di Alessandro Agrati da Il Cibernetico del 30 agosto 2023
L’epoca elisabettiana (1558-1603), sebbene venga definita l’età dell’oro della storia inglese, fu in realtà un periodo contraddistinto da luci e ombre. Elisabetta I Tudor ereditò un paese sconvolto dai dissidi religiosi, portandolo a essere una delle maggiori potenze dell’epoca. Governare il paese non fu semplice però; avendo rotto col Cattolicesimo, Elisabetta era stata additata dal Papa come sovrana illegittima, col conseguente rischio per la propria incolumità in quanto in Inghilterra erano ancora molti coloro che desideravano il ritorno della vecchia religione.
Durante il suo regno non mancarono infatti i complotti per eliminarla. Nessuno di questi ebbe mai successo, grazie all’efficientissimo servizio d’intelligence messo in piedi da Sir Francis Walsingham. Nel periodo in cui fu Segretario di Stato (dal dicembre 1573 fino alla sua morte nel 1590), egli divenne lo “spymaster” della regina; costruì una rete capillare di informatori con la quale fu in grado di controllare le mosse dei nemici, in particolare dei cattolici inglesi.
Walsingham era di religione protestante e, durante una missione diplomatica in Francia, aveva assistito agli eventi del Massacro di San Bartolomeo. Questo lo colpì a tal punto da renderlo fanaticamente anticattolico, un aspetto che influirà decisamente sulla politica interna ed estera del regno.
La minaccia principale al trono era posta da Maria Stuart, l’ex regina di Scozia, che le potenze cattoliche (Francia e Spagna in primis) speravano di sostituire a Elisabetta per ripristinare il Cattolicesimo in Inghilterra. Maria, che aveva perso il trono a seguito di uno scontro fra le fazioni dei nobili scozzesi, si era rifugiata in Inghilterra sperando che Elisabetta (della quale era cugina) l’aiutasse a riprendere il potere. Mentre era “ospite” (in realtà tenuta agli arresti domiciliari) manteneva contatti con esponenti della comunità cattolica inglese e per questo Walsingham la teneva sotto osservazione. L’ex regina era consapevole dei rischi che correva, pertanto evitava di partecipare direttamente alle trame contro sua cugina, o di rispondere a lettere che avrebbero potuto comprometterla. Questa specie di partita a scacchi tra Maria Stuart e Francis Walsingham andò avanti per alcuni anni.
La crittografia nel XVI secolo
All’epoca, per la corrispondenza riservata, era ampiamente utilizzata la crittografia. I sistemi più comuni per cifrare un messaggio erano quelli a sostituzione: una lettera veniva sostituita da un’altra in base alla chiave di cifratura, ovvero al numero di posizioni in avanti (o indietro) nell’alfabeto necessarie per trovare la lettera sostitutiva. Per rendere un messaggio più sicuro si scrivevano, al posto delle lettere in chiaro, dei numeri o dei simboli corrispondenti e, invece dell’alfabeto ordinario, se ne poteva utilizzare uno specifico con delle lettere aggiuntive. Sebbene a una prima lettura i messaggi così cifrati possano sembrare incomprensibili, tale sistema non è tra i più sicuri. Già nel IX secolo il matematico arabo Al-Kindi aveva infatti scoperto che in ogni testo certe lettere appaiono più spesso di altre. Analizzando ad esempio uno scritto in italiano, si noterà che le lettere A ed E sono quelle più comuni; in un testo cifrato partendo da un messaggio in lingua italiana, la frequenza con cui appariranno i simboli cifrati corrispondenti a tali lettere sarà quindi la medesima di uno scritto in chiaro. Se il messaggio crittografato è sufficientemente lungo, attraverso l’analisi delle frequenze sarà quindi possibile, rivelando le lettere più frequenti, creare un punto di partenza per decifrarlo. Chi si è cimentato con certi quiz di enigmistica capisce bene di cosa si sta parlando: magari, con un po’ di fortuna, si trovano alcune di queste lettere ad alta frequenza in una parola molto breve, permettendo di indovinarla e di decifrare quindi anche qualche altra lettera. Da lì alla decrittazione completa il passo è breve.
I cifrari utilizzati da Maria Stuart appartenevano alla tipologia nota come “nomenclatore”; per rendere più difficile l’opera dei decifratori, i nomenclatori utilizzavano simboli aggiuntivi per sostituire intere parole. Ma Walsingham aveva un asso nella manica: Thomas Phelippes. Egli era un abile esperto di decrittazione, che conosceva bene questo tipo di codici e poteva decifrarli anche quando i messaggi presentavano modifiche ad hoc per renderli più sicuri. Queste sue abilità furono di fondamentale importanza per poter mettere in piedi le accuse contro Maria, coinvolgendola nella congiura che prenderà il nome di “complotto Babington”.
