gente que lucha, porque yo misma he trabajado muchísimo. Siempre me he preocupado por los derechos laborales de los que están a mi lado. Pero al mismo tiempo, el éxito ha hecho que haya tenido una vida cómoda. Teóricamente, debería estar del lado de los ricos, de todos los afortunados a los que nada les importa los demás. Ésa es la derecha. Pero no. Siempre he creído que es fundamental pagar los impuestos y me alegro de pagarlos.
[El Mundo] Nella rivista “Interviú” ha confessato di aver votato comunista… Ne è ancora convinta?
[Carrà] Beh, ormai non esistono più né il Partito Comunista Italiano (PCI) né la Democrazia Cristiana. Mi considero una persona di sinistra a modo mio. Mi sono sempre sentita in colpa. Per tutta la vita sono stata dalla parte dei lavoratori, delle persone che lottano, perché io stessa ho lavorato moltissimo. Mi sono sempre preoccupata dei diritti dei lavoratori che mi stanno accanto. Ma allo stesso tempo, il successo mi ha permesso di avere una vita agiata. In teoria, dovrei stare dalla parte dei ricchi, di tutti i fortunati a cui non importa nulla degli altri. Questa è la destra. Ma non è così. Ho sempre creduto che sia fondamentale pagare le tasse e sono felice di pagarle.
Interviù
Insomma una posizione molto più sfumata. Ma il titolo di Interviù ormai era già leggenda. Tanto che alla morte di Raffaella Carrà Repubblica nel ricordare il cordoglio del mondo di lingua spagnola titolava Raffaella la Rossa. Il mondo ispanico ricorda la “Compagna Carrà” e nel sottotitolo Cordoglio da Cuba alla Spagna. E riemerge una dichiarazione di voto fatta in un’intervista del 1977.
Il settimanale Interviù che ha cessato le pubblicazioni nel 2018 nasce nel 1976 nell’ambito della transizione democratica spagnola iniziata l’anno precedente. Rappresenta il rotocalco di informazione scollacciato, nel 1986, scrive Wikipedia, il fondatore della rivista Antonio Asensio Pizarro ricorderà: «Agli spagnoli mancava il sesso, noi gli abbiamo dato il sesso. Mancava chiarezza, abbiamo dato loro la libertà di espressione dei giornalisti. Era un abito su misura. Era un cocktail. Ma non un molotov cocktail».
La copertina del numero 16, settembre 1976
La cifra della rivista è tale che la copertina del numero 16, settembre 1976, che mostra in copertina l’allora ventottenne Marisol, cantante e attrice, in un nudo integrale di profilo diventa un’icona di quel periodo storico.
Anche perché Marisol, nome d’arte di Josefa Flores González, divenne nota al pubblico spagnolo come ragazzina prodigio nel 1960 con il film Un rayo de luz, rimanendo una figura celebre dell’immaginario spagnolo degli anni ’60 e ’70. Insomma la diva adolescente dell’immaginario cattofranchista, si spogliava per la nuova Spagna, un bel colpo per l’immaginario collettivo (tra l’altro questo numero della rivista è anche ben quotato, quindi se doveste trovare una copia in cantina mettetela su ebay).

Oltre un titolo acchiappaclick
Quindi il Siempre vota comunista di Raffaellà era sì una dichiarazione di voto. Ma probabilmente molto meno “siempre” di quanto lasci intendere la rivendicazione di voto nel titolo strillato di un rotocalco anni ’70. Rivendicazione che tra l’altro non aveva destato interesse nel le grisaglie del nostro PCI berlingueriano.
Contesto mancante direbbero i fact-checker. Unico elemento certo è come in Spagna Raffaella Carrà è un’icona della transizione dal franchismo al mondo libero. Indirettamente è tra le artefici del nuovo ruolo della Spagna come divertimentificio europeo, dalla nascita della Movida per le strade di Madrid alle discoteche di Ibiza. Anche perché Raffaella Carrà inizia a farsi conoscere in Spagna proprio nel 1975 ospite alla TVE, e poi a partire dal 1976 con il suo primo programma sulla TV spagnola, La hora de….
