HomeStoria militareL'inizio del conto alla rovescia: il Reich sul fronte russo, 1943

L’inizio del conto alla rovescia: il Reich sul fronte russo, 1943

Prokohrovka 12 luglio 1943: la battaglia di Kursk arriva al suo culmine e, nello stesso tempo, al suo epilogo. Le divisioni corazzate tedesche 1 SS Panzer Division, Leibstandarte SS Adolph Hitler, Das Reich e 3 SS Totenkopf, con 204 carri di cui 20 Tigre I, si scontrano con i russi della 5 Armata Corazzata della Guardia, muniti di 800 carri e 50 semoventi di artiglieria, in uno scontro dalle proporzioni titaniche. I russi, anche a costo di notevoli perdite, cercarono di “serrare le distanze” il più possibile con i carri nemici per eliminare i vantaggi che dava loro il cannone a canna lunga di cui erano dotati, manovrando a velocità elevata per non cadere vittime del fuoco nemico anche se ciò rendeva più complicato traguardare gli obiettivi, alla fine comunque i russi conseguirono una bella e completa vittoria, dopo soli 6 mesi da quella di Stalingrado.

di Riccardo De Rosa per www.storiainrete.com

Le perdite furono gravissime per entrambe le parti: i tedeschi lasciarono sul campo 220 aerei d’appoggio, i russi 470 (lusso che si potevano permettere grazie ai continui rinforzi angloamericani), oltre a 700 carri distrutti o gravemente danneggiati, compresi quasi tutti i Tigre.
I danni subiti dai tedeschi furono peggiorati dal fatto che i carri danneggiati, non poterono essere riparati e riutilizzati, problema che avrebbe arrecato loro grossi problemi e un costante calo di mezzi tanto aerei che di terra, mentre i russi, che da quel momento furono quasi sempre padroni del campo di battaglia, riuscivano a riparare i propri e rimetterli in uso con molta più facilità.
Abbiamo scelto non casualmente questa data, dato che è con la rabbiosa e tenace offensiva russa delle settimane seguenti che la Wermacht inizia a trovarsi seriamente nei guai, molto più che dopo la resa di Stalingrado (che era stata controbilanciata dalla pesante sconfitta che Von Manstein inflisse ai russi nel marzo 1943, forse l’ultima, reale vittoria germanica sul fronte orientale), incalzata sin dentro la Germania senza tregua, che segnò il vero cambiamento strategico e politico dell’ultima fase del conflitto.

Truppe russe all’assalto

I motivi di questa situazione sono parecchi: la folle testardaggine di Hitler di non voler cedere nemmeno un metro di terreno; l’eccessiva arrendevolezza dell’OKW alle sempre più pressanti intromissioni; l’acuirsi dei bombardamenti sulla Germania; lo sbarco alleato in Sicilia del 10 luglio; le difficoltà dell’industria tedesca che, nonostante il supporto di migliaia di deportati schiavizzati, non riusciva a soddisfare le sempre più incalzanti richieste di nuovi cannoni, aerei, carri armati in sostituzione di quelli persi in battaglia; la penuria di materie prime, reso ancora più drammatico, a partire dall’agosto 1943, dalla defezione della Romania e dalla perdita dei pozzi petroliferi di Ploesti. Da quel momento ai tedeschi non rimaneva altro che magre riserve e il carbone sintetico, o synfuel, estratto a prezzi proibitivi dalle miniere della Ruhr.
Inoltre i comandanti russi, soprattutto dopo Stalingrado, avevano imparato molto dai disastri e dai loro enormi errori degli anni ‘41-‘43: ora hanno maggiori capacità ed esperienza e Stalin ripone molta fiducia nei suoi “astri nascenti” Zukov, Koniev, Rokossovsky, Ribalko ed altri, che sanno infondere fiducia e sicurezza negli ufficiali e nelle truppe loro subordinati, portandoli a combattere con slancio, durezza e abnegazione.

