Caro Dago, esprimiamo le nostre condoglianze alla famiglia e ai suoi vecchi compagni per la scomparsa di Pietro Ingrao, una delle personalità più significative della politica italiana del Novecento. Gli elogi, come accade in queste circostanze, sono doverosamente una cascata fiorita. Eppure, sempre distinguendo il giudizio sulla coscienza della persona e i suoi atti, c’è un esercizio di smemoratezza gravissimo.
Lettera di Renato Brunetta a Dagospia del 28 settembre 2015
Noi non abbiamo il diritto di dimenticare. Non abbiamo il diritto di occultare nella fossa comune dell’oblio i volti e i nomi-senza-nome delle vittime che il comunista Ingrao contribuì a liquidare. Lo fece asservendosi allo stalinismo da direttore dell’Unità e poi invocando, con il suo editorialista di punta, Giorgio Napolitano, lo schiacciamento coi carri armati della ribellione democratica di Budapest in nome della pace (sic!).
Oggi è uscita sulla Stampa una brillante intervista dedicata a Ingrao del Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano. Quando accenna a periodi critici, non parla di stalinismo, di benedizione degli assassini, anzi dell’incoraggiamento a perpetrarli, ma dei travagli del dopo Togliatti. “La più aspra polemica fu per l’XI Congresso nel 1966, due anni dopo la morte di Togliatti”.
Ah sì? E non avete discusso, magari litigato un attimino sulla sorte di Imre Nagy, impiccato con il voto favorevole di Togliatti? La critica più dura di Napolitano all’Ingrao di quei tempi? “Una certa tendenza schematica nell’analisi”. Ricorrono i nomi che li hanno accomunati. No, Stalin non c’è, e neppure Zdanov o Berija, o Ponomariov, figuriamoci. Ma gli incolpevoli Montale, Ungaretti e Quasimodo. Ma certo, la tragedia immane del comunismo, il suo carico immenso di morti, che dall’Italia ha avuto l’accompagnamento con il flauto di Ingrao e Napolitano, è sistemato nella pozza delle cose da dimenticare, mentre che bello parlare di poeti, peraltro nessuno comunista, ovvio, tanto vale ripulirsi nei versi di Montale.
Ci rendiamo conto di essere sgradevoli. Ma non abbiamo il diritto di dimenticare. Non è giusto proprio per Ingrao, che pure alla fine della sua vita si è misurato con errori ed orrori, accostandosi alla religione. Napolitano si accomuna a Ingrao, attribuisce a lui e a se stesso “un forte retroterra culturale e ideale”, lo taccia di “uomo di assoluta limpidezza morale, non ha mai combattuto battaglie per interessi o ambizioni personali”. Certo, solo per il comunismo.
Non per sé, ma per il comunismo. È stata una limpidezza morale dedicata a quella mostruosa macchina ideologica che ha ammazzato 120 milioni di persone. Il comunismo è stato questo, ed è scandaloso che, nelle pagine dei quotidiani di oggi e nei ricordi televisivi encomiastici di uno dei suoi protagonisti italiani, questo spaventoso macello e i suoi capi siano trattati all’ombra di albicocchi in fiore, o di delicati crisantemi.
Condoglianze per il defunto di cui non osiamo giudicare la coscienza, ma occasione per milioni di condoglianze che nessuno oggi ha fatto alle vittime del sogno di Ingrao e Napolitano.