C’è un nuovo testimone, ascoltato qualche giorno fa dalla procura di Roma, che riapre uno squarcio sulla strage di Ustica. Le sue rivelazioni, a trent’anni dal disastro aereo che costò la vita a 81 persone tra cui 11 bambini a bordo del DC-9 dell’Itavia, sono finite nel faldone di un’inchiesta che oggi non ha ancora responsabili. Ma che parte da una verità marchiata a fuoco lo scorso gennaio dalla sentenza della Terza sezione civile della Cassazione: «È abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile».
di Federica Angeli per “La Repubblica” dei 2 aprile 2013
«Sorvolai i cieli di Ustica al comando di un volo di linea Alitalia, il giorno prima e, ancora, qualche minuto prima che accadesse la tragedia – avrebbe raccontato il testimone al procuratore aggiunto Maria Monteleone e al pubblico ministero Erminio Amelio che hanno secretato il verbale e sull’audizione mantengono il più stretto riserbo – Dopo alcuni minuti dal decollo dall’aeroporto di Palermo, sotto di me notai una flottiglia di navi: una che sembrava una portaerei e almeno altre tre-quattro imbarcazioni. Ho commentato con l’altro comandante questa presenza e quando seppi della tragedia pensai subito a quell’addensamento navale ».
Le parole del comandante assumono una particolare rilevanza se lette nell’ottica di una delle piste battute dalla procura di Roma all’indomani della riapertura delle indagini, avvenuta nel 2008, dopo le dichiarazioni rilasciate da Francesco Cossiga l’anno prima. In qualità di presidente del Consiglio, dichiarò, venne informato, nell’80, dai servizi segreti italiani che ad abbattere il DC-9 era stato un missile «a risonanza e non a impatto» lanciato da un velivolo dell’Aéronavale decollato dalla portaerei Clemenceau, in forza alla marina francese.
Le rivelazioni del nuovo testimone fanno dunque virare l’inchiesta verso un obiettivo preciso e restringono il campo sulle responsabilità. Una portaerei nel mar Tirreno, un missile partito da lì, nessuna esercitazione militare in corso ma, molto probabilmente, un’azione premeditata per colpire qualcuno – non certo il volo dell’Itavia – che doveva volare su quella rotta. Il testimone, nel 1980, lavorava come pilota all’Alitalia. Il 26 e il 27 maggio dell’anno che partorì uno dei misteri più assurdi della storia italiana, percorse a bordo di un DC-9 le tratte Roma-Palermo, Palermo-Roma, Milano-Palermo.
In Alitalia il comandante era passato dopo una lunga carriera trascorsa nell’aeronautica militare. Per l’aviazione svolse il ruolo di «intelligence»: per anni fu addetto alla decodificazione dei messaggi Nato e, ai corsi allievi, insegnava a riconoscere le sagome («ombre», in gergo militare) degli aerei nemici, soprattutto russi. Il comandante ha riconosciuto per una vita le ombre degli aerei, ma sulla nazionalità di quelle navi che galleggiavano nel mar Tirreno la notte del 27 maggio, non sa dare risposte. «Da 8000 metri di quota non seppi distinguere la nazionalità della portaerei e delle altre quattro barche, ma di sicuro non si trattava di pescherecci».
Quella flotta però cosa ci faceva lì? E perché per il comandante Alitalia quell’addensamento di navi poteva essere collegato alla strage? «Un aereo che esplode a 10mila metri è quasi certamente provocato da un fatto esterno – spiega a Repubblica il testimone – Mi sorprese che, a strage avvenuta, tutti smentissero la presenza di navi nella zona mentre io le avevo viste». Sulle carte ufficiali non c’è traccia né del passaggio né della presenza della flotta. Ma è anche vero che molti tracciati radar sparirono misteriosamente. Quello che sarebbe utile capire è: la presenza delle navi a Ustica è la prova provata che il missile sia partito da lì? «È plausibile, ma questo non spetta a me dirlo».
Forte dei suoi trascorsi in Aeronautica, il comandante svela poi a Repubblica alcuni dettagli “tecnici” della vicenda Ustica, quali ad esempio il Mig libico trovato sul monte della Sila. E qui spunta un altro dettaglio importante. «Quell’aereo potrebbe non essere decollato dalla Libia perché il Mig ha un’autonomia di volo di 2.500 km solo se è in trasferimento (ovvero se vola in alta quota e si muove dunque su lunghi percorsi). Ma la durata del carburante si riduce della metà, a circa 1100 km, se si fanno voli a bassa quota. E, suppongo, non essendo intercettato da nessun radar italiano, il Mig non poteva che volare basso. Quindi, presumibilmente, potrebbe essere partito da territorio italiano».
Si parlò in passato di una base militare libica, concessa dalle nostre autorità dopo accordi segreti con Gheddafi, in Sardegna, ma sull’esistenza di questi accordi ci sono sempre state forti smentite. Le risulta che ci fosse una base concessa alla Libia in Sardegna? «No comment». Ma perché il teste ha deciso di parlare soltanto oggi? «Ci sono stati tanti depistaggi, strani decessi, troppe omissioni e silenzi. Fino a oggi chi ha detto la verità o chi l’ha cercata, è morto. Ho provato nell’81 a dire quello che avevo visto alla trasmissione “Telefono giallo”, ma non mi hanno mai mandato in onda. Allora ho pensato che la mia verità non interessasse ed ero sicuro di portarmela nella tomba. Invece no. Quando mi hanno chiamato dalla procura di Roma ho deciso che era arrivato il momento». È di qualche giorno fa la notizia della riapertura delle indagini sulle morti del maresciallo dell’aeronautica Dettori e del colonnello Marcucci, uno trovato impiccato e l’altro precipitato in uno strano incidente aereo: entrambi, pare, conoscessero pezzi di verità su Ustica.
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