Il complotto Babington
Anthony Babington era un giovane nobile di fede cattolica, paggio della famiglia del conte di Shrewsbury nel periodo in cui quest’ultimo era carceriere di Maria Stuart. In questa fase della sua cattività l’ex regina era sorvegliata meno strettamente e poteva tenere contatti con l’esterno. Babington le fece da corriere, consegnando le sue missive e portandole quelle a lei indirizzate.
Tuttavia nel 1586 Maria fu affidata alla custodia di Amias Paulet, rigido puritano che la detestava e ne controllava rigorosamente la corrispondenza. Babington si trovò quindi nell’impossibilità di consegnare a Maria le lettere che riceveva, per evitare di comprometterla. In questo periodo ebbe l’idea di lasciare l’Inghilterra.
Cercando di ottenere una licenza per recarsi in Francia, Babington si fece ricevere da Robert Poley, persona che aveva buoni contatti politici. Costui si faceva passare per simpatizzante cattolico, ma in realtà era una spia di Walsingham. Lavorandosi il giovane, Poley ne conquistò la fiducia e fece in modo che non lasciasse l’Inghilterra.
Nel frattempo gli agenti di Walsingham avevano catturato un sospetto sovversivo, Gilbert Gifford, costringendolo a fare il doppio gioco. Egli prese contatto con Maria Stuart, ideando un sistema per inviare e ricevere corrispondenza di nascosto (inserendo le lettere nei tappi dei barilotti di birra), facendo però in modo che la stessa finisse anche nelle mani di Walsingham.
Babington, rimasto in contatto con i circoli cattolici, finì ben presto coinvolto in una congiura per spodestare Elisabetta. Poley ne venne a conoscenza e informò puntualmente Walsingham. Quando Babington scrisse a Maria, cercandone l’approvazione, la sua lettera venne subito intercettata.
La sorte della congiura era già segnata, ma Walsingham mirava più in alto; se Maria avesse risposto, dimostrando il suo coinvolgimento, egli avrebbe avuto finalmente il capo d’accusa contro di lei che attendeva da tempo. L’ex regina, che di solito non rispondeva mai a quel genere di lettere, stavolta commise un errore fatale. Rispose, facendo notare a Babington che se il complotto avesse avuto successo sarebbe stato necessario avere appoggio dall’estero, rimettendo poi alla sua coscienza la decisione sulla sorte da riservare a Elisabetta. La lettera finì ovviamente nelle mani di Walsingham, che ottenne quello che voleva, ma non è tutto; conoscendo perfettamente il cifrario, Phelippes manomise il messaggio senza destare sospetti, aggiungendo del testo alla risposta della regina. Si dà per certo che fui lui ad aggiungere la richiesta di conoscere i nomi dei congiurati, ma vi è pure il dubbio se le frasi dove Maria Stuart si espone di più fossero state anch’esse aggiunte dopo.
Walsingham così in un colpo solo sventò il complotto, arrestò i congiurati e ottenne il capo d’accusa che tanto cercava contro l’ex regina di Scozia.
Babington e gli altri tredici cospiratori furono processati e condannati a una pena terrificante: impiccati, sventrati e squartati, le loro membra vennero esposte pubblicamente in diverse zone di Londra; Maria Stuart, accusata di tradimento, fu anch’essa processata e decapitata l’anno seguente. Il regno di Elisabetta era finalmente al sicuro.
Questa vicenda storica dimostra come anche all’epoca, per quanto le informazioni non circolassero come oggi, fosse ugualmente importante utilizzare sistemi affidabili per proteggere le proprie comunicazioni. I congiurati (e Maria) erano certi che i loro messaggi in codice fossero sicuri, ma i nomenclatori, per quanto fossero molto utilizzati e spacciati per “indecifrabili”, erano pur sempre cifrari monoalfabetici, che avevano dimostrato più volte i loro limiti. Per quanto li si potesse rendere complicati, l’intero messaggio era cifrato secondo il medesimo schema e questo costituiva una grossa vulnerabilità.
Già nel 1467 Leone Battista Alberti aveva ideato dei cifrari a sostituzione polialfabetica, mentre nel 1585 Blaise de Vigenère creò un codice che sarebbe rimasto inviolabile fino al XIX secolo. Nel cifrario polialfabetico ogni parola viene cifrata utilizzando più alfabeti, vale a dire più sistemi differenti. In tal modo una stessa lettera in chiaro, che compare più volte nel testo, viene sostituita ogni volta da un carattere diverso, riducendo la vulnerabilità del codice all’analisi delle frequenze. Non sappiamo se l’utilizzo di un cifrario più avanzato da parte di Maria Stuart le avrebbe evitato la condanna, sicuramente però avrebbe reso meno semplice il lavoro di Phelippes.
Per approfondire:
Stephen AlfordThe Watchers – A Secret History of the Reign of Elizabeth I Penguin books, 2013 – GNOSIS Rivista italiana di intelligence https://gnosis.aisi.gov.it/Gnosis/Rivista36.nsf/servnavig/15