Hanno «carbonizzato» il Corano. E facendolo potrebbero aver riscritto, almeno in parte, l’intera storia dell’islam. La «carbonizzazione» del caso non è certo stata un’opera distruttiva, tutt’altro.
di Daniele Abbiati da Il Giornale del 2 settembre 2015
Si tratta della datazione al carbonio 14, tecnica di datazione impiegata per documenti, reperti e addirittura per i resti umani (si pensi ai casi clamorosi della Sacra Sindone o della vera Monnalisa che fu la modella di Leonardo da Vinci per la Gioconda ). A finire sotto la lente degli esperti dell’Università di Oxford, come era già stato annunciato sul finire del luglio scorso, sono state alcune parti di quella che ora viene considerata la più antica redazione del libro sacro dei musulmani.
Fra le pagine di un’altra copia del Corano databile alla fine del Sesto secolo, sono state infatti rinvenute, come specificava due giorni fa il Times dando grande rilievo alla cosa, alcune parti delle sure 18, 19 e 20 del cosiddetto « Corano di Birmingham», trovato appunto in quella università inglese e studiato da una ricercatrice italiana formatasi fra l’altro all’Università Cattolica di Milano, Alba Fedeli. Ebbene, quei preziosissimi fogli di pergamena, sarebbero da collocare fra il 568 e il 645, ha sentenziato il carbonio 14. Quindi non necessariamente dopo la scomparsa di Maometto, le date di nascita e di morte del quale usualmente accettate sono 570 e 632. Insomma, almeno una parte del Corano potrebbe esser stata scritta prima della dipartita del Profeta, e non dopo, come vuole la tradizione islamica che colloca la prima edizione del libro nell’anno 650, cioè 18 anni dopo la morte di Maometto.
«Certo – ha spiegato Tom Holland, uno degli esperti che hanno esaminato le sure in questione – ciò destabilizza l’idea che noi abbiamo sull’origine del Corano e comporta delle implicazioni sulla storicità di Maometto e dei suoi seguaci». Secondo la tradizione islamica, Maometto avrebbe ricevuto la rivelazione che poi ha portato alla stesura del libro sacro fra il 610 e il 632, anno della sua morte. Dunque, accettando per buono il lasso di tempo suggerito dal radiocarbonio per i reperti in oggetto, fra il 568 e il 645, esisterebbe un margine di ben 42 anni (fra il 568 e il 610, appunto, anno di inizio della rivelazione) in cui, Maometto vivente, almeno una piccola parte del Corano era già stata messa nero su bianco… Non solo, entra in gioco un altro fattore potenzialmente clamoroso: se l’ipotesi fosse vera, Maometto durante la sua predicazione avrebbe fatto riferimento a un testo antecedente quello che poi sarebbe diventato il Corano definitivo a tutti gli effetti.
Il testo che sta mettendo a rumore gli ambienti degli antichisti e degli studiosi delle religioni di tutto il mondo è scritto in hijaz , l’antica forma di scrittura dell’arabo, ed è, sostengono le persone che lo hanno esaminato, «sorprendente leggibile». «La persona che lo trascrisse – ha aggiunto David Thomas, docente di studi cristiani e islamici proprio all’Università di Birmingham – potrebbe ben avere conosciuto di persona il Profeta Maometto. E magari averlo sentito predicare».
E il mondo islamico come ha accolto la notizia? Mustafa Shah, della London’s School of Oriental and African Studies (SOAS), ha detto che «il manoscritto non farebbe che confermare la tradizione delle origini del Corano ». Mentre Shady Hekmat Nasser, dell’Università di Cambridge, ha sottolineato: «Sappiamo già dalle nostre fonti che il Corano era un testo molto antico. Quanto ora scoperto non fa che confermare le nostre fonti». Keith Small, un consulente per gli studi coranici della Bodleian Library di Oxford, tocca poi un punto che potrebbe essere dirimente: la datazione proposta per le parti del « Corano di Birmingham» riguarda la pergamena su cui sono state vergate, non l’inchiostro usato, e puntualizza che la calligrafia in questione gli pare caratteristica di uno stile piuttosto tardo.
In conclusione, la «carbonizzazione» del Corano che potrebbe essere il più antico esistente non ha ridotto in cenere una tradizione che dura da oltre tredici secoli. Semplicemente ipotizza che il contenuto della predicazione di Maometto a seguito della rivelazione ottenuta si è basato su concetti che erano già consolidati quando il Profeta era ancora in piena attività.