La Corte penale internazionale dell’Aia con la sua pletora di giudici in cerca di occupazione si è improvvisamente risvegliata da un lungo letargo firmando alle ore 16 di venerdì 17 marzo un mandato di cattura internazionale a carico di Vladimir Putin, con l’accusa di crimini di guerra per “aver deportato bambini e adolescenti ucraini in Russia” per essere poi adottati da famiglie soprattutto nelle zone del Donbass o nelle regioni limitrofe. Prossimamente, forse, le foto dello Zar con la scritta WANTED sui muri d’Europa…
Non entrerò nel merito dell’accusa fondata su documenti raccolti dal procuratore generale dell’Ucraina, Andrij Kostin, e trasmessi al procuratore della Corte, il britannico Karim Ahmad Khan e da questi ai tre giudici (italiano, giapponese e costaricano) che hanno emesso il mandato. E’ materia di contestazioni che riguardano le parti in causa. interessa piuttosto la questione di fondo, vale a dire il ruolo politico di queste corti e la loro attendibilità.
Il problema si può esaminare partendo da lontano e quindi dal più famoso processo per crimini di guerra: il processo di Norimberga, quando furono portati alla sbarra i principali dirigenti nazisti che non erano morti, fuggiti o si erano tolti la vita. Una delle accuse principali riguardava la responsabilità della Germania, e quindi dei suoi capi, nell’aver provocato lo scoppio della guerra con l’aggressione alla Polonia del 1° settembre 1939. A questa accusa uno degli avvocati della difesa obiettò presentando in copia il testo di un Protocollo segreto allegato al famoso patto di non aggressione firmato tra Germania e Unione Sovietica nell’agosto dello stesso anno, con il quale veniva anche decisa la spartizione delle zone d’influenza dell’Europa tra i due paesi (Ne ho scritto nel numero di “Storia In Rete” n. 197 recensendo il libro di Antonella Salomoni “Il protocollo segreto”)
Il documento non venne acquisito dalla Corte in quanto non era l’originale (la copia tedesca era andata distrutta e quella in mano ai russi emerse dagli archivi solo nel 1991), ma soprattutto perché da quel documento emergeva la corresponsabilità dell’URSS nello scoppio del conflitto e questo non poteva essere accettato da un tribunale dove, accanto ai giudici delle potenze alleate (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia), sedevano anche i rappresentanti sovietici. La storia e le sentenze, come è noto, le scrivono i vincitori e tra questi si trovavano quelli stessi che avevano firmato il Patto e il Protocollo. Giudici che, per definizione, essendo tra i vincitori, non potevano figurare tra i colpevoli.
Questa è la natura dei tribunali che intendono processare prima la politica e poi la storia: mettere il sigillo del diritto su quanto è già stato sancito dagli eventi. Alcuni avvenimenti recenti ce ne danno la conferma. Solo due esempi: il caso del presidente serbo Slobodan Milosevic, morto in prigione nel 2006, prima della sentenza della Corte, ma dopo che il suo paese era stato bombardato da una coalizione internazionale e messo praticamente in ginocchio; ma anche il caso del presidente libico Muammar Gheddafi, nei cui confronti la Corte emise un mandato di cattura nel 2011, dopo l’inizio di una rivolta in Cirenaica e dopo che la NATO aveva bombardato le sue unità, lasciando campo libero ai ribelli che lo avrebbero poi stuprato e massacrato.
Insomma la peculiarità di questi tribunali, di solito, è di intervenire a cose fatte. In questo caso no. E questa è la novità. La Corte penale in questo caso interviene come protagonista nel corso di un conflitto che non sembra affatto volgere alla fine. Non importa che nessuno dei principali paesi coinvolti (Stati Uniti, Russia, Ucraina, Cina ecc.) abbia sottoscritto lo Statuto di Roma (1998) che precede l’entrata in funzione della Corte (2002), e che questo mandato di cattura non abbia nessuna possibilità di tradursi in una effettiva cattura. Quello che conta è il messaggio. E il messaggio (omettendo quanto vi è di risibile) è un messaggio politico che favorisce, di fatto, una guerra totale e mette una seria ipoteca non dico sulle possibilità di arrivare a una pace (oggi impensabile), ma anche su quelle di una tregua in stile coreano. Un bel risultato per una istituzione che avrebbe come suo compito quello di tutelare la legalità internazionale!