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Un “complotto” contro Carlo V: crittografia, informatica e fake news

Nei giorni scorsi si è diffusa rapidamente la notizia della decifrazione di una lettera di Carlo V al suo ambasciatore in Francia, scritta nel 1547, il contenuto della quale è stato presentato come una grande novità, perché vi si parla di un presunto attentato contro l’imperatore sul cui regno non tramontava mai il sole. La rivelazione è rimbalzata in tutta Europa ed è stata ripresa anche da Rainews e da Euronews. Si è data molta enfasi alla tecnica informatica, con un team francese di quattro persone e un computer che avrebbe lavorato sei mesi. Alla prima lettura di questa notizia, segnalatami da diversi amici, sono rimasto piuttosto perplesso. La faccenda mi sembrava, a memoria, non del tutto nuova ma presentata con un ingiustificato sensazionalismo. Ho fatto alcune verifiche e ho consultato il mio amico David Potter, ottimo storico della monarchia francese e della storia politica europea del Cinquecento. Potter ha pubblicato la corrispondenza dell’ambasciatore imperiale Jean Sant-Mauris, e in effetti in un suo articolo del 2013 aveva segnalato la risposta in cui il sospetto dell’imperatore veniva messo a tacere con prudente realismo.

A beneficio dei lettori, traduciamo qui la sezione rilevante del suo dispaccio, scritto in francese e datato 6 marzo 1547: «Sire, quanto al proposito di Piero Strozzi e alla sua impresa contro la persona di Vostra Maestà, io mi sono accuratamente informato della verità di tale proposito, e ho scoperto che Trebatius ha chiesto a Olsatius se ne sapeva alcuna cosa. Al che Olsatius ha risposto che certamente non ne aveva inteso nulla e non poteva credere che la faccenda fosse successa nel modo in cui gli era stata confidentemente dichiarata; e […] se fosse  stata dichiarata in presenza d’alcuni uomini del signor Orazio [Farnese], essendo l’affare di tale qualità che il signor Orazio con i suoi in troppo moindre favore qui [alla corte di Francia] di quanto richiederebbe la pubblicazione di tali propositi, i quali non potevano esser stati detti se non in grandissimo segreto».

Nihil sub sole novi, dunque. Se si fosse rivelata l’identità degli spioni ingaggiati abilmente dal Saint-Mauris (coperti da pseudonimi latini) avremmo appreso qualcosa di interessante. Ma la scoperta è stata sbandierata come una conquista tecnologica di grande importanza, ed è su questo che non posso non manifestare il mio scetticismo. Trascorrendo quotidianamente alcune ore immerso nella lettura di documenti diplomatici spesso cifrati, sia per le mie scritture narrative che per il progetto sull’Arte del Negozio al quale lavoro all’interno del The Medici Archive Project, ho una certa familiarità con le scritture crittografiche.

Un dettaglio della lettera di Carlo V decifrata. Il documento è conservato presso la biblioteca Stanislas di Nancy, in Francia

A dirla tutta, mi trovai anche io nell’occhio di un ciclone mediatico nel 2004, quando la decifrazione di una lettera cifrata del duca di Urbino Federico da Montefeltro (di cui si celebrano quest’anno i 600 anni dalla nascita) pubblicata sulla prima pagina di La Repubblica fece il giro del mondo e mi indusse a scrivere il mio primo libro per il grande pubblico, L’enigma Montefeltro, oggi tradotto in dieci lingue. In quel caso la lettera non aveva altri esempi cifrati e non esisteva un copialettere ducale, quindi feci uso del manuale di decrittazione del mio antenato Cicco Simonetta, lavorandoci per qualche settimana e riuscendo a penetrare il codice urbinate. Nessun ricorso a computer, solo carta e penna e un po’ di immaginazione combinatoria. Retrospettivamente, posso dire che quella cifra non era una delle più complesse che abbia trovato, ma nel corso degli anni ne ho penetrate a centinaia, e di solito si tratta di un lavoro che richiede, ad un occhio esperto, poche ore. Il fatto che la decifrazione della lettera del 1547 abbia richiesto sei mesi e un’intera squadra di informatici dedicata a questo compito mi fa sorridere, ma anche preoccupare. Non sono certo un luddista anti-digitale, ma credo che il ricorso sistematico alla tecnologia senza coscienza storica sia un grave problema. Le digital humanities stanno prendendo sempre più spazio nei curricula universitari mondiali, e sicuramente possono portare dei benefici agli studiosi, potenziando l’accesso alle fonti storiche, ma la loro interpretazione resta, a mio parere, sempre analogica.

Nel caso della lettera in questione, bisogna dire che essa si poteva facilmente decrittare consultando l’Archivio di Vienna dove è conservata la minuta originale! Sostenere che il deterioramento dei rapporti fra la Francia e l’Impero sia una scoperta è come sorprendersi che fra gli Stati Uniti e la Russia ci fossero delle tensioni durante la Guerra Fredda! Questa è veramente quella che si chiama una scoperta dell’acqua calda. Per di più, il personaggio coinvolto, non citato nei resoconti giornalistici, è un italiano, il fuoriuscito fiorentino Piero Strozzi, che aveva ottime ragioni per voler uccidere l’imperatore. Come ho mostrato nella voce del Dizionario biografico degli Italiani e, in maniera più dettagliata e appassionante, nel mio libro su Caterina de’ Medici (Rizzoli 2018). Bref, Piero aveva un desiderio di vendetta degno di un personaggio di Dumas contro l’imperatore, considerato responsabile della morte di suo padre, lo straordinario Filippo Strozzi, e quindi le paure lievemente paranoiche di Carlo V non erano del tutto infondate. Al di là degli intrighi politici dell’epoca, che mutatis mutandis ci ricordano quelli dei nostri tempi, il problema è che l’intelligenza artificiale può spesso essere superata dall’intelligenza storica.

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