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L'Insolita Storia

Sanremo 2021, Ciao 2020 e l’appropriazione culturale

Mentre si chiude la settantunesima edizione del Festival della canzone italiana, unica liturgia collettiva rimastaci in quest’anno dai giorni tutti uguali, si sprecano le riflessioni su come, nonostante gli italiani confinati in casa, gli ascolti siano stati al di sotto delle aspettative.

Nonostante la presenza di un assoluto mattatore come Fiorello, del gotha dei cantanti usciti dai talent e, sopratutto, di un potenziale pubblico fatto dalla totalità degli italiani confinati in casa a norma di legge, gli ascolti sono stati deludenti.

Critici televisivi, massmediologi, sociologi si sono sprecati in analisi. Ma stranamente nessuno sembra aver colto la vera motivazione del relativo flop del Sanremo venti-ventuno. Ovvero che quest’anno Sanremo, in realtà c’è già stato. E quello che abbiamo visto condotto da Amadeus e Fiorello, vinto dai Måneskin non era che una stanca parodia del vero Sanremo di quest’anno, ovvero l’assolutamente filologico Ciao 2020!, il capodanno della rete uno russa.

Special di capodanno in cui Ivan Andreevič Urgant prendendo il gotha della canzone russa degli anni ’20 di questo secolo li trasportava in un mondo parallelo fatto a immagine di un’edizione sanremese della prima metà degli anni ’80. Nomi e canzoni della Russia di oggi, tradotte e reimmaginate come uscite dalla riviera ligure ai tempi della leggendaria, e a suo modo gloriosa, Milano da bere. Uno spettacolo che su YouTube viaggia ormai oltre le dieci milioni di visualizzazioni.

Rappresentazione stereotipata di italiani nella televisione degli anni ’80

Mettere in relazione Ciao 2020! con Sanremo 2021 può apparire come la solita blanda e stanca provocazione. Ma il fatto che quel grandioso omaggio all’Italia, e a un suo periodo particolare, quegli anni ’80 che fanno inorridire più di un benpensante, sia stato completamente espunto dalla narrazione intorno a Sanremo 2021, né omaggiato dal palco dell’Ariston, dovrebbe dare da pensare a chi si occupa di Storia e della sua rappresentazione.

La riflessione più immediata, è che l’Italia ha paura e vergogna di quel “particolare periodo storico”. Il benpensante dirà perché lì si è sviluppata e cresciuta quella che sarebbe diventata, nel decennio successivo l’”Italia di Berlusconi”. Ma adesso il benpensante si trova al governo proprio con lo stesso Berlusconi, e quindi preferirà fare finta di niente. Riflessione più sottile è che l’Italia, o meglio chi si occupa della sua narrazione pubblica, ha in orrore quel periodo storico perché, al netto della guerra fredda, della criminalità organizzata, dell’eroina e della corruzione, forse negli anni della “Milano da bere” in Italia non si stava poi così male. E, nonostante l’incubo atomico di una fine del mondo da War game, si aveva più fiducia nel futuro di quanto non ne abbiamo adesso che sta per iniziare il secondo anno di coprifuoco. D’altronde oscurare la storia per impedire il raffronto con il passato è il primo modus operandi di ogni distopia che si rispetti: Orwell, Bradbury, Zemjatin e Burdekin.

Raffrontare l’Italia di allora con quella di oggi…

Ma c’è un’altra riflessione da fare intorno al parallelo tra Ciao 2020! e Sanremo 2021, e il successo del primo e la aurea mediocritas del secondo. Una riflessione che è l’elefante nella stanza di qualunque dibattito sull’oggi e i rapporti tra culture diverse: il tema dell’appropriazione culturale.

L’appropriazione culturale si verifica quando elementi caratteristici di una certa cultura o gruppo etnico vengono usati (indipendentemente dal fine) da parte di un’altra cultura o gruppo etnico. Secondo l’accezione più puritana del politicamente corretto questa appropriazione è sempre una forma di oppressione, colonizzazione e spoliazione.

