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La via USA e quella europea all'annullamento del passato

Negli Usa e in Inghilterra il politicamente corretto colpisce classici della letteratura e feste come il Columbus day perché è sempre più difficile percepire la distanza tra il presente e il passato: ogni epoca è valutata su valori contemporanei. In Italia c’è invece l’eccesso opposto: il culto degli anniversari
di Giovanni Belardelli dal Corriere della Sera del 10 dicembre 2016
In un distretto scolastico della Virginia, informava il Washington Post all’inizio di dicembre, si sta esaminando la possibilità di vietare la lettura di Huckleberry Finn di Mark Twain e del Buio oltre la siepe di Harper Lee, perché entrambi — secondo le proteste di un genitore — usano frequentemente la parola «negro». Si noti, ciò che viene imputato ai due libri non è di veicolare un’ideologia razzista (è vero semmai il contrario), bensì il fatto di impiegare una parola che viene utilizzata da personaggi dei due romanzi. Da Stati Uniti e Gran Bretagna ci giungono costantemente notizie di episodi analoghi, che spesso si verificano all’interno di istituzioni culturali prestigiose.
All’inizio dell’anno a Oxford si sono svolte manifestazioni studentesche che chiedevano di abbattere la statua di Cecil Rhodes, campeggiante sulla facciata dell’Oriel College: l’effigie di uno dei grandi finanziatori di quell’università, ma anche protagonista dell’espansione britannica in Africa, andava considerata non come una testimonianza storica ma come un’apologia del colonialismo. L’estate scorsa, a Yale, un gruppo di studenti ha fatto circolare una petizione che chiedeva la soppressione del corso sui grandi poeti inglesi perché costringe a leggere «solo autori maschi bianchi», ignorando i contributi letterari «di donne, gente di colore e galassia queer». Sempre negli Usa si continua a discutere dell’abolizione del Columbus Day; la giornata del 13 ottobre peraltro è stata già cancellata in molti Stati perché il suo protagonista viene considerato non come lo scopritore dell’America, bensì come il primo responsabile del genocidio delle popolazioni indigene del continente.
Ad accomunare episodi come quelli appena citati sta evidentemente la difficoltà sempre maggiore a percepire la distanza tra il presente e il passato; con un vero e proprio cortocircuito per cui ogni epoca storica è ormai valutata sulla base delle nostre idee e dei nostri valori e non delle idee e dei valori dei contemporanei. Ciò ha esiti evidentemente paradossali, come quello di considerare Cristoforo Colombo alla stregua di Adolf Hitler. Ma possiamo limitarci a sorridere, di fronte a queste testimonianze della perdita della dimensione storica, considerandole una peculiarità del mondo anglosassone? Certe proteste, come quella di Yale contro i «poeti bianchi», nascono anche dal carattere multietnico della società americana, dalla presenza di una componente di essa che ha effettivamente difficoltà anche solo a leggere come i neri erano trattati fino a non molto tempo fa. Cose analoghe valgono probabilmente per luoghi non meno multietnici come le università inglesi: lo studente che diede il via al movimento «Rhodes must fall» (Rhodes, cioè la sua statua, deve cadere) era del resto di colore.
Proprio questo fatto deve indurci a ritenere che l’Europa continentale, che per solito guarda quasi divertita a episodi come quelli riportati, non possa considerarsi del tutto immunizzata. Pensiamo alle discussioni su come si debba insegnare l’esperienza coloniale, che hanno diviso l’opinione pubblica francese negli ultimi anni; discussioni che, con il crescere di un’immigrazione non europea, potrebbero manifestarsi anche altrove. Ma in Italia e in altri Paesi europei l’appiattimento del passato sul presente, dunque l’appannarsi della dimensione storica, sembrano seguire un’altra via. Per quanto possa apparire a prima vista paradossale, questa via ha a che fare con quel culto della memoria che da almeno un paio di decenni sembra ossessionare le democrazie contemporanee. L’insistenza sul dovere della memoria, sancito da una nutrita serie di date celebrative, potrebbe sembrare un modo per ripristinare quel rapporto con il passato che oggi si è fatto, per varie ragioni, difficile. Ma non è così. Infatti il passato che siamo tenuti a non abbandonare all’oblio — lo ha osservato Alain Finkielkraut — «è un passato semplicemente inassumibile». Dopo la Shoah — vertice del «secolo degli stermini» — ci viene chiesto di ricordare il nostro passato ma soltanto per condannarlo. Che si tratti dello sterminio degli ebrei, del colonialismo, del genocidio degli armeni o delle foibe, sono sempre gli orrori che vanno ricordati.
È una via diversa da quella anglosassone, questa, ma che rischia di portare a risultati analoghi: a un annullamento del passato, letto tutto alla luce degli obblighi e delle ingiunzioni del presente.

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