La nicotina in corpo. La ferita alla mano. E quei granelli di sabbia sui vestiti. Un’inchiesta di Cucchiarelli smentisce le Brigate rosse. L’anticipazione di Lettera43.
di Fabrizio Colarieti da Lettera43 del 9 giugno 2016
Si tratta di dettagli nascosti, elementi rimasti sotto la superficie, solo in apparenza marginali, che sollevano nuovi interrogativi sul sequestro e sull’omicidio di Aldo Moro.
E raccontano un’altra storia rispetto a quella narrata finora dai brigatisti, ma anche dai rappresentanti dello Stato.
L’ANALISI DI INDIZI MATERIALI. Dare una risposta alle tante domande su quanto avvenne nel tempo trascorso tra la strage di via Fani del 16 marzo 1978, la prigionia nel covo di via Montalcini e il ritrovamento del corpo del presidente Moro, in via Caetani, il 9 maggio successivo, è l’obiettivo delle indagini che sta conducendo, da quasi due anni, la Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta da Beppe Fioroni.
Per cogliere quell’«evidenza invisibile», di cui aveva parlato Leonardo Sciascia già nell’agosto del 1978, Paolo Cucchiarelli, giornalista dell’Ansa, nel libro Morte di un presidente (Ponte alle Grazie), propone una minuziosa ricostruzione fondata sull’analisi dei tanti indizi materiali. Che Lettera43.it è in grado di anticipare.
BUGIE E CONTRADDIZIONI. Un lavoro che disegna una trama complessa, ma capace di demolire il castello di bugie e contraddizioni che negli anni ha reso impossibile l’accertamento della verità, fuori e dentro i tribunali.
Ciò che fino a oggi sembrava incomprensibile o caotico – le allusioni delle lettere di Moro dalla “prigione del popolo”, il comportamento paradossale dei suoi carcerieri, le oscillazioni dei politici, il coinvolgimento del Vaticano, della malavita organizzata, di Gladio, della P2, dei servizi segreti statunitensi, e soprattutto l’identità di chi uccise il presidente della Democrazia cristiana – appare così dotato di saldatura logica.
LA SABBIA SUI VESTITI. Piccoli elementi, in alcuni casi inediti, in altri già noti ma su cui nessuno prima aveva ragionato, assumono un altro significato.
Come i granelli di sabbia marina del tratto tra Focene e Palidoro, ma anche di Fregene, che furono trovati sul telone cerato che accolse il corpo di Moro in via Caetani, nel risvolto dei pantaloni, sulle suole delle scarpe (proveniente da due luoghi diversi), sui parafanghi della R4, sul cappotto e la giacca del presidente.
Durante l’autopsia i medici trovarono tracce di sabbia anche su un calzino che, con ogni probabilità, si era depositata per contatto diretto. E c’era salsedine sul colletto della camicia di Moro e sui proiettili utilizzati per ucciderlo. E sul corpo c’erano anche un capolino, una spighetta, foglie di Bosso, peli di cane e alcuni capelli rossi di una donna.
E IL BITUME SULLE SUOLE. Sempre sulle suole fu evidenziata anche la presenza di bitume fresco utilizzato per il lavaggio al largo delle cisterne delle petroliere e di materiale polimerico termoindurente, di solito usato per riparare le barche di resina, per contrastare la presenza della salsedine in piccoli ambienti, tipo rimesse, cantieri e stabilimenti balneari.
L’attenzione sulla costa romana, come possibile ultima prigione, prima dell’uccisione a Roma, fu immediata, ma con il tempo passò in secondo piano.
L’ipotesi, in base a incroci documentali, testimoniali e fattuali, è che Moro sia stato tenuto, poco prima di essere portato a Roma, in uno stabilimento balneare.
Quelle dosi consistenti di nicotina ritrovate nel corpo di Moro
Ci sono poi piccoli e banali elementi che la vittima “racconta” con il suo corpo.
È noto, ad esempio, che Moro fumasse per allentare la tensione, ma era solo un vezzo. Non si capisce, quindi, come mai nelle urine del presidente fu ritrovata, durante l’autopsia, un’alta percentuale di nicotina. LA ‘PRIGIONE’? TROPPO PICCOLA. Un elemento, apparentemente insignificante, su cui nessuno si era mai concentrato.
Sappiamo che durante quei 55 giorni il presidente fu costretto a vivere chiuso in una “prigione”, ricavata nell’appartamento di via Montalcini, lunga circa due metri e larga poco più di uno.
Ed è altrettanto noto che il presidente soffrisse di claustrofobia, tanto che una volta si sentì male in un ascensore che si era bloccato.
Dunque, nel luogo dove era detenuto, non solo rischiava continue crisi, ma, di certo, non avrebbe potuto fumare e assorbire un tasso così alto di nicotina.
