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“Alce Nero parla” ancora. E con la sua “Sacra Pipa” indica una strada per la pace

Era il 1932 quando il capo sioux Alce Nero (1863-1950), ultimo custode dei riti sacri degli Oglala, divenne famoso grazie al libro di John G. Neihardt Alce Nero parla, tradotto in italiano da Adelphi nel 1968, circostanza per la quale, da noi, divenne rapidamente un livre de chevet dei contestatori per la sua carica antiborghese ed ecologista.

In realtà, quella che era passata per la sua autobiografia risultò essere stata fortemente manipolata dall’antropologo dilettante che lo aveva intervistato, e che aveva omesso fatti importantissimi, come ad esempio la conversione di Alce Nero al cattolicesimo. Il nativo americano, infatti, si era fatto battezzare nel 1904, aveva insegnato il catechismo e battezzato a sua volta centinaia di Sioux, era diventato diacono, e oggi è in procinto di diventare il primo santo “pellerossa”, dopo la santa Kateri Tekawitha, Mohawk vissuta, e morta giovanissima, nel Seicento.

Alce Nero fu profondamente amareggiato dal comportamento di Neihardt, che in una lettera aveva definito un “bugiardo” che aveva scritto un libro “nullo e di nessun valore”. E’ dunque da considerare un’impresa straordinaria quella compiuta quindici anni dopo da John Epes Brown e raccontata nel libro La sacra pipa e i sette riti dei Sioux Oglala pubblicato in una nuova edizione italiana dopo quasi mezzo secolo dalle Mediterranee (pp. 150, € 15).

Nel 1947, J.E.Brown, allora giovane assistente universitario di antropologia, si mise sulle tracce dell’anziano Oglala per raccogliere e riportare fedelmente le testimonianze della tradizione spirituale di cui Alce Nero era l’ultimo custode. Il vecchio sacerdote viveva nella riserva di Pine Ridge, nel Nebraska, e condivise per otto mesi la propria piccola casa di tronchi con il giovane studioso, il cui arrivo gli era stato predetto da una visione. Alce Nero, infatti, prima di diventare missionario e diacono cattolico, era un “uomo di medicina”, investito in tale ruolo da una visione, avuta a soli nove anni, che gli aveva indicato tale ruolo all’interno della sua tribù. Gli era stata, quindi, tramandata la storia della “sacra pipa” da Testa d’Alce, ultimo custode dei sette riti che legano gli uomini al Grande spirito, e che in questo libro vengono dettagliatamente riportati.

Arricchito da una sapiente Premessa di Marco Toti, La sacra pipa non è “soltanto” la testimonianza di una antica sapienza tradizionale, ma è, nelle intenzioni dell’autore, un tentativo di contribuire a portare la pace sulla terra, non solo tra gli uomini, ma anche dentro di essi e in tutto il creato: “Questa è la mia preghiera, che tramite la nostra sacra pipa, la pace possa giungere a quei popoli in grado di capire, capire con il cuore e non solo con la testa”.

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