Alessandro Blasetti è un padre del cinema. A malapena però si ricordano i titoli di qualcuno dei suoi film: La corona di ferro, La cena delle beffe, Quattro passi tra le nuvole. Eppure, come dimostra in “Blasetti, il padre dimenticato del cinema italiano” (Idrovolante, pp. 288, € 18,00) Enrico Petrucci, “firma” storica di Storia In Rete, senza Blasetti il grande schermo per come lo conosciamo non esisterebbe. Fu mente e braccio della rinascita del cinema italiano alla fine degli anni Venti. Se il gatto fece ricco il suo padrone, Blasetti fece ricco il cinema italiano. E come con gli stivali delle sette leghe attraversò cinquant’anni di cinema e televisione, toccando tutti i generi e soprattutto anticipando tendenze e mode, senza perdere un briciolo d’inventiva e di originalità. Come regista fu precursore del neorealismo (almeno in due occasioni distinte), del low fantasy, del cinema a episodi, dei documentari d’exploitation e della fantascienza distopica televisiva. Ideò la Scuola Nazionale di Cinematografia. Fu maestro dei “piani sequenza”, quando ancora nessuno sapeva cosa fossero, e scopritore di talenti dietro e davanti alla macchina da presa, da Alida Valli a Pietro Germi. Eppure rimane sullo sfondo della Storia. Era il regista con gli stivali nelle caricature degli anni Trenta e in quelle del dopoguerra (Steno lo definì affettuosamente cowboy del Quadraro). Ma forse Blasetti fu proprio come il Gatto della favola, che prese il nostro cinema orfano, per portarlo alla grandezza che gli spettava.
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