Addirittura Raffaella Carrà riferisce che Lucia Bosé le avrebbe raccontato: «Lucia Bosé ha raccontato che il giorno che sono entrata a Madrid – era il 1975, era appena morto Francisco Franco – presentandomi in televisione ho dato la sveglia alle donne spagnole, che hanno ripreso a credere in sé stesse».
Testimonianza del ruolo di Raffaella Carrà nella Spagna post-franchista anche l’unico omaggio cinematografico a oggi dedicato alla figura di Raffaella Carrà, ovvero il film spagnolo Ballo, Ballo del 2020 dove Raffa compare anche in un breve cameo. Il film è una commedia romantica ambientata nella televisione spagnola degli anni ’70 all’inizio della transizione democratica. Colonna sonora, ovviamente, i pezzi della Carrà.
Carrà e il Cile
Il successo in Spagna la porta presto nel Sudamerica di lingua spagnola. E tra i primi paesi dove compare in televisione c’è il Cile, ancora il Cile di Pinochet. È ospite prima del varietà televisivo di Canal 13 Sábado gigante nel 1978 che in quegli anni aveva audience bulgari, con punte dell’80 %. Ospitate reperibili su YouTube ([1] e [2]).
Più celebre e citata la sua presenza nel 1982 al Festival Internacional de la Canción de Viña del Mar, il più celebre, antico e di successo festival musicale dell’American Latina. Qui si esibisce come ospite di onore, e il suo spettacolo è ovviamente reperibile su YouTube.
C’è da dire che all’epoca Raffaella Carrà era veramente un fenomeno mediatico assolutamente globale, come forse se ne sarebbero visti solo trent’anni dopo. Vale la pena ricordare il progetto Millemilioni di Rai 2, un varietà in cinque puntate trasmesse da Buenos Aires, Città del Messico, Londra, Roma e Mosca. In un certo esempio del soft power di cui poteva vantarsi l’Italia del 1980, anno delle Olimpiadi di Mosca.
Gli Inti Illimani a Pronto Raffaella
Tra i simboli della vicinanza di Raffaella Carrà al Cile anche un’ospitata degli Inti-Illimani a Pronto Raffaella, il primo programma Rai nella fasca di mezzogiorno. Il gruppo musicale cileno era arrivato in Italia nel 1973 durante il loro tour europeo con tappa a Milano il 5 settembre 1973 per suonare alla Festa de L’Unità di Milano. Sei giorni dopo mentre sono a Roma arriva la notizia del golpe di Pinochet e su interessamento e consiglio del deputato del PCI Pajetta ottengono asilo politico in Italia. Torneranno in Cile solo nel 1988.
La prima apparizione degli Inti-Illimani sulla Rai è dell’anno successivo il 13 giugno 1974. Pure l’apparizione della primavera del 1985 a Pronto Raffaella è ritenuta significativa ed è rimasta nella memoria collettiva per il fuori programma del bambino che si intrufola da dietro le quinte per sedersi in braccio al padre. Si trattava di Bruno, il figlio del polistrumentista Jorge Coulón.
Ovviamente essendo un programma Rai dell’epoca, si dice semplicemente che gli “Inti-Illimani non possono tornare in Cile” senza spiegarne il perché. Anzi in chiusura dell’intervista quando di lì a poco sarebbe partito il segmento musicale uno degli Inti-Illimani parla della nostalgia per il Cile. Poco prima che stia per lanciare il pezzo Raffa se ne esce con un “Però potete tornare quando volete”, plausibilmente riferito all’ospitata a Pronto Raffaella, ma che, lì per lì, sembra riferito al Cile. E che oggi suona un po’ infelice, anzi un vero momento cringe.
Insomma ben lontano dall’immaginario dell’artista di rottura contro la dittatura di Pinochet che alcuni vogliono trovare nell’esibizione di Raffaella Carrà al festival del 1982 a Viña del Mar. Come fa ad esempio il quotidiano di Barcellona La Vanguardia, che in un articolo in riferimento alla vicenda del poster scrive in merito al festival cileno del 1992: «Quel gesto divenne in seguito un’icona della libertà in Cile. L’espressività di Raffaella Carrà contrastava con un Paese sottoposto a una dittatura»
La testimonianza della famiglia Coulón
Riflessione che non si trova in fonti cilene antecedenti alla vicenda del poster, ma che viene rilanciata successivamente. Probabilmente La Vanguardia trasferisce al Cile il ruolo di Raffa nella Spagna post-franchista.