Nella definizione accademica si dice che è un’appropriazione culturale quando l’appropriazione avviene da parte di una “cultura” maggioritaria nei confronti di una minoranza. L’esempio canonico è il caso delle “treccine rasta” portate dai bianchi americani, appropriazione di uno stile afroamericano. O peggio il vestirsi da “nativo americano” da parte di un bianco per Halloween.

Ma in realtà la definizione di appropriazione culturale e l’atteggiamento paranoico che ne segue è ormai a 360° gradi. Addirittura i BTS, famosa boy-band sudcoreana, nel dicembre scorso è stata accusata di “Appropriazione culturale” per essersi fatti delle “treccine” e per aver usato degli elementi della cultura nativa americana in un video. Capirete bene che i sud coreani non possono certo essere considerati una cultura dominante che ha oppresso afroamericani o rinchiuso i nativi nelle riserve. Anzi, come popolazione e nazione i coreani, visto quello che hanno passato nel XX secolo, possono inserirsi a buon diritto tra le popolazioni oppresse.

Immagine di un cantante sudocoreano impegnato a opprimere un’altra cultura

Insomma, la paranoia impera. Poche settimane fa lo Youtuber italiano Il Meeple con la camicia che ha un canale dedicato ai giochi da tavolo, e che come copertina sui video di Youtube mette sue foto ispirate al tema del gioco è finito nel tritacarne per aver “impersonato un cinese stile Fu Manchu” per presentare un gioco cinese ambientato in Cina. Ovviamente non è stata l’ambasciata cinese a muovere le polemiche, ma la sottocoltura dell’ideologia woke che dai campus statunitensi arriva alle università europee.

Nella mente dei woke l’appropriazione culturale va di pari passo con la “rappresentazione inappropriata” e la “stereotipizzazione offensiva”. Ovvero l’atto di rappresentare una determinata cultura, o etnia, con quegli elementi caratteristici che ne sono caratteristici. Ad esempio negli Aristogatti, nella banda di Scat c’è un gatto siamese, che stereotipizza gli asiatici con occhi a mandorla, colorito giallo e bacchette. E proprio per questo adesso gli Aristogatti sul canale Disney+ hanno un avviso bene in vista. E sono anche vietati ai minori di sette anni non accompagnati.

Stereotipizzazione offensiva

Ovviamente nessuno si è accorto che negli Aristogatti c’è una stereotipizzazione pure di un’italiano, il gatto Peppo, ma non avendo baffi e mandolino, probabilmente era solo uno “stereotipo bonario” e non se ne è accorto nessuno.

Stereotipizzazione ignorata

Certo pure gli italiani potrebbero essere vittime di appropriazioni culturali. E c’è chi sta tentando fortuntamente invano, di portare questa lagna liberal anche da noi! Lo ha provato ad esempio la youtuber italiana Barbie Xanax, attiva pure su Twitter, ha tentato di dar vita ad una campagna per stigmatizzare l’appropriazione culturale della canzone Bella Ciao da parte della catena di moda low cost spagnola Pull and Bear per aver fatto una maglietta dedicata al serial spagnolo La Casa di Carta e alla canzone Bella Ciao, scopertasi hit internazionale proprio grazie al telefilm iberico. Apprendiamo da un tweet del 2 aprile 2020: “appropriazione culturale: prendere simboli importanti per una cultura, svuotarli e commercializzarli”.

Ma il successo di Ciao 2020! manda in frantumi questa narrazione piagnona e le relative paranoie. Da russi ci si può travestire da italiani di un trentennio fa, e il risultato viene apprezzato sia dai primi che dai secondi.

E non si dica che Ciao 2020! sia cosa diversa da un’operazione di appropriazione culturale a tutti gli effetti. Ogni elemento pettinature, vestiario, seni, balletti e spaghetti sono stati portato all’eccesso e all’estremo, oltre ogni ragionevolezza. Proprio come le bacchette di Shun Gon, il gatto siamese degli Aristogatti.

Quella di Ciao 2020! è un’appropriazione culturale spietata, come nemmeno quella dei BTS che da Seoul opprimono nativi e afroamericani. Eppure non se n’è accorto nessuno che ci fosse stata un’appropriazione culturale. Anzi gli italiani dopo essersi visti Ciao 2020! su Youtube hanno potuto per quest’anno far a meno dell’originale!