Himmler esamina un T34 di preda bellica impiegato da una divisione corazzata SS nell’aprile 1943

Già nell’agosto 1943 i sovietici sono in piena offensiva, schierando un apparato di uomini e mezzi enorme e mettendo a dura prova le difese tedesche nella zona Orel – Kharkov, grazie alla minuziosa e ben riuscita opera di contro intelligence posta in essere prima del luglio, che depistò completamente Hitler e i suoi generali, che si aspettavano una reazione e un apparato difensivo russo molto meno forte di quello schierato a Orel Kursk: la capacità di resistenza russa e la determinazione di ogni combattente, dal semplice soldato al generale, fu una sgraditissima sorpresa per i tedeschi, che dovettero tornare sulle posizioni di partenza dopo aver subito perdite gravissime e, ciò che forse è anche peggio, non più reintegrabili.

Lo scontro per liberare Kharkov, che la storiografia russa ha denominato Quarta Battaglia di Kharkov, va dal 3 al 23 agosto, azione in cui i tedeschi impegnarono il meglio delle loro truppe, cioè la IV Armata Corazzata ed il Distaccamento Kempff (uno dei tanti gruppi da combattimento multiruolo e multiarma di cui i germanici erano veri maestri), inoltre Von Manstein, facendosi forte del proprio prestigio, riuscì a strappare a Hitler il permesso di adoperare anche la SS GrossDeutschland, per un complessivo di 500 carri, che lanciò in una serie di contrattacchi che, almeno nei primi giorni, se non annullarono almeno parvero contenere l’estrema aggressività russa.
I russi furono più volte minacciati seriamente, subendo perdite consistenti, ma per ogni fante ucciso o carro distrutto, almeno due ne prendevano il posto.

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I comandanti sul campo, sgomenti, si chiedevano come facessero i russi ad avere un tale numero di uomini e mezzi: la risposta è semplice, nel luglio i russi avevano tenuto a disposizione per difendere il terreno dall’offensiva germanica lo stretto necessario di truppe, il grosso era in retrovia, in attesa di dare ai tedeschi una sonora raffica di batoste, dopo che si fossero dissanguati ben bene davanti a Kharkov, come in effetti avvenne.
Nonostante l’impegno e la tenacia delle divisioni in difesa, Kharkov cadde il 23 agosto, per i tedeschi iniziava la lenta ritirata, che, salvo poche altre limitate vittorie tattiche, si sarebbe conclusa un anno e mezzo dopo, tra le fumanti rovine di Berlino.

I germanici si trovarono a dover fronteggiare forze 4–5 volte superiori alle loro e, durante la ritirata, spesso dovettero ridursi a tendere vere e proprie imboscate alle colonne corazzate nemiche di punta, per tentare di rallentarle il più possibile, e in ciò ottennero buoni risultati.
Tra la fine di settembre e il dicembre 1943 si svolse la battaglia per il possesso del Basso Dniepr. Anche in questo caso i tedeschi si batterono bene, causando ai russi perdite enormi, stimate in 173.000 morti, 2.600 mezzi corazzati e semoventi distrutti, più di 400 aerei abbattuti, purtroppo per i tedeschi Hitler aveva imposto la sua catastrofica filosofia del “non cedere un palmo di terreno”, aumentando così a dismisura le perdite che invece, con una tattica più duttile ed elastica, sarebbero state più contenute, consentendo alla Wehrmacht di affrontare i russi con molte più chances.
Alla fine le truppe naziste si dovettero ritirare, causando non solo la caduta in mano sovietica di quasi tutto il territorio lungo il corso centro-meridionale del fiume, ma anche l’isolamento delle forze tedesche in Crimea, che resistettero, assieme a un contingente di rumeni, con notevole valore di fronte alla schiacciante superiorità nemica, in una battaglia di logoramento che durò dall’8 aprile al 12 maggio 1944. Tutti gli sforzi furono vani: il 12 aprile cadeva Sinferopoli, il 9 maggio Sebastopoli, a quel punto i superstiti nuclei tedesco-rumeni iniziarono ad arrendersi in massa. Le perdite furono considerevoli: tra morti e dispersi restarono sul campo 65.000 tedeschi, 25.800 rumeni, i russi morti e dispersi furono 17754, quelli feriti 67.000.

Intanto, tra le fila tedesche iniziarono a serpeggiare sentimenti se non proprio di ostilità, almeno di forte sfiducia nei confronti della direzione strategica delle operazioni militari da parte di Hitler e dei suoi yesmen Keitel e Jodl, proni servi che non contraddissero mai il loro padrone e signore, pur avendo la strumentazione tecnica necessaria per rendersi conto dell’abisso verso cui correvano e verso il quale portavano l’intero popolo tedesco e, soprattutto, coloro che rischiavano la vita al fronte.
Le condizioni di vita di truppa, sottufficiali e di molti ufficiali subalterni dopo Kharkov erano nettamente peggiorate. I casi di diserzione, ferite auto inflitte, tentativi di corruzione di medici per ottenere certificati “compiacenti” divennero sempre più frequenti: inoltre per le truppe e i sottufficiali le condizioni igienico–sanitarie al fronte erano sempre più precarie, l’arrivo della posta di casa sempre più un miraggio, i generi di conforto –caffè, liquori, cioccolata e altro– sempre più scarsi e razionati, in contrapposizione al trattamento privilegiato riservato agli alti ufficiali e raccomandati del partito nazista, come potevano verificare ogni giorno.
Sino all’offensiva del luglio il morale tra le forze tedesche si era mantenuto piuttosto alto, mentre ebbe un crollo verticale tra agosto e dicembre, e reati come insubordinazione, diserzione e disfattismo si fecero sempre più frequenti anche tra i sottufficiali, per tradizione spina dorsale dell’esercito tedesco, con evidenti fenomeni di disgregazione di alcune unità minori al fronte.
Alcuni dati sulle corti marziali di tre divisioni tedesche piuttosto prestigiose, cioè la 18ma divisione corazzata, la Gross Deutschland e la 12ma di fanteria, chiariranno meglio la tragicità della situazione:

– nel primo caso, nel periodo 1° aprile – 30 settembre 1943, ci furono 1.079 condanne, di cui 38 per diserzione, 29 per insubordinazione, 19 per diserzione;
– nel secondo, nello stesso intervallo di tempo, abbiamo 644 condanne, di cui 20 per diserzione, 22 per assenza senza permesso, 4 per codardia, 4 per automutilazione, 16 per insubordinazione;
– nel terzo, sempre considerando lo stesso periodo, 703 condanne, di cui 16 per diserzione, 18 per codardia, 103 per insubordinazione, 35 per automutilazione.
La situazione si fece così critica che il comando di divisione della 18ma fu costretto ad emettere nel dicembre ‘43 un ordine di servizio in cui si legge:
E’ accaduto che intere compagnie, nell’udire il grido «carri nemici» siano saltate sui veicoli e fuggite in disordine[…] Mi attendo che gli ufficiali facciano ricorso senza scrupoli a tutti i mezzi contro chi suscita panico abbandona i propri compagni in difficoltà e, se necessario, facciano uso delle armi.
Questo tipo di documento nell’ultima fase del conflitto diventò sempre più frequente. Dopotutto, i lunghi anni di guerra in URSS, l’enorme sforzo emozionale, fisico e mentale imposto alle truppe ebbero un ruolo decisivo e non solo per il confronto con l’Armata Rossa: crebbero infatti gli episodi di brutalità, spesso del tutto gratuita, commessi sulla popolazione civile, commessi non dalle SS, ma dalla Wehrmacht.

Soldati tedeschi in mimetizzazione invernale, 1944

Un esempio di ciò è ravvisabile in quanto accaduto durante la battaglia della sacca di Cerkasy, tra il gennaio e la fine di febbraio 1944, quando i russi riuscirono a circondare 6 divisioni tedesche. Il freddo, la consapevolezza dell’imminente annientamento, il continuo ed efficace bombardamento dei russi che rendeva impossibile lo spostamento di uomini e reparti alla luce del giorno, resero più frequenti gli episodi di disgregazione morale e operativa di singoli reparti, nonostante che tra le truppe accerchiate vi fossero reparti rinomati per il loro fanatismo e spietatezza come la brigata SS Wallonien (composta di volontari belgi al comando di Leon Degrelle, autorità indiscussa del fascismo belga) e la SS Panzerdivision Viking.
Malgrado gli attacchi tedeschi per consentire ai compagni di uscire dalla sacca, i russi ne annientarono 19.000 su un totale di 56.000 (per le fonti sovietiche invece i tedeschi uccisi o catturati sarebbero 55.000), inoltre i superstiti, per sfuggire alla presa nemica, abbandonarono le armi pesanti, il parco artiglieria e i carri armati.

Stesse scene si videro nel corso dell’offensiva russa contro la linea difensiva Uman – Botosani, che consentì non solo all’Armata Rossa di giungere ai confini rumeni, ma anche di estromettere i germanici da quasi tutta l’Ucraina (Kiev era stata rioccupata già nel novembre ‘43). Con un’unica carica di corazzati i russi furono in grado, dopo uno sbarramento d’artiglieria durato quasi tre ore, di scagliare addosso al nemico quasi 2000 tra carri armati e semoventi, oltre alla fanteria, un’ondata che un giovane sergente tedesco, nel suo diario, definì ciclopica, furibonda, inarrestabile.
Tra aprile e maggio i russi si concentrarono sulla Crimea, preferendo i comandanti Zukov e Konev finire di annientare i contingenti nemici ancora presenti, così i tedeschi dei Gruppi Armate Nord e Centro ebbero, dopo quasi 8 mesi di feroci e ininterrotti combattimenti, un po’ di respiro.
Tuttavia Hitler, stratega dilettante e responsabile dei peggiori disastri tedeschi, si impuntò illudendosi, contro il parere dei suoi generali, che la spinta russa contro il Gruppo Centro si fosse esaurita, e spostò quasi tutte le divisioni panzer a quello Nord.

I russi, invece, puntavano proprio contro il più debole, come sarebbe stato agevole immaginare, schierando in campo una superiorità di 5 a 1: 14 armate di fanteria, 4 aeree, 118 divisioni di fucilieri, 2 corpi corazzati per un totale di 24.000 cannoni e mortai e 4.000 tra carri e semoventi, e 5.300 aerei che il 22 giugno 1944, dando inizio all’Operazione Bagration, si scagliarono contro l divisioni di fanteria tedesche demoralizzate e stanche, appoggiate dalla sola 20ma divisione panzer, e con organici ridotti (i tedeschi schieravano appena 550 carri armati, di cui 450 erano però cannoni semoventi e poche squadriglie aeree).
Il crollo del fronte fu totale: il 17 luglio 100000 prigionieri tedeschi subirono l’umiliazione di sfilare per le vie di Mosca, quella stessa città che la roboante macchina propagandistica nazista aveva tante volte promesso loro di vedere da vincitori. L’esercito di Hitler aveva inoltre perso 450.000 uomini, quasi tutti i carri, cannoni e aerei e molti depositi di materiale bellico.
I pochi alleati rimasti a Hitler iniziarono a farsi seriamente i loro conti: a fine estate la Romania aveva già girato i cannoni contro gli ex alleati, nel novembre in Finlandia Mannerheim firmò la pace con l’Urss, in settembre la prima pattuglia di fanteria russa aveva passato la vecchia frontiera con la Polonia.
Per la Germania hitleriana le campane cominciarono a suonare a morto.

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