Pure le attestazioni di stima e di una Carrà vicina alla causa della sinistra cilena non mancano, ma sono di altro tenore come i ricordi della stessa famiglia Coulón, raccolti dal quotidiano cileno La Tercera dopo la morte dell’attrice italiana. Ricordo che parte proprio dall’intervista a Pronto Raffaella degli Inti-Illimani, per poi ampliare al rapporto tra Raffa e Cile.
«Secondo i Coulón, Carrà in più di un’occasione ha aderito o manifestato il suo sostegno ad alcuni atti e campagne di solidarietà internazionale per il ripristino della democrazia in Cile. Ciò è in linea con le simpatie politiche che l’artista ha mostrato pubblicamente, la quale, oltre ai lustrini, al glamour e alle canzoni sul sesso, si è dichiarata apertamente di sinistra. In primo luogo, in un’intervista alla rivista Interviú del 1977 intitolata: “Io voto sempre comunista”. E poi, ribadendo le sue affermazioni due decenni dopo, ha sentenziato: “In un conflitto tra lavoratori e imprenditori, io sarò sempre dalla parte dei lavoratori”.
“In generale ci siamo visti abbastanza spesso con Raffaella, circa 3 o 4 volte, perché ha partecipato a molti eventi di solidarietà con il Cile. Forse non sempre di persona, ma manifestava il suo sostegno”, racconta Jorge Coulón, che ricorda anche di aver ricevuto in uno di questi eventi “un telegramma di Sofia Loren a sostegno della democrazia in Cile”.
“Lei (Carrá) proveniva dalla Romagna, nel nord Italia, che durante la Seconda Guerra Mondiale era una zona partigiana, molto rossa”, dice il musicista.»
Qualcosa di sinistra
Insomma chiaramente una figura importante nella transizione democratica spagnola, ovviamente a livello di costume e immaginario prima che politico e da lì transitata in tutto il mondo di lingua spagnola. E sicuramente nel rivendicare da parte di Raffaella Carrà di una convinta vicinanza a sinistra.
E come anticipato a suo modo fece una cosa molto “comunista” nella televisione italiana del 1986. Ma certamente non per questo venne riconosciuta come “comunista” dalla sinistra istituzionale dell’epoca, ma le venne dato semplicemente dato atto dell’interessamento.
Intervista doppia “il padrone e l’operaio”
Nel 1986 Raffaella Carrà conduce Domenica In. Il 12 ottobre ospita e intervista assieme al giornalista Pietro Ottobe il presidente di Confindustria, vicino all’allora PSI, Luigi Lucchini. L’intervista è quella a un imprenditore prototipo del self-made man. Nei giorni successivi non mancano polemiche, e la settimana successiva, il 19 ottobre, Carrà e Ottone ospitano l’operaio, e sindacalista FIOM, Mario Varianti. Intervista particolarmente significativa in quanto Varianti lavorava alla Bisider recentemente acquisita dal gruppo Lucchini. E Varianti aveva inviato un telegramma alla redazione per chiedere la possibilità di replicare a Lucchini.
Le polemiche allora divamparono ma Raffaella Carrà si guadagnò un’intervista su Il Manifesto.
Il Manifesto intervista Raffaella Carrà
A intervistare Raffaella Carrà Valentino Parlato, tra i fondatori del quotidiano e più volte suo direttore. Chiaramente non è un’intervista di un comunista a una comunista.
Si parte dall’intervista a Lucchini
[Manifesto] Comincerei col dire «Grazie Raffaella», come cittadino e come utente della Rai Tv. Il fatto che una trasmissione di intrattenimento e che, forse per errore, non mi appassiona, abbia portato a milioni di telespettatori un problema della condizione operaia lo considero positivo, e tutto il contrario della politica spettacolo: la gente deve vedere e sapere come stanno le cose, anche nelle fabbriche.
