di Gennaro Malgieri da Sannio Matese Magazine del
In tempi di spiritualità approssimativa e confusa i riferimenti alle figure esemplari della religiosità occidentale sono quasi d’obbligo per chiarire, se non altro, che cosa significa oggi aprirsi al sacro, individuare il trascendente, vivere in una dimensione metafisica. La modernità, tra le altre cose, ha dissipato il patrimonio spirituale che per secoli è stato il fondamento della civiltà europea ed occidentale. Al punto che oggi ci si scopre fragili ed angosciati di fronte alle grandi domande che l’esistenza pone ed ai fini ultimi che l’uomo dovrebbe perseguire. La prevalenza del determinismo e della materialità sull’essenza metafisica della dimensione umana è la ragione del lungo lamento che, come lugubre colonna sonora, accompagna i nostri giorni tormentando le irriconoscibili anime le quali, come impaurite, cercano talvolta in false esperienze spirituali (la new age, per esempio) effimeri appagamenti alla fatica di esistere. E, non ultima, l’aggressiva penetrazione di altre metafisiche nel cuore del nostro mondo di occidentali disposti ad accogliere ogni cosa, ma pronti a respingere la loro stessa tradizione, ha reso irriconoscibile il rapporto delle nostre società con l’Essere; società che non mettono più al centro delle loro azioni la persona, ma il suo simulacro, vale a dire l’homo consumans, misura ormai di tutte le cose.
Eppure le figure esemplari evocate non mancano. Basta saperle riscoprire sotto la patina della distrazione e dell’indifferenza che da tempo immemorabile le ricopre. Quando Joseph Ratzinger, affacciandosi da Pontefice romano, alla Loggia centrale della Basilica di San Pietro e si fece riconoscere con il nome di Benedetto, il pensiero di tutti corse a San Benedetto da Norcia, il fondatore del monachesimo occidentale. Ed in tanti, forse tutti, si chiesero chi fosse quel mistico operoso che in tempi oscuri almeno quanto i nostri, fondò un grande monastero, diede vita ad un’ordine, contribuì al rinnovamento della Chiesa di Roma che viveva una delle stagioni più controverse della sua storia. Non molto, a dire la verità, si è scritto nel secolo passato su San Benedetto la cui opera è paradossalmente conosciuta maggiormente fuori dai confini italiani, in particolare in Germania ed in Austria, ma anche in Francia ed in Gran Bretagna, dove la spiritualità benedettina è stata assunta a fondamento di una religiosità particolarmente sentita al punto che il Santo, come si sa, venne proclamato “protettore d’Europa”. E con ragione, al di là dell’aspetto strettamente religioso.
Santo europeo, infatti, Benedetto lo è per aver informato il suo comportamento spirituale ad uno stile di vita proprio della tradizione continentale con la quale ha coniugato la sua Regola che ancora oggi è praticata in centinaia di monasteri in tutti il mondo, ma è vissuta come testo prescrittivo di un cammino religioso nella laicità. E’ questo che fa della scelta cenobitica di Benedetto un atto “rivoluzionario” rispetto al monachesimo del suo tempo che traeva dal romitaggio di tipo orientale l’imitazione ascetica. Si può essere con Dio nel mondo, sembra ricordarci San Benedetto e si deve essere nel mondo per Dio e per le creature che Egli ha generato: un’inversione, come si può notare, o, quanto meno, una diversa “apertura” al sacro rispetto al posteriore francescanesimo che della “nullificazione” della persona in quanto totalmente votata alla contemplazione fino alla scarnificazione di se stessa, aveva fatto l’abito morale e comportamentale.
Luigi Salvatorelli nel 1929 pubblicò San Benedetto e l’Italia del suo tempo per i tipi di Laterza, nella splendida e ricca collana “Studi religiosi, iniziatici ed esoterici”, che oggi lo stesso editore barese ripropone arricchita da una postfazione di Girolamo Arnaldi. Con quel saggio storico, che risentiva ancora di molte incertezze legate alla ricerca ed al difficile accesso alle fonti, Salvatorelli trasse il Santo di Norcia dall’oblio nel quale secoli di dimenticanza lo avevano relegato e rifacendosi, in particolare, alle pagine a lui dedicate dal suo più grande apologeta, Papa Gregorio Magno, per il quale non era soltanto un esempio di virtù ed un difensore della fede contro le molte storture alberganti nella chiesa del suo tempo, ma soprattutto l’innovatore della religiosità cristiana sul punto di essere “paganizzata” a puri fini politici.
L’Italia e ciò che rimaneva dell’Impero d’Occidente e d’Oriente, quando Benedetto nacque, probabilmente intorno al 500, erano i paradigmi della barbarie, mentre Roma moriva giorno dopo giorno sotto i colpi dei barbari che se ne erano appropriati. Il “giovane” cristianesimo non poteva non risentirne, ma trovò negli anacoreti, negli eremiti, nei cenobiti i suoi difensori più intransigenti che lo salvarono dagli abissi, facendosi testimoni di un piano divino, nei quali rischiava di sprofondare.
Il “cenobitismo radicale”, come lo definisce Salvatorelli, di Benedetto, che attrasse nella sua orbita moltitudini di uomini di Dio, si fondava su un “individualismo sociale” ed in questo stava la sua differenza con l’eremitismo e con quasi tutto il monachesimo precedente. Un individualismo che non escludeva, come si evince dalla Regola, l’obbedienza – uno dei tre voti dei benedettini, gli altri sono la povertà e la castità – che risulta essere profondamente diversa dall’assolutismo dello Stato e dell’Impero romano. La cura di San Benedetto era “cura di anime inferme, non tirannide su quelle sane”. Ed il potere dell’abate, osserva Salvatorelli, “non aveva altro scopo che il bene materiale e spirituale, la salvezza eterna dei suoi monaci, uno per uno”. Ed aggiunge, a conferma che la persona consacrata a Dio e al prossimo viveva la sua vita solamente in comunione con gli altri, che la vita benedettina, pur essendo integralmente cenobitica, si svolgeva nel monastero che “non costituiva nessun fine a sé, nessun ente trascendentale: il fine erano i monaci, tutti e singoli, e il monastero non era che il mezzo, il luogo della loro vita, l’officina in cui essi trovavano gli strumenti della propria santificazione individuale. Se fosse stato differentemente, quello di Benedetto sarebbe stato paganesimo e non cristianesimo”.
E’ così che il cenobio forma una famiglia, vale a dire qualcosa di stabile, di duraturo, cementata da un profondo sentimento di intimità spirituale e religiosa, nella quale la rinuncia ai beni materiali, se non quelli di sostentamento primario, è il corollario di una vita dedicata a Dio e soggetta alla Regola ed all’autorità dell’abate.
Lontano dalla decadenza delle città e delle corti, Benedetto da Montecassino irradiava spiritualità e cultura. Questo secondo aspetto non va trascurato. Dice Salvatorelli che il Santo richiedendo nel monastero una biblioteca e la familiarità con questa di tutti i monaci, anche di coloro versati in attività non propriamente letterarie, pose le condizioni dello sviluppo intellettuale del monachesimo a cui si deve il recupero della cultura classica e perfino di quella pagana nelle cui pieghe Benedetto leggeva il pensiero dell’unico Dio.
Nella storia d’Italia San Benedetto da Norcia occupa un posto di rilievo non soltanto nell’ambito religioso. Il suo tempo fu tempo di barbarie e di decadenza politica e civile; la corruzione dei costumi non aveva avuto uguali fino ad allora. Egli fuggì le devastazioni dello spirito, rinunciò alle dignità clericali, creò un tipo di comunità nuova che esercitò una forte attrazione sugli spiriti migliori e che fece crescere “libera e sola”. Taumaturgo, legislatore, organizzatore, San Benedetto seppellì il vecchio mondo per indicare la strada verso l’edificazione di quello nuovo.
Dopo di lui, il cristianesimo fu più forte, la Chiesa si radicò nella società italiana ed europea, il cenobitismo divenne rifugio spirituale e centro di apostolato, gli studi prodotti dai benedettini aprirono varchi alla conoscenza di grande importanza. Soprattutto dai monasteri di San Benedetto uscirono papi e santi quasi a far da corona all’uomo di Dio che testimoniò la sua umiltà rinunciando all’ordine sacerdotale: semplice asceta, ma dotato del carisma di un capo; il capo di quell’Occidente che sarebbe stato definito cristiano.