DOV’ERA DETENUTO VERAMENTE? Quando il brigatista Mario Moretti, la mente del sequestro, uscì da quel tugurio dopo la prima visita a Moro, raccontò un’altra carceriera, Anna Laura Braghetti, si sfilò il passamontagna con un gesto di esasperazione perché gli sembrava di soffocare.
Mezz’ora dopo il presidente ebbe la prima crisi respiratoria che spinse i brigatisti a lasciare aperta la porta per un po’ di tempo.
Nessuno accenna al fatto che Moro fumasse durante la prigionia, nonostante i precisi racconti che lo mostrano immobile a leggere e scrivere per 55 giorni o ad ascoltare la messa registrata.
Se questo è vero, come ha fatto il presidente a incamerare nel suo corpo tanta nicotina? La assorbì passivamente? Oppure quello non era il luogo dove fu realmente detenuto?
LA POSIZIONE DEL CADAVERE. Ma non è tutto. Il presidente, al momento del ritrovamento nel baule della R4 rossa, era steso sul fianco sinistro, la testa verso il muro di via Caetani, al quale era accostata l’auto, i piedi, in posizione innaturale, piegati verso il centro della strada.
Sembra impossibile che, avendo saputo che sarebbe stato trasferito altrove in tali condizioni, possa aver accettato, anche solo per un secondo, di subire quella postura del tutto innaturale.
Le foto danno l’impressione netta di una sorta di “deposizione” nel portabagagli. Da morto o agonizzante.
L’espressione di un uomo che attende di essere liberato
Se è vero che tutto fu meticolosamente preparato la sera prima, dopo che la decisione di uccidere Moro era stata votata, perché i brigatisti non sgomberarono per tempo l’auto dalle catene per la neve e dal triangolo trovato sui sedili posteriori?
Sembra quasi che la scelta di costringere Moro, alto un metro e settantotto, in un “loculo” largo un metro e quindici nella parte più stretta sia stata il frutto di un’emergenza, di “qualcosa” di imprevisto.
Un dettaglio che non ricorda nessuno dei tre Br presenti nel garage quella mattina.
Evidentemente, scrive Cucchiarelli, furono tolti dal portabagagli all’ultimo minuto, in fretta e furia, dopo che – secondo i brigatisti – a Moro, appena uscito dalla cesta di vimini, era stato detto di stringersi in quello spazio angusto. Di certo Moro ha il volto sereno; non sembra aver avuto sentore che stava per essere ucciso; non se lo aspettava. La sua espressione è quella di un uomo che attende di essere liberato.
DETTAGLI CHE NON TORNANO. Moro fu colpito nella parte sinistra del torace, dunque in una zona ristretta.
Ma se non era stato spostato dal momento dell’uccisione, perché, quando si aprì il portabagagli della R4, il suo corpo giaceva sulla sinistra mostrando il fianco destro verso il portellone e non il contrario? Come poteva essere stato colpito a sinistra, dettaglia ancora Cucchiarelli, se chi apre il portellone “vede” e potrebbe colpire solo la parte destra del corpo del presidente?
I periti, al contempo, sostengono che Moro non sia stato colpito dal sedile posteriore dell’auto: quindi, come e da dove è stato colpito?
LA FERITA ALLA MANO. C’è un altro particolare che cozza con la logica del racconto delle Br: Moro ha una ferita, ben visibile, alla mano sinistra, come se l’avesse alzata per difendere il torace dai colpi in arrivo. Un proiettile attraversò infatti il pollice sinistrò da parte a parte. Eppure, anche la mano destra è insanguinata, come se il presidente le avesse alzate entrambe per ripararsi e il sangue della mano trapassata dal colpo fosse schizzato anche sul pollice destro.
Innanzitutto, la ferita sul pollice sinistro non ci dovrebbe nemmeno essere perché Moro, secondo la ricostruzione delle Br, non si rese conto che stava per essere ucciso e non era certo in grado di percepire, da sotto la coperta stesa su di lui, la direzione da cui gli si stava per sparare.
MORO DOVEVA AVERE IL VISO SCOPERTO. Quello rimasto impresso sulle due mani è un gesto naturale, istintivo, possibile solo, però, se Moro avesse avuto il viso scoperto, se avesse visto cosa gli stava per accadere e da dove proveniva la minaccia. Inoltre, perché alzare anche la mano destra se a essere colpito fu il lato sinistro del corpo?
Moro si è forse piegato e girato di poco verso la sua destra come per “parare un colpo” che stava giungendo, indirizzato verso l’emitorace sinistro, con una inclinazione leggermente dal basso verso l’alto?
Ha chiuso le mani “a conchiglia”, alzandole, per difendere il cuore dai proiettili in un istintivo gesto di protezione?
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