Un atto notarile, un nome in comune e un romanzo a “integrare le lacune”. Questi sono gli elementi con cui la stampa italiana sta montando la notizia della presunta origine circassa di Leonardo da Vinci (da un’agenzia di stampa temerariamente presentata come “verità definitiva”). Un battage che unisce clickbait sensazionalista ad agenda politica liberal (“Arrivò in Italia su un barcone”, titola un quotidiano), ottenendo così botte piena e moglie ubriaca alle testate che lo cavalcano.
Ricapitoliamo: Carlo Vecce, che insegna all’Università Orientale di Napoli, ha rinvenuto nell’archivio di Stato di Firenze un documento risalente al 1453 – anno di nascita di Leonardo – in cui ser Piero da Vinci notaio ufficializzava l’emancipazione di una certa Caterina figlia di Giacomo, circassa, da parte della sua padrona, monna Ginevra di Donato. Vecce ha quindi scritto un romanzo, presentato lo scorso 14 marzo a Firenze, partendo da questo documento, suggerendo che la “Caterina” liberata dalla Ginevra di Donato fosse contemporaneamente anche la stessa “Caterina” che – ingravidata da ser Piero fuori da giuste nozze – avesse messo al mondo Leonardo.
Sull’identità della mamma del genio della “Gioconda” si è dibattuto a lungo. Da molti decenni, tuttavia, c’è la convinzione che la donna fosse una contadina toscana, recentemente identificata con Caterina di Meo Lippi. Nata probabilmente dalle parti di Vinci nel 1431, fu – sedicenne – amante del ricco notaio ser Piero e le diede un bastardo, Leonardo, che Piero tenne con sé e crebbe amorevolmente. Caterina, in seguito, andò in sposa a un ceramista locale – abbastanza di “bocca buona” da prendersi una “traviata” (d’altronde era soprannominato “Attaccabriga”…) – e, si pensa, sarebbe poi morta nel 1493 dopo aver dato alla luce altri figli.
Da molti anni, tuttavia, il fatto che il nome Caterina fosse utilizzato a Firenze per le serve acquistate sui mercati esteri (come anche Maria) dopo averle battezzate ha dato adito a numerose speculazioni sulla sua reale origine. A suggerirlo, Alessandro Vezzosi, direttore del Museo ideale Leonardo da Vinci fin dal 1996. Sulla scorta di indagini alla “Codice da Vinci”, negli anni si sono succedute molte altre ipotesi: ad esempio, una impronta digitale di Leonardo ricostruita in laboratorio avrebbe dato origine a una stiracchiata teoria secondo la quale Leonardo sarebbe stato d’origine mediorientale. Una tesi seccamente smentita dal criminologo Simon Cole, che ha negato sia possibile risalire all’etnia di un individuo dalla sua impronta digitale.
Col nuovo secolo, arrivarono nuove teorie: Renzo Cianchi, il primo bibliotecario della Biblioteca Leonardo da Vinci, ha ipotizzato nel 2008 che Caterina fosse una serva che viveva nella casa di Vanni di Niccolò di Ser Vanni, un ricco amico del padre di Leonardo. Sei anni dopo, Angelo Paratico ha suggerito che la madre di Leonardo fosse stata nientemeno che… cinese. La prova? Leonardo era mancino, scriveva da destra a sinistra (come i cinesi) ed era vegetariano. Paratico ha trovato delle carte che dimostrerebbero la presenza a casa Da Vinci di una serva di nome Caterina negli anni precedenti la nascita del genio.
Ma da Vezzosi a Paratico a Vecce, quello che manca è la “pistola fumante”: quante Caterine avranno girato attorno a ser Piero da Vinci come vicine di casa, servitrici, semplici conoscenti?
Nel 2017 lo studioso di Oxford Martin Kemp aveva identificato in Caterina di Meo Lippi la madre di Leonardo. La ragazza, scrive Kemp in Mona Lisa: The People and the Painting (Oxford University Press), era la classica contadina povera che viene concupita dal ricco. Orfana, viveva col fratello Papo e la nonna nella frazione di Mattoni, vicino Vinci. Kemp, insieme al ricercatore italiano Giuseppe Pallanti, ha ricostruito la vicenda senza romanzare, anzi, con il dichiarato intento di sfatare miti e voli pindarici attorno a figure come monna Lisa del Giocondo, attraverso la ricerca d’archivio sulle identità di familiari, amici, committenti e modelli dei dipinti leonardeschi.
Secondo Paolo Galluzzi, un esperto di Leonardo ed ex direttore del Museo Galileo di Firenze, quella di Vecce è un’ipotesi interessante, solida e anche basata su una documentazione convincente, ma solo “destinata a stimolare il dibattito”. Quest’ultima dichiarazione di Galluzzi però non compare sulla stampa italiana, ma sul “New York Times” (che, più correttamente, parla di “teoria” e non di “verità definitiva”). In Italia della prudenza di Galluzzi – che pure ha partecipato alla conferenza stampa di presentazione del romanzo di Vecce – non sembra esserci traccia nella stampa, che preferisce selezionare le sole dichiarazioni di Galluzzi che lo farebbero apparire come un entusiasta sostenitore a spada tratta di quella che è pur sempre un’ipotesi e non una “verità dimostrata”.
Certo, la documentazione ha un suo peso. Come del resto l’ha anche quella di Kemp. Che in un’intervista ha dichiarato che nessuna delle narrazioni sulla madre di Leonardo è provata in modo inoppugnabile. Tuttavia – aggiunge Kemp – c’è il dettaglio mediatico: una storia “insignificante” (com’è quella di Caterina contadinella orfana concupita da ser Piero) “non va incontro alla necessità popolare di una storia sensazionale in sintonia con l’attuale ossessione per la schiavitù”.
Oggi infatti il frame che va per la maggiore è composto da tutti gli elementi che costituiscono la tesi di Vecce: il meticciato, la schiavitù, l’arrivo coi “barconi”, mettiamoci pure lo ius soli, va’… Lo stesso Vecce ci tiene a sottolineare che “la parte migliore di Leonardo non è quella italiana” da parte di padre, ma quella dell’immigrata portata schiava “su un barcone”. Ed è questo che attizza ed eccita la stampa italiana, ansiosa di distruggere il mito del genio italiano per sostituirlo con quello del “genio meticcio” con in più una spruzzata di retorica sullo schiavismo (così da preparare le basi per una colpevolizzazione dell’Italia come si fa con le nazioni coinvolte nella tratta atlantica).
“Scacco matto, bigotti: senza gli scafisti turchi e la migrante circassa non avreste avuto la Gioconda!”
[questo articolo è stato pubblicato contemporaneamente sul blog del Centro Studi Machiavelli]
Pubblicai il mio libro nel 2015, in inglese, a Hong Kong. Poi è uscito nel 2018 in italiano. Da quanto scrive posso notare che non lo ha letto. E penso che invece lo abbia letto Carlo Vecce. Il mio libro non è un romanzo ma un tentativo di ricostruzione e inquadramento storico.