Il successo di Ciao 2020! mostra che fortunatamente russi e italiani sembrano ancora avere il senso dell’umorismo. E soprattutto sono ancora fieri della rispettiva Storia, anche nelle luci, nelle ombre e negli eccessi. D’altronde l’appropriazione culturale non nasce per “opprimere una cultura” come sostengono gli ideologi del woke, ma per ispirazione, omaggio, o, perché no, invidia di un tratto caratteristico. Salvo i casi di maschere ereditate da fratelli maggiori, chi a carnevale si vestiva da indiano, lo faceva perché ne era affascinato. Altrimenti se voleva giocare ad opprimere, si poteva sempre fare il cowboy.

Certo si dirà che non avendo subito un’oppressione dai russi (a parte i molti che non tornarono dell’ARMIR), non possiamo mettere sullo stesso piano la maschera da indiano, con la mascherata da italiano della TV anni ’80 operata dalla TV russa. Però come dimostrano le mille petizioni online contro i BTS coreani, e chi lamenta Bella Ciao in un serial spagnolo, la valenza oppresso-oppressore nel contesto dell’appropriazione culturale ha perso completamente di significato.

Vasto assortimento di stereotipi italiani, ma manca il mandolino, quindi nessuno lo considera offensivo

E così, per chi può, si può ancora godere di una “sana appropriazione culturale”. D’altronde in tutto il mondo si possono continuare a mangiare pizze dalla lievitazione e dal condimento discutibile. Allo stesso modo si potranno praticare arti marziali orientali, insegnate da maestri che hanno imparato da maestri che a loro volta l’Oriente l’hanno visto solo in cartolina.

E infatti dopo il boom di Ciao 2020!! nessuno in Italia ha giocato la carta dell’appropriazione culturale. Le uniche “polemiche” nostrane sullo spettacolo di capodanno russo sono state quelle dei soliti maestri dalla penna rossa che hanno trovato l’ennesima occasione per rimarcare: «Penitenziagite! Fanno facile ironia sui nostri anni’ 80, la TV di allora, l’origine di tutti i mali! Le TV di Berlusconi! Orrore! Penitenziagite!»

Senza rendersi conto che l’ironia era rivolta soprattutto a un certo immaginario russo di chi ha vissuto gli anni’80 della Perestroika sulle note di Sanremo. Urgant, l’autore è del 1978, ma buona parte dei cantanti che si sono prestati sono più giovani. L’immaginario anni’80 con cui hanno giocato è quello di genitori e fratelli maggiori.

E simbolicamente in Ciao2020! c’è stata un’unica canzone italiana, Mamma Maria dei Ricchi & Poveri, ed è stata interpretata dai Little Big, tra i cantanti russi che hanno partecipato a Ciao 2020! il più noto fuori dai confini nazionali avendo partecipato all’Eurovision Song Contest. Canzone che hanno remixato alla loro maniera, e come corpo di ballo hanno presentato, non l’omaggio all’Italia come tutti gli altri cantanti (con guardie svizzere, papi, giocatori della Juve, casalinghe intente ad appendere panni e carabinieri motociclisti) bensì un gruppo di quattro baldi “squatting Slavs in tracksuit”, letteralmente slavi accovacciati in tute da ginnastica, uno dei più famosi meme internettiani sulla realtà sociale dell’ex “patto di Varsavia”.

In Ciao 2020! il cerchio si chiude: sulla hit italiana di quarant’anni fa si balla alla maniera di un rave clandestino nelle periferie brutaliste della fu gloria sovietica. Nulla a che vedere con i piagnistei nostrani sull’Italia berlusconiana (e sarebbe bastato per apprezzare lo spirito di Ciao 2020! conoscere un po’ dell’autoironia dell’immaginario russo contemporaneo, dalla saga fantasy il ciclo dei Guardiani di Sergej Luk’janenko ai fulminanti videoclip dei Leningrad).

Insomma ricordarsi di Ciao 2020! durante questo Sanremo avrebbe significato riconoscere apertamente che l’appropriazione culturale non è quell’azione di oppressione e colonizzazione che gli ideologizzati woke raccontano. Ma, semplicemente, un modo per favorire lo scambio e la conoscenza con un’altra cultura.

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