[Carrà] Quando dico che Domenica in è una trasmissione popolare dico questo, dico che ci debbono essere anche i fatti e le persone della realtà. Se tutto questo fa nascere polemiche, è per la forza stessa delle cose e non perché qualcuno abbia pensato che la polemica avrebbe accresciuto il numero dei telespettatori. In linguaggio popolare, direi che questa polemica è stata il destino che l’ha voluta. Abbiamo intervistato il presidente della Confindustria Luigi Lucchini senza neppure sapere che Varianti esistesse[…]. Un protagonista di quella rinascita dell’industria italiana che consente a tutti noi di vivere meglio. […] In ogni caso, ne è venuto fuori un personaggio forte, di rilievo.
E poi si entra nel merito dell’operaio.
[Manifesto] Quale domanda ha pensato di fare?
[Carrà] Da romagnola, ho chiesto subito: «Lei di che si lamenta?». In fondo era la ragione per la quale aveva mandato il telegramma ed era venuto a Roma. Piero Ottone gli ha chiesto delle condizioni di fabbrica: quale era il suo salario, l’infermeria, la mensa. Era un modo di metterlo a suo agio. Le risposte che tutti ricordano ci sono sembrate incredibili, ma lo abbiamo lasciato parlare senza sovrapporre commenti. Quanto a me, sono rimasta appassionata dal rapporto forte, di affetto che questo operaio aveva con la sua fabbrica, con i suoi compagni di lavoro. […] Il mio augurio in quella puntata di Domenica in e ancora oggi è che la direzione della Bisider si incontri non solo e non tanto con i sindacati, ma con i lavoratori di quella fabbrica, mettersi seduti attorno a un tavolo.
[Manifesto] Dopo questa trasmissione di Domenica in alla Bisider c’è stato uno sciopero.
[Carrà] Guardi, lei può anche considerarmi conservatrice, ma io non sono affatto per il ritorno alla guerra sociale. Si può e si deve sempre discutere e ragionare fino a raggiungere un’intesa.
[Manifesto] Senta, non è un po’ orgogliosa del fatto che dopo la vostra trasmissione alla Bisider abbiano ripulito i locali, messo l’infermeria e forse anche la mensa?
[Carrà] Non mi sentirò soddisfatta fino a quando la direzione della Bisider non si incontrerà con gli operai. Ma insisto ancora — e non mi importa nulla delle vostre possibili critiche di sinistra — penso che ci voglia calma. Siamo nel 1986 e anche gli operai se vogliono guadagnarsi il rispetto o l’ampliamento dei propri diritti devono avere calma e gesso, come dicono i giocatori di biliardo.
Insomma, forse per il ruolo istituzionale di madrina della televisione italiana, il tono è ben diverso dalla “Compagna Raffaella” di certe narrazioni contemporanee. Con la Carrà che si autodefinisce conservatrice agli occhi del giornalista comunista. Così come il quotidiano comunista per eccellenza ci tiene a mantenere una certa distanza. [Per chi volesse c’è un articolo accademico di approfondimento su questa vicenda Coscienza, di classe : Raffaella Carrà e il “caso Bisider” contenuto nel numero 27 di Imago: studi di cinema e media, numero monografico dedicato a Raffaella Carrà].
Forse che nel 1986 Raffaella Carrà fosse conservatrice?
Ovviamente Raffa non era una conservatrice (se non agli occhi della sinistra di allora). E certamente le polemiche per i suoi ingaggi negli anni ’80 le alienarono le simpatie della sinistra operaia. Citiamo da un altro articolo de Il Manifesto: «Non mancano le polemiche, fatturati pubblicitari altissimi che la Raffa nazionale si fa pagare lautamente: il suo ingaggio da tre miliardi di lire per un contratto triennale in Rai vede Bettino Craxi protestare con l’allora direttore Rai Sergio Zavoli.»
O l’epopea di Carramba! Che sorpresa che unisce avanspettacolo con la TV del dolore su Rai Uno in prima serata il 21 dicembre 1995 in quella che stava diventando l’Italia del Berlusconi politico non era in linea nemmeno con la sinistra che da post-comunista stava diventando la sinistra liberal di oggi.
La riconciliazione tra Raffaella Carrà e la sinistra italiana
La riconciliazione tra Carramba e la sinistra italiana sarà di molto successiva, e in un certo senso “involontaria”. A far diventare di sinistra Carramba nell’immaginario italiano sarà l’attribuzione di icona gay a livello internazionale, quando nel 2017 fu invitata al WorldPride 2017 di Madrid come madrina dell’evento. Si prende atto un’investitura internazionale.
Nell’intervista che seguì per Gramellini sul Corsera ci fu anche la fatidica domanda sulle adozioni per le coppie omogenitoriali. La risposta è “combattuta. Credo che la natura delle cose arriverà a fiorire da sola”. Ecco il passaggio in questione
[Corsera] È favorevole all’adozione per i gay?
[Carrà] «Sono combattuta. Credo che la natura delle cose arriverà a fiorire da sola. Intanto si sono già fatti passi avanti. Due persone che si amano possono prestarsi assistenza. Ricordo il povero Don Lurio disperato perché aveva un compagno molto malato e non poteva andare in ospedale a trovarlo».
[Corsera] E l’adozione per i single?
[Carrà] «Vorrei sapere perché io, cresciuta da una mamma single, non ho potuto avere un figlio in quanto single! Ho persino pensato di farmi spagnola».
Pure nell’immaginario collettivo è diventato un sì tout court. Tanto che Wikipedia scrive: L’artista era una sostenitrice dell’adozione da parte di coppie dello stesso sesso e della famiglia monogenitoriale, essendo lei stessa cresciuta con la sola madre.[112] E in nota mette un pezzo di Vanity Fair che riprende l’intervista del Corsera, precisando anche il combattuta.
Insomma, anche qui più narrazione che fatti. Pure e l’ultimo tassello che rende plausibile, anche per gli italiani vedere Raffa riconosciuta come icona della sinistra. Anzi Carrà come icona dei comunisti cileni.
Raffaella Carrà, Sanremo e il soft power italiano?
Alla fine l’unica certezza è che Raffaella Carrà fu tra quel 34,37 % di italiani che nel 1976 votarono il PCI di Enrico Berlinguer tifando per il Compromesso Storico. Niente più, niente meno.
Eppure tra narrazioni e suggestioni Raffaella Carrà è diventata a quasi cinquant’anni da un’intervista a un rotocalco spagnolo e a quasi cinque anni dalla morte un’icona del comunismo. Carrà da rivendicare oggi perché magari la propria candidata potrebbe rinunciare alla Falce e Martello come insegnano i comunisti cileni. I fatti e i dettagli sono ormai irrilevanti.

Raffaella Carrà comunista come Ciao 2020
Raffaella Carrà e le sue canzonette hanno colpito l’immaginario globale in una maniera che ha saputo (indipendentemente dai fatti) trovare anche una chiave politica. Più che postverità, siamo in una situazione di postrealtà. Raffa votò il PCI per il Compromesso storico nel 1976, e oggi è un’icona del comunismo sudamericano alla ricerca di nuove icone spendibili (Addio Che Guevara, c’è una nuova boss in città).
La vicenda di Raffaella Carrà in Spagna (o eventualmente in Cile) ha lo stesso ruolo di Sanremo in Unione Sovietica. Il manifesto con la Carrà comunista è come i programmi di capodanno Ciao 2020 e Ciao 2021 della TV russa, con i Russi di oggi che si reimmaginavano come la TV italiana degli anni ’80.
Un esempio di soft power italiano attraverso un immaginario musical-televisivo in cui è difficile trovare un paragone. Certo c’è il mito statunitense raccontato da Hollywood, e il mito giapponese raccontato da anime e manga. Ma Stelle e strisce e Sol levante sono miti sostenuti da narrazioni potenti, strutturate e ripetute.
Raffa e Sanremo sono canzonette e varietà, non c’è una narrazione a sostenerle. Ma oggi possiamo ben dire che se l’Unione Sovietica è caduta e la Spagna ha superato il franchismo forse è anche merito loro.
Il softpower italiano non è stato solo il Rinascimento o l’Opera. Forse è molto più penetrante di quanto si immagini. C’è da sperare che l’Italia continui a essere all’altezza.