Nel primo articolo dedicato a M – Il figlio del secolo, la serie Sky tratta da Scurati, ci siamo occupati di Filippo Tommaso Marinetti, ora è il turno di Gabriele D’Annunzio: l’altro prefascista che riceve ben altro trattamento rispetto al Futurista. Tanto è buffo Marinetti, tanto diventa ieratico, ispirato e, soprattutto, ispiratore Gabriele D’Annunzio.
Nella galleria di macchiette che offre M – Il figlio del secolo (non ultimo un giovane Italo Balbo che sembra soffrire di ADHD, disturbo di iperattività) Gabriele D’Annunzio sembra quasi l’unico che può condividere con Matteotti un barlume di serietà.
Un elemento che stupisce visto il trattamento che Antonio Scurati aveva riservato per il Vate ne l’M – Il figlio del secolo cartaceo. Nelle pagine del volume era definito l'”avvelenatore”!
D’Annunzio avvelenatore?
Le parole de l’orbo veggente sono come gas nervino (quasi ci sarebbe aspettato che le potesse paragonare all’iprite, il gas usato nel teatro di guerra etiopico). Ecco il paragrafo dedicato all’arte oratoria tossica del Vate (p.104)1:
«Un avvelenatore. La parola del poeta, per via aerea, come gas nervino, penetra fino agli alveoli polmonari della folla. La gente vi si abbandona, inebetita, intossicata dalla menzogna come da un veleno sistemico.»
Se queste erano le premesse…
Il rischio che D’Annunzio finisse come Marinetti era alto. Marinetti un guitto, vista l’entrata in scena nel salotto della Sarfatti. E un cattivo maestro, con il suo Zang Tumb Tumb colonna sonora delle violenze squadriste. Con D’Annunzio che già di per sé è spesso ridotto a un erotomane-cocainomane (a voi la scelta dell’ordine dei termini) nell’immaginario collettivo ci si poteva aspettare la consueta esagerazione a cui ci ha abituato questa serie.
E invece ci si limita a una battuta di Mussolini in tema di invidia del pene dannunziano. Mentre la cocaina è derubricata a una singola striscia prima delle cannonate del Natale di Sangue.
Insomma a differenza del testo scuratiano, l’entrata in scena e la permanenza sullo schermo di D’Annunzio non sarebbero dispiaciute allo stesso Vate. Soprattutto nella scena che fa da preludio alla Santa Entrata a Fiume, ovvero il passaggio del confine e l’incontro con le truppe del Regio Esercito che avrebbero dovuto fermare D’Annunzio e i suoi legionari.
D’Annunzio e il “volo dell’Aquila” napoleonico
Wright, con un taglio da cinegiornale, mitizza un evento già epico: la scena è solenne con l breve scambio di battute leggendario nella sua metacitazione napoleonica. Ovvero l’invito di D’Annunzio al generale Pittaluga (che ha l’ordine di fermare i legionari) a sparare alle medaglie sul suo petto.
Una reminiscenza del primo atto dei Cento giorni di Napoleone dopo la fuga dall’Elba, ovvero il volo dell’Aquila. Quando il corso, di fronte al suo ex attendente inviato a fermarlo, lo invita a tirare sulle medaglie sul suo petto.
Quella di D’Annunzio è quindi una metacitazione napoleonica di cui si ha riscontro anche da testimoni dell’evento, come Federico Pinna Berchet che lo racconta nelle sue memorie2.
Il sogno del D’Annunzio liceale
Elemento sfruttato anche da Antonio Scurati. Che però idea la scena ribaltandone il significato. Nella finzione scuratiana di D’Annunzio l’atto metanapoleonico diventa una reminiscenza dei sogni di ragazzo del Vate… Quasi che l’intera parabola poetica ed eroica di D’Annunzio fosse unicamente da ricondurre al fatto di poter, un giorno, replicare la battuta di Napoleone.
E si usa eroico per D’Annunzio non per amor di retorica. Legittimamente il Vate potrà non piacere e potrà essere considerato un avvelenatore di folle, ma che mise più volte in gioco la sua pellaccia. Non solo a Buccari sui MAS, non solo a Vienna sugli SVA, ma anche nelle missioni di bombardamento dei trimotori Caproni.
Ecco il passaggio da Scurati(p.89)3:
«Gesto napoleonico atteso da tutta una vita»
«Il poeta, allora, viene rapito da una reminiscenza. Per un lunghissimo istante, l’anziano anchilosato e orbo torna, liceale, sui banchi di scuola: apre il cappotto che ricopre il suo corpo febbricitante e ripete il gesto con cui cento anni prima Napoleone, sbarcato in Francia dopo la fuga dall’Elba, nei pressi del lago di Laffrey, aveva offerto il petto al generale francese, suo ex attendente, inviato a fermarlo. L’emulo si picchia nervosamente il petto nel gesto napoleonico atteso da tutta una vita.»
Insomma il D’Annunzio di Scurati è solo un avvelenatore del pensiero, un ragazzino che sognava di imitare napoleone. E infine un vecchio pazzo che biascica al chiaro di luna come nel capitolo dedicato al mancato incontro di Balbo al Vittoriale… Un «limbo lacustre di pensionati moribondi»4.
«Limbo lacustre di pensionati moribondi»
«Poi sono andati a offrire al Vate la guida del movimento.
La risposta di D’Annunzio, però, si fa attendere. Lascia a marcire Balbo e Grandi da quasi due giorni in quel limbo lacustre di pensionati moribondi che si aggrappano all’ultimo fiato con il bridge e la cura delle acque. Nella tarda mattinata del 18, rispettato fin quasi a mezzogiorno il riposo del poeta, i due pellegrini risalgono alla villa di Cargnacco. D’Annunzio non li riceve. Manda il suo servo a dire che bisogna attendere ancora: la notte è stata fosca, la stessa Diana non è apparsa, forse “gli astri non sono propizi”.»
D’Annunzio sceneggiato meglio del libro
Queste erano le premesse. E invece Joe Wright con il duo di sceneggiatori Stefano Bises e Davide Serino ribaltano il senso originario e il risultato per mantenere un afflato epico nelle poche scene che vedono D’Annunzio protagonista.
Dal “O Fiume o Morte!” cantato dai Legionari. Alla scelta di trasformare nei flashback da cinegiornale il grigioverde in un’uniforme candida. E anche quando punta un pugnale al collo di Mussolini-Catenacci per fargli dire “A noi!“.
E persino l’incontro al Vittoriale con Grandi e Balbo ha quasi una sua dignità tragica a differenza del testo Scuratiano (compreso un bel chiaro di luna di quelli che Marinetti avrebbe voluto uccidere…).
Insomma il D’Annunzio di Wright & Co. interpretato da Paolo Pierobon non è il D’Annunzio di Scurati. E non è nemmeno il troppo disincantato e stanco Vate di Sergio Castellitto visto ne Il cattivo poeta (ne abbiamo accennato nell’articolo dedicato all’Istituto del Genio a Roma).
Allora tutto bene, la terna di sceneggiatori e regista Legionari di Fiume ad honorem? Non proprio, la figura di D’Annunzio in M – Il figlio del secolo non è grottesca. Né cerca direttamente l’iperbole. Ma alla fine anche il D’Annunzio della serie non può rinunciare, indirettamente, all’esagerazione.
Harukichi Shimoi e l’Istituto del Genio de Il cattivo poeta
Lo fa attraverso la figura di Harukichi Shimoi, figura storica di legionario fiumano, che si trasforma in una sorta di attendente-vice comandante. Una figura storica talmente esasperata nei suoi caratteri nipponici fuori contesto da risultare grottesca. Quelli buoni e bravi parlerebbero di “appropriazione culturale” e di “stereotipizzazione offensiva” (ne abbiamo parlato in un vecchio articolo) nel vedere come è stato trattato.
Si trova necessario esasperare la caratterizzazione del personaggio o del suo contesto. Strada simile l’aveva percorsa proprio Il cattivo poeta. Nel fare un racconto defascistizzante di D’Annunzio (in un film tutto sommato equilibrato nella sua impostazione a tesi) si esasperava un elemento fino al parossismo. Non l’amico giapponese come in M – Il figlio del secolo, bensì l’architettura.
Ne Il cattivo poeta sia la sede del PNF di Brescia (un edificio qualunque) che la Stazione di Verona Porta Nuova (edificio di una certa grandeur umbertina fuori tempo massimo) erano re-immaginate con le architetture di Gennaro De Matteis per l’Istituto del Genio combinandole con i piacentiniani interni della Casa Madre dei Mutilati a Roma.
Insomma Il cattivo poeta fascistizzava elementi non così esteticamente fascisti per rendere la narrazione più evidente allo spettatore contemporaneo.
Allo stesso modo M – Il figlio del secolo esaspera il contesto intorno a D’Annunzio con uno Shimoi che da giornalista, poeta e professore (pur convintamente vicino al fascismo) si trasforma nella parodia di un Mishima. Lo Shimoi originale non sarebbe stato abbastanza in linea con la narrazione. Non abbastanza fascist sounding.
Lo Shimoi di M – Il figlio del secolo è come l’Istituto del Genio de Il cattivo poeta.
L’importante è esagerare. La Storia è meno che un pretesto.
Note
1 – Capitolo Benito Mussolini – Fiume, 7 ottobre 1919 in riferimento ai funerali dei due legionari Giovanni Zeppegno e Aldo Bini in un incidente aereo.
2 – Antarès – Fiume Diciannove – Il Fuoco sacro della Città di Vita – n. 15/2019, Bietti, Milano
3 – Capitolo Gabriele D’Annunzio – 11 settembre 1919
4 – Capitolo Italo Balbo – Gardone, 18 agosto 1921