Luglio 1941. Malta. Nel tentativo di mettere a segno un colpo mortale agli inglesi, perde la vita Teseo Tesei, il “filosofo dei maiali”
di Paolo Mauri da il Giornale del 22 aprile 2021
“Occorre che tutto il mondo sappia che vi sono italiani che si recano a Malta nel modo più temerario; noi affonderemo qualche nave, oppure no… non ha molta importanza. Quel che importa è che si sia capaci di saltare in aria con il nostro apparecchio sotto l’occhio del nemico”. Queste parole di Teseo Tesei possono tranquillamente essere state le stesse pronunciate da un pilota kamikaze giapponese durante il conflitto nel Pacifico: del resto l’uomo aveva sempre dimostrato lo stesso animus pugnandi di un samurai.
Forse le parole del “papà” dei “maiali”, i mezzi d’assalto coi quali la nostra Marina Militare è passata alla storia durante il Secondo conflitto mondiale, vanno anche al di là dello spirito dei piloti suicidi: Tesei, qui, dimostra che l’eventuale fallimento della missione non ha alcuna importanza, mentre per i piloti nipponici morire per l’Imperatore senza aver colpito una nave nemica, sarebbe stato comunque un disonore. Quello che contava, per il maggiore del Genio Navale, era dimostrare al nemico lo spirito combattivo degli italiani, e dimostrarlo là dove si sentivano più sicuri: nella munitissima base navale di Malta, che in quel momento della guerra era diventata “la spina nel fianco” dei nostri convogli che rifornivano la Libia.
Siamo a luglio del 1941. La guerra per l’Italia è cominciata da più di un anno e in Libia è arrivata l’Afrikakorps da pochi mesi. Il generale Rommel, comandante del corpo di spedizione tedesco, era passato subito all’offensiva ed insieme alle truppe italiane aveva riguadagnato il terreno perso ma segnava il passo davanti alla piazzaforte di Tobruk, che cadde solamente quasi un anno dopo, il 21 giugno del 1942 dopo la battaglia di el-Gazala. Le linee marittime di rifornimento del fronte africano andavano protette dalle incursioni della flotta e dell’aviazione inglese, che potevano godere di un vantaggio tattico non indifferente: oltre ad avere l’iniziativa, potendo scegliere quando e come colpire i nostri convogli, gli inglesi avevano decrittato i codici tedeschi (e italiani) già da mesi (fattore cruciale per la tragedia di Capo Matapan), ed erano al corrente non solo di quando la nostra flotta prendeva il mare, ma anche dei suoi spostamenti e della sua consistenza. Da Malta, quindi, si muoveva il dispositivo aeronavale britannico per spezzare le nostre linee di rifornimento marittimo. Bisognava fare qualcosa, anche per il morale delle truppe italotedesche che vedevano l’isola resistere nonostante i bombardamenti della Regia Aeronautica coadiuvata dal X Fliegerkorps; bombardamenti peggiori anche di quelli su Londra messi in atto dalla Luftwaffe.
Supermarina, il comando della Regina Marina, decide di attaccare Malta il 26 luglio. Un’operazione che definire ardita è dire poco: la notte estiva del Mediterraneo è corta, il tragitto da fare è tanto, e bisogna oltrepassare difese tra le più munite che ci siano. Quella data viene scelta perché nel porto dell’isola sarebbe arrivato un convoglio, e quindi gli obiettivi sarebbero stati numerosi. Alla missione viene assegnato l’avviso scorta “Diana” (al comando del capitano di fregata Muro), due Mas, il 451 e il 452 comandati rispettivamente dal sottotenente di vascello Sciolette e dal tenente di vascello Parodi, un motoscafo con a bordo il capitano di corvetta Giobbe vicecomandante della X Flottiglia Mas. Ideatore dell’impresa il capitano di fregata Vittorio Moccagatta, anche lui a bordo del Mas 452. L’idea era di utilizzare forzare il porto di Malta con i barchini esplosivi – caricati sul “Diana” -, gli stessi che ebbero successo nella baia di Suda, a Creta, affondando l’incrociatore inglese York. Inizialmente non avrebbero dovuto essere utilizzati i Siluri a Lenta Corsa (Slc), i “maiali” di Tesei, ma il “papà” ottenne di partecipare alla missione coi due suoi “figli”.
Per facilitare il compito degli assaltatori, viene concordato di effettuare tre pesanti incursioni aeree notturne sull’isola: la prima all’1:45 su La Valletta, per costringere gli inglesi ad accendere le fotoelettriche e così facilitare l’avvicinamento al porto, la seconda, la più pesante, alle 2:30 e la terza , in coincidenza con l’attacco dei barchini, su Luqa alle 4:30.
Il “Diana” raggiunge, come da programma, il punto di messa in mare dei mezzi d’assalto – chiamato “punto C” – ma gli inglesi sanno del suo arrivo. Il radar di Mdina Rabat lo ha sugli schermi da mezz’ora. L’effetto sorpresa è ormai svanito. Gli inglesi hanno tutti i pezzi della batterie costiere puntati e attendono. Dopo aver scaricato il barchini l’avviso scorta si allontana, come previsto, e gli incursori si avvicinano, a lento moto, verso il porto.
Ad un certo punto due fotoelettriche si accendono puntando la luce verso il mare, ma da parte inglese non si spara nemmeno un colpo. Forse una tattica inglese per guastare la visione notturna degli incursori di Marina. La piccola flottiglia, composta da 8 barchini esplosivi e due maiali, si avvicina verso il punto convenuto per forzare il porto: il ponte di Sant’Elmo, scelto perché nell’imboccatura principale erano presenti ostruzioni che non potevano essere superate dai mezzi d’assalto.
Dal ponte pende una pesante rete di protezione, a sbarramento, che tocca il fondale che in quel punto è profondo 40 metri. È il momento di Tesei e di Costa. I “maiali” vengono messi in acqua, ma quello Costa resta appoppato e non si riesce a metterlo in assetto di navigazione. Viene abbandonato da Costa che si offre di fare da secondo a Tesei, ma questi rifiuta e procede da solo. Il “papà” dei maiali dice al suo collega “è troppo tardi, sono le 4:10, vado solo e faccio saltare la rete del ponte, deve saltare alle 4:30 precise, Salterà… te l’assicuro, se sarà tardi spoletterò al minuto”. Sono le ultime parole del maggiore Teseo Tesei. Cosa sia accaduto dopo non si sa, ma sappiamo che riesce a giungere allo sbarramento del ponte e a fissare la carica. Alle 4:25 viene udita un’esplosione, senza colonne d’acqua, probabilmente gli inglesi hanno sganciato una piccola carica di profondità.
Arrivano le 4:30. E passano. Nessun segnale. Alle 4:40 gli assaltatori vedono accendersi le fotoelettriche di una delle piste dei campi di aviazione: un aereo italiano aveva sorvolato La Valletta sganciando alcune bombe. Per il comandante Giobbe è il segnale, nonostante non sia sicuro che l’esplosione udita poco prima fosse quella della carica di Tesei.
“Frassetto in testa, poi Carabelli… vi lancerete. Se il passo è ancora chiuso, farete saltare l’ostruzione col barchino. Gli altri sei, con Bosio capofila, si infileranno sotto il ponte a qualche secondo di distanza. Ricordate la consegna: perché uno arrivi in porto, tutti, se necessario, dovete sacrificarvi per aprire il varco. In bocca al lupo!”. Questo l’ordine del capitano di corvetta ai suoi uomini.
Parte Frassetto che a cento metri dal ponte si sgancia dal barchino e accende una lampada per indicare la via agli altri. Il barchino non esplode. Tocca a Carabelli, ma gli inglesi, udito il rombo dei motori, sono pronti ad aprire il fuoco. Il barchino di Carabelli arriva sotto il ponte ed esplode contro l’arcata, portandosi via la vita dell’incursore.
La detonazione innesca le cariche del barchino di Frassetto e del Slc di Tesei. Ne scaturisce un’esplosione immane che fa crollare il ponte, ostruendo il passaggio definitivamente. La reazione inglese ormai è furente. Tutti i proiettori sono accesi e tutte le batterie aprono il fuoco. Bosio, il capofila, ordina di di invertire la rotta allargando a nord, ciascuno alla velocità che può. Ma quello che doveva essere un assalto di sorpresa si trasforma in una strage.
Gli inglesi colpiscono i barchini uno per uno. Intanto sale l’aurora ed entra in azione anche la Royal Air Force. Decollano i caccia che si gettano nella mischia mitragliando. Capriotti, di riserva col suo barchino, si finge ferito spingendo avanti verso il porto. Incontra per un caso il “maiale” di Costa che esplode senza raggiungere il bersaglio. Costa ed il suo gregario raggiungono la riva ed in seguito vengono fatti prigionieri dagli inglesi.
La mattanza però non è ancora terminata. Al largo, sui Mas, il CC Giobbe guarda sgomento quanto sta accadendo davanti ai suoi occhi. Decidono di ripiegare, inermi e impotenti, ma gli Hurricane inglesi sono sopra le loro teste. Il Mas 452 viene colpito per primo e si porta via il comandante Moccagatta, il capitano di corvetta Giobbe e altri 5 uomini dell’equipaggio insieme a Bruno Falcomatà, il medico della base che aveva voluto seguire ad ogni costo “i suoi ragazzi”. Gli otto superstiti del 452 riescono a raggiungere a nuoto il motoscafo e a ricongiungersi al “Diana”.
Il Mas 451 subisce la stessa sorte, ma almeno riesce, con le armi di bordo, ad abbattere un Hurricane: il comandante Sciolette e altri 9 uomini del suo equipaggio si gettano in mare e vengono raccolti poco dopo dagli inglesi usciti dal porto, inviolato, di La Valletta. La nostra caccia interviene con dieci caccia Macchi MC 200 “Saetta” ma si trovano impegnati da trenta Hurricane britannici: ne abbattono tre ma perdono due velivoli e ripiegano verso la loro base in Sicilia.
L’azione su Malta si conclude con una pioggia di Medaglie d’Oro al Valor Militare alla memoria. Perdono la vita in quindici, tra cui Tesei, l’ideatore dei Siluri a Lenta Corsa che avranno il loro più clamoroso successo pochi mesi dopo, quando il comandante Borghese progetterà l’assalto al porto di Alessandria d’Egitto, dove De la Penne, Bianchi, Marceglia, Schergat, Martellotta e Marino affonderanno due corazzate inglesi (la Hms Valiant e la Hms Queen Elizabeth) e una petroliera.
A Malta, i mezzi d’assalto non torneranno più, un po’ per l’esito infausto dell’azione (che aveva praticamente decimato la X Flottiglia Mas) un po’ per gli eventi bellici: la rottura del fronte da parte delle armate italotedesche e l’arretramento sino ad el-Alamein dei britannici, insieme all’esito della Battaglia di Mezzo Agosto (11-13/08/1942) avevano ridimensionato il ruolo di Malta. Gli inglesi, infatti, smettono di rifornire l’isola sino al 1943, quando le sorti della guerra ormai avevano cominciato a pendere dichiaratamente in loro favore.