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"La nostra bandiera non è politica, ma cultura"

Identità, nazionalismi, fondamentalismi, vecchi imperi, piccole Patrie, «Europa». È attorno a queste parole che il mondo si sta giocando la partita. Bandiere simboliche e fisiche che Marcello Veneziani, politologo lucido e italiano appassionato, agita da parecchio tempo nei suoi libri, nei suoi interventi pubblici, nelle sue conversazioni «private», come con il Giornale.
di Luigi Mascheroni dal Giornale del 2 ottobre 2016 il Giornale, ultime notizie
Marcello Veneziani: la bandiera non è solo un pezzo di stoffa. Cos’è?
«La bandiera è il riassunto simbolico e cromatico di un’appartenenza, di una provenienza e di una comune radice».
Bandiera uguale Patria. Cos’è la Patria oggi?
«La Patria è innanzitutto il legame originario con un luogo che avvertiamo come materno e paterno al tempo stesso. Paterno perché richiama a certi compiti e doveri fondamentali, materno perché evoca la linfa delle origini, i primi passi, il rapporto profondo con una terra che è pure una casa comune».
Bandiera uguale nazionalismo. I nazionalismi stanno montando in Europa e nel mondo?
«Abbiamo visto il grande declino dei nazionalismi dalla metà del secolo scorso, il Novecento, e poi sono andati lentamente spegnendosi. Oggi vediamo un riacutizzarsi dei nazionalismi come reazione e difesa alla minaccia che arriva da due processi ben precisi: uno che arriva dall’alto, ed è la globalizzazione del mercato, delle merci e dell’economia e dei poteri transnazionali; e uno che arriva dal basso ed è quello dell’afflusso di migranti e diseredati, i dannati della terra come li ha chiamati Frantz Fanon, che cercano nuovi spazi vitali. I nazionalismi sorgono perché qualcuno si sente schiacciato da una nuova forza emergente».
Bandiere uguale identità. Quali sono i valori che accomunano un popolo o una terra?
«Credo che prima ancora che dagli stessi valori, un popolo sia accomunato da una precisa concezione del mondo: cioè la convinzione che nascere in un luogo non sia frutto del caso ma un segno del destino. Chi percepisce questo tipo di appartenenza a un luogo che avverte come un destino è indotto ad attribuire un’importanza centrale al suo legame comunitario con la propria Patria, con la comunità originaria. Altro elemento identitario-chiave è il senso del confine: il senso del limite e della misura, la consapevolezza che un’identità ha bisogno di un contorno per delinearsi, sia a livello di nazioni che di Stati, sia a livello individuale che di popolo. Anche se oggi si pensa il contrario, la politica sorge sul confine delle identità e delle differenze».
Bandiera – penso al vessillo nero dell’Isis uguale fondamentalismi religiosi: quando l’identità è pericolosa?
«Quando è giocata contro gli altri. Quando non è un puro riconoscimento della propria identità, ma un processo invasivo per cui la mia identità discende da un principio superiore, da un Dio, in nome del quale posso compiere qualsiasi azione. Il fanatismo, con i crimini che ne derivano, è una distorsione del senso religioso e del senso patrio».
Anche l’Internazionalismo può avere una bandiera: come quella rossa dell’Unione sovietica e del comunismo.
«Quella è una bandiera che ha una connotazione ideologica più che territoriale. Che ha acquisito anche una connotazione di classe, ed è diventata la bandiera del proletariato, degli sfruttati. Anche qui c’è una forte simbologia non legata a una Patria, ma al suo rovescio. Ma quando l’internazionalismo va al potere, si capovolge in statalismo, nazionalismo e imperialismo. Si pensi all’Unione Sovietica».
Tu hai scritto: «L’Italia è il racconto in cui sono nato. L’Italia è la lingua che parlo, il paesaggio che mi nutre, dove sono i miei morti. L’Italia sono le sue piazze, le sue chiese, le sue opere d’arte, chi la onorò. L’Italia è la sua storia, figlia di due civiltà, romana e cristiana». Cos’è l’Italia per te?
«Quest’anno ho dedicato un tour di 75 serate italiane all’amore per l’Italia: un viaggio ironico, sentimentale e civile nella nostra identità partendo proprio dal Tricolore. Che cos’è per me l’Italia? Quel che hai citato. È il racconto in cui sono nato, il mito che si è fatto terra, storia, tradizione, arte, letteratura, linguaggio soprattutto. È un riferimento simbolico prima che reale, spirituale prima che carnale. Io concepisco l’Italia non semplicemente come una nazione ma come una civiltà, anche perché la considero non una nazione politica ma culturale. Da noi è nata prima la lingua e la letteratura, l’arte e lo stile italiano e solo dopo, molto dopo, è diventata Stato o nazione. L’Italia è una nazione culturale prima che una nazione politica nata attorno a una dinastia e attraverso guerre sanguinose. E questo fa dell’Italia un Paese speciale, anomalo se vuoi, con una spiccata italianità e un debole senso dello Stato».
E l’Europa? Che cos’è?
«Innanzitutto è una civiltà figlia di tre radici: la polis e il pensiero greco, l’Impero e la lex romana, la civiltà e la religione cristiana. L’Europa nasce così. E solo dopo diventa un’entità politica o storica, da concepire nella sua ricca diversità. E solo dopo ancora può diventare un’identità economica. Il problema è che noi nel fare questa Europa siamo partiti dalla fine. Come dicevano i latini, in cauda venenum, nella coda c’è il veleno…».
Cosa pensi della Brexit? E noi italiani, è meglio che ci stiamo in questa Europa o no?
«La Brexit? Diciamo che se fossi inglese l’avrei caldeggiata. Gli effetti traumatici paventati, come abbiamo visto tutti, si sono rivelati infondati, anzi c’è stata una rifioritura dell’Inghilterra. Che peraltro, bisogna dirlo, era già con un piede fuori dall’Europa perché non ha avuto l’euro. E poi ricordiamoci che l’Inghilterra ha una vocazione naturale alla brexit. Lo scisma anglicano, cinque secoli fa, separò la chiesa d’Inghilterra da quella di Roma, fu la prima brexit… Però il caso italiano è diverso. Sono piuttosto prudente nel perorare la causa della nostra uscita dall’Europa. Semmai sono per rifare l’Europa, più che disfarla. Alla fine, pur con tutte le riserve possibili e le crisi di rigetto quotidiane, ci resto dentro. Anche se l’idea che ho dell’Europa non coincide per nulla con questa Europa. E se dovesse sciogliersi ce ne faremmo una ragione…».
La triade Dio-patria-famiglia è lentamente tramontata nel corso del Novecento, ed è esplosa, frantumandosi, nella cosiddetta post-modernità. La crisi generale che ci ha investiti crisi di valori, culturale, politica, economica c’entra qualcosa con la crisi di quella triade?
«Certo che sì. C’è un nesso assoluto, diretto ed evidente. La crisi di questi tre valori significa la perdita del senso del limite. Dio patria e famiglia erano già dei confini che venivano posti al nostro egoismo, al nostro individualismo, alla nostra volontà personale… Ci ponevano in relazione con gli altri, a partire da chi è più vicino, e con un cielo e una terra. Togli dall’orizzonte quella triade, abbatti quei principî-cardine, e subito nasce l’egolatria, e l’individuo si ritrova in balìa di un mondo sconfinato, cioè senza confini, senza limiti e senza principî. Dove domina la legge del più forte e soprattutto il relativismo, padre di tutte le tirannidi. Anche economiche…».
Il vizio principale della politica, da qualche tempo, da certo berlusconismo attraverso i girotondi fino a Beppe Grillo, si dice sia il populismo. Qual è la bandiera del populismo, cioè quali sono i valori, le parole d’ordine, i programmi, se ci sono, del populismo?
«Attenzione, il populismo ha una sacrosanta ragione di esistere quando le democrazie e le sovranità nazionali, popolari e politiche sono calpestate. È inevitabile, ed è anche giusto, che le ragioni del popolo si leghino a movimenti nazional-popolari. Il problema è però che le risposte che dà il populismo non sono risolutive, spesso sono scorciatoie, niente più. E poi nei populismi l’elemento distruttivo – la paura del nemico, l’odio, lo scontro – prevale sul momento positivo. È molto difficile che un movimento populista sappia costruire un progetto in cui il popolo sia davvero al centro delle preoccupazioni di chi governa. E poi le élite senza popolo diventano oligarchie, chiuse nei propri interessi privati. Ma anche i popoli senza classi dirigenti sono solo plebi che procedono per umori, emozioni e impulsi primitivi. Pronte ad affidarsi a tiranni o istrioni più che a veri statisti e leader lungimiranti».
Si dice che ognuno abbia nel cuore una bandiera. La tua qual è?
«Diciamo che ho una simbologia personale molto variegata… Ma nell’ambito delle bandiere, il mio riferimento principale resta il Tricolore. Da uomo del Sud non sono un apologeta acritico del processo risorgimentale. Ne conosco bene gli orrori e gli errori. Ma so che quel processo era necessario e che l’Italia aveva bisogno di sintetizzarsi in una nazione. Che è la mia nazione, naturale, culturale e civile. Così come la bandiera tricolore è la bandiera della nostra lingua, della nostra cultura e della nostra civiltà. Italiana».

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