Libri ritirati dal commercio, professori censurati e minacciati: il mondo accademico anglosassone non accetta tesi diverse sul colonialismo dal “male assoluto indiscutibile”
Roberto Vivaldelli da Il Giornale del 1° febbraio 2023
Nel mondo accademico anglosassone, il colonialismo è diventato un argomento tabù. L’unica tesi accettata è quella che sostiene lo sfruttamento di persone di colore da parte degli oppressori bianchi. La base del “razzismo sistemico” di cui i bianchi (tutti) sono artefici e responsabili. Certamente il colonialismo è stato (anche) questo, ma proporre tesi diverse, o quantomeno con sfumature differenti rispetto alla vulgata, non è consigliato per quegli accademici che non vogliono essere vittima della ghigliottina della “cancel culture”.
Proporre tesi scomode, infatti, può causare molti problemi. Ne sa qualcosa Robert Hughes, autore del fortunato saggio La cultura del piagnisteo (Adelphi), nel quale ricordava come, ad esempio, il commercio degli schiavi africani, la tratta dei neri, fu un’invenzione musulmana, “sviluppata dai mercanti arabi con l’entusiastica collaborazione dei loro colleghi neri, e istituzionalizzata con la più spietata brutalità secoli prima che l’uomo bianco mettesse piede sul continente africano; continuò poi a lungo dopo che nel Nordamerica il mercato degli schiavi era stato finalmente soppresso”. Tesi intollerabile per i puritani della correttezza politica.
Vietato parlare di colonialismo
Come scrive Giulio Meotti su Il Foglio, ora a finire sul banco degli imputati è Nigel Biggar, docente all’Università di Oxford. La casa editrice inglese Bloombsbury si era rivolta al professore per scrivere un libro sul colonialismo. I termini erano stati concordati e Biggar aveva consegnato il libro, intitolato Colonialism: A Moral Reckoning, alla fine del 2020. La tesi del saggio è che che l’Impero britannico ha imparato dai suoi errori ed è stato sempre più spinto da ideali umanitari e liberali, in particolare attraverso l’abolizione e la soppressione della schiavitù. In passato Biggar era già stato criticato pubblicamente da diversi colleghi quando lanciò un progetto interdisciplinare nel quale proponeva di mettere sul piatto e studiare i pregi e difetti del colonialismo inglese.
Una lettera firmata da oltre 170 studiosi provenienti da Regno Unito, Stati Uniti, India, Sud Africa e altri paesi sostenne che l’università aveva torto ad appoggiare il progetto di Biggar, chiamato “Ethics and Empire”, e supportato dal McDonald Centre dell’università. Anche in quell’occasione, Biggar venne accusato di essere “un apologeta” del colonialismo inglese. Ora la stessa casa editrice che si era affidata a Biggar per il libro sul colonialismo ha deciso di scaricarlo bellamente e di annulare il contratto. Sarah Broadway, uno dei capi di Bloomsbury, spiega infatti che “le condizioni non sono favorevoli alla pubblicazione”. Alla richiesta di spiegazioni più approfondite, la casa editrice ha risposto così: “Riteniamo che il sentimento pubblico sull’argomento attualmente non supporti la pubblicazione del libro e lo rivaluteremo l’anno prossimo”.
Il caso del professor Gilley
Prima di Biggar, un altro docente aveva subito un trattamento analogo. Si tratta del professore della Portland State University, Bruce Gilley, autore di The Last Imperialist: Sir Alan Burns’ Epic Defense of the British Empire. Il saggio, che doveva essere pubblicato nel 2020, doveva essere il primo volume di una serie pubblicata dalla casa editrice Rowman & Littlefield. Come ricorda Il Foglio, il libro di Gilley aveva superato editing e revisione della Lexington, che fa parte della Rowman & Littlefield, e aveva ricevuto l’approvazione di due principi nel campo della storia coloniale, Jeremy Black e Tirthankar Roy. Risultato? È stato ritirato all’ultimo minuto, nonostante fosse già stato inviato la distributore. “Attribuisco la facilità e la rapidità della mia ultima cancellazione al panico morale generato da Black Lives Matter. Ha portato il totalitarismo culturale a nuovi livelli” ha spiegato sulle colonne del Wall Street Journal.
In precedenza il docente era già finito al centro delle polemiche, qualche anno fa, quando scrisse un articolo accademico in cui sosteneva che il dominio coloniale portasse anche dei benefici ai nativi. Una banalità, se vogliamo, che pubblicamente però non si può ripetere: l’articolo, infatti, scatenò una tempesta di proteste e indignazione da parte della sinistra accademica. Qualche mese fa Gilley è tornato sull’ argomento, pubblicando un libro nel quale sostiene che le terre sotto il dominio coloniale tedesco ne trassero notevoli benefici. Il mondo accademico non dovrebbe trattare il colonialismo come un “male indiscutibile”: se ne possono riconoscere tranquillamente i crimini senza, per questo, negare che esiste sempre un rovescio della medaglia. Ma nelle università anglosassoni l’approccio ideologico – sempre in un’unica direzione – è quello che, tristemente, sembra predominare.