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Per una storia dell’antifascismo /Il Manifesto, Rossanda e Acca Larentia

Si segnala agli storici del futuro un piccolo caso, dimenticato, che riguarda l’atteggiamento psicologico e morale di noti intellettuali progressisti e di non meno note testate giornalistiche di fronte alle tragedie degli anni di piombo e alle applicazioni pratiche del “doppio standard” nell’analisi giornalistica e storica su quegli anni e quei fatti. All’origine del caso qui in esame l’attentato di Acca Larentia del 7 gennaio 1978. Così lo ricorda Wikipedia: “Pluriomicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978, per opera di un gruppo armato afferente alla estrema sinistra, nel quale furono uccisi due giovani appartenenti al Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, assassinati davanti alla sede del Movimento Sociale Italiano in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. A tali fatti è strettamente legata la morte di un terzo attivista della destra sociale, Stefano Recchioni, ucciso qualche ora dopo negli scontri con le forze dell’ordine avvenuti durante una manifestazione di protesta organizzata sul luogo stesso dell’agguato. L’agguato, rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, contribuì a una degenerazione della violenza politica e dell’odio ideologico tra le opposte fazioni estremiste negli anni di piombo, oltre che al mantenimento di uno stato di tensione caratteristico della Prima Repubblica”.

Nel gennaio 2022 il giornalista e saggista Giancarlo Lehner, ex estremista di sinistra poi passato al socialismo e, in particolare, al “craxismo”, ha ricordato – in una lettera a “Il Giornale” – così quei giorni, nei quali era un collaboratore del quotidiano di estrema sinistra “Il Manifesto”: “Il 7 gennaio 1978, Roma, un poliziotto spara ad altezza d’uomo e ferisce alla testa il diciassettenne Stefano Recchioni, che muore due giorni dopo. Recchioni manifestava perché poche ore prima s’era verificata la strage di Acca Larentia: un commando di potere operaio aveva freddato a colpi di mitraglietta Scorpion Franco Bigonzetti, 18 anni, e Francesco Ciavatta, 20 anni, militanti del Fronte della Gioventù. Siccome il quotidiano comunista “Il Manifesto” si batteva da sempre contro l’uso delle armi da parte della polizia nel corso delle manifestazioni, io, da liberalsocialista, scrissi proprio per quel giornale un articolo, che esortava a condannare senz’altro, senza distinzioni tra manifestante comunista o neofascista, chiunque pensasse che l’ordine pubblico si preserva sparando alla testa dei diciassettenni. La redazione del “Manifesto” si spaccò in due: una parte riteneva giusto, per coerenza con la campagna contro l’uso delle armi, pubblicare il mio pezzo; l’altra, era contraria, visto che la vittima era militante del MSI. Per la decisione, si attese l’arrivo di Rossana Rossanda, la quale, letto l’articolo, ebbe uno scatto d’ira, lo stracciò e urlò che ammazzare un fascista non è mai da condannare. E aggiunse che io dovevo essere certamente un camerata travestito da socialista. L’articolo, perciò, non fu pubblicato, la qualcosa mi confermò il dovere morale, prima che politico, dell’anticomunismo”.

La cosa ovviamente fu ripresa dall’ex organo del Msi-Dn, il Secolo d’Italia, che arricchì il resoconto con qualche dettaglio e suscitò quella che forse è stata l’unica reazione alla rivelazione di Lehner: quella di un altro ex Manifesto, Andrea Colombo, il quale però ha limitato la sua difesa della Rossanda (1924-2020) alla semplice argomentazione – non decisiva direi – che “… chiunque abbia conosciuto Rossana può escludere che siano andate come le racconta Lehner. Rossana era composta, non stracciava pezzi, non urlava, non avrebbe mai affermato che chiunque ammazza un fascista fa bene. Se Lehner avesse detto che Rossana si era passata sulle labbra un filo di rossetto, ecco, in quel caso il racconto sarebbe stato credibile e il segno della sua irritazione, per chi la conosceva, definitivo”.

Mettiamo anche il caso che Lehner si sia inventato tutto (in una lettera nella apposita rubrica de Il Giornale?) e che Colombo abbia ragione in toto. Ma alzi la mano chi non trova “verosimile” il racconto di Lehner visto quello che si sa sul clima di quegli anni. E anche perché Colombo ha dimenticato di confutare l’altra affermazione grave fatta dal giornalista socialista e cioé che: “La redazione del “Manifesto” si spaccò in due: una parte riteneva giusto, per coerenza con la campagna contro l’uso delle armi, pubblicare il mio pezzo; l’altra, era contraria, visto che la vittima era militante del MSI“.

Comunque, buon lavoro agli storici del